Il regolamento di condominio può contenere delle limitazioni alle facoltà inerenti al diritto di proprietà esclusiva dei singoli, impedendo il cambio di destinazione d’uso dell’immobile, ad esempio, da abitazione ad ambulatorio medico. Tale limitazione al diritto di proprietà esclusiva è ammissibile solo in caso di approvazione all’unanimità da parte di tutti i condomini; solitamente, il regolamento è espressamente richiamato all’interno degli atti di acquisto delle singole unità immobiliari e ciascun condomino vi aderisce al momento dell’acquisto.
Il regolamento vincola anche i terzi acquirenti?
È proprio questo l’interrogativo a cui risponde la Corte di Cassazione, con la sentenza 25 febbraio 2022, n. 6357 (testo in calce), avente ad oggetto la seguente fattispecie. Un’associazione intende trasformare l’unità immobiliare in ambulatorio medico a favore di stranieri irregolari e il Condominio si oppone sulla base di una clausola del regolamento contrattuale. Ebbene, i supremi giudici ricordano che le limitazioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva dei condomini, contenute nel regolamento di condominio e volte a vietare lo svolgimento di determinate attività, sono servitù reciproche. In quanto tali, devono essere approvate mediante una dichiarazione di volontà negoziale e con il consenso di tutti i condomini. L’opponibilità ai terzi – che non vi abbiano espressamente aderito – è subordinata alla trascrizione; pertanto, non è sufficiente una generica accettazione del regolamento da parte dell’acquirente. Infatti, affinché la disposizione che istituisce la servitù sia opponibile al terzo compratore è necessaria una dichiarazione di specifica conoscenza dell’esistenza delle reciproche servitù.
1. La vicenda
Una fondazione, proprietaria di un immobile in uno stabile condominiale, conviene in giudizio il Condominio. L’ente ha concesso in comodato modale trentennale l’unità immobiliare di cui è proprietaria ad una Onlus, affinché la adibisca ad ambulatorio medico per extracomunitari non in regola e non in possesso del permesso di soggiorno. Il Condominio non autorizza il cambio di destinazione d’uso dell’immobile per contrarietà al regolamento secondo cui “è vietata qualsiasi attività dei condomini nelle proprietà esclusive che sia incompatibile con le norme igieniche, con la tranquillità degli altri condomini o con il decoro dell’edificio e con la sua sicurezza”.
La fondazione impugna la delibera, sostenendo che il regolamento condominiale su cui si fonda la decisione del consesso assembleare non le sia opponibile, in quanto non trascritto nei registri immobiliari. Interviene volontariamente in giudizio anche l’associazione comodataria dell’immobile aderendo alla domanda dell’attrice. In primo grado, il tribunale dichiara la nullità della delibera nella parte in cui riguarda la destinazione d’uso dell’immobile; infatti, la clausola del regolamento condominiale non è opponibile alla fondazione, terza acquirente, in quanto il regolamento non risulta trascritto e l’atto di acquisto non reca alcuno specifico riferimento ad esso. Il Condominio dispiega appello e il gravame viene accolto.
Secondo la corte d’appello, la clausola del regolamento è opponibile alla fondazione, in quanto nel contratto di compravendita si attribuisce all’acquirente la quota di comproprietà sulle parti comuni “come per legge e regolamento”; inoltre, nel rogito si fa ampio richiamo all’atto originario, ove il compratore aveva dichiarato di “ben conoscere e accettare il regolamento”. Per il giudice del gravame, dunque, la destinazione dell’immobile ad ambulatorio medico per extracomunitari non in regola con il permesso di soggiorno si pone in contrasto con la clausola regolamentale. Si giunge così in Cassazione.
2. Premessa: regolamento convenzionale e assembleare
Nel caso di specie, viene in rilievo un regolamento convenzionale (o contrattuale). Tale tipologia di regolamento si contrappone a quello assembleare. Solitamente, è predisposto dall’originario proprietario di tutto lo stabile, è espressamente richiamato all’interno degli atti di acquisto delle singole unità immobiliari e ciascun condomino vi aderisce al momento dell’acquisto. Il regolamento viene allegato all’atto di compravendita o richiamato in esso e accettato dall’acquirente in sede di compravendita.
Il regolamento vincola anche i terzi acquirenti?
È proprio questo l’interrogativo che viene in rilievo nella fattispecie in esame.
Per completezza espositiva, si ricorda che oltre al regolamento contrattuale esiste anche il regolamento assembleare, quest’ultimo viene adottato dall’assemblea condominiale con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio (art. 1138 c. 3 c.c. che richiama l’art. 1136 c. 2 c.c.). Il contenuto di tale forma di regolamento è più limitato in quanto, a differenza di quello contrattuale, non può contenere divieti di destinazione (ad esempio, non può vietare di adibire l’immobile ad uso commerciale) o prevedere vantaggi a favore di alcuni condomini e a scapito di altri. In buona sostanza, non può incidere sui diritti dei singoli condomini sulle parti comuni e sulle parti di proprietà esclusiva.
Ciò premesso torniamo al decisum.
3. Limite di destinazione alla proprietà esclusiva e servitù atipica
La fondazione – proprietaria dell’immobile – lamenta che la sentenza gravata le abbia ritenuto opponibile la clausola del regolamento condominiale che vieta l’esercizio, nelle proprietà esclusive, di attività potenzialmente incompatibili con le “norme igieniche, con la tranquillità degli altri condomini o con il decoro dell’edificio e con la sua sicurezza”. Infatti, il regolamento non risultava trascritto nei pubblici registri immobiliari; inoltre, i riferimenti ad esso, contenuti nell’atto di acquisto nonché nell’atto di provenienza del venditore, erano inidonei a manifestare la conoscenza e la conseguente accettazione da parte della fondazione-terza acquirente dell’immobile.
La Suprema Corte considera fondata la doglianza.
Le limitazioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva dei condomini, contenute nel regolamento di condominio e volte a vietare lo svolgimento di determinate attività, sono servitù reciproche (si ricorda che si parla di servitù reciproche quando lo stesso fondo rivesta contemporaneamente la qualità di servente e dominante). Le clausole limitative devono essere approvate mediante una dichiarazione di volontà negoziale e con il consenso di tutti i condomini. Secondo l’insegnamento della giurisprudenza richiamata dalla Corte, l’opponibilità ai terzi acquirenti dei limiti sulle facoltà inerenti alle proprietà esclusive è regolata dalle norme proprie delle servitù.
4. Opponibilità solo in caso di dichiarazione di specifica conoscenza dell’esistenza delle reciproche servitù
Le servitù possono essere costituite sui beni comuni o sulle proprietà esclusive:
- le clausole del regolamento che costituiscano servitù sulle parti comuni devono essere approvateall’unanimità (art. 1108 c. 3 c.c.);
- la costituzione contrattuale di servitù che limitano i poteri e le facoltà sulle singole proprietà esclusive postula la sottoscrizione del documento dai rispettivi titolari per rispettare il requisito della forma scritta ad substantiam.
L’opponibilità ai terzi acquirenti dei limiti alla destinazione delle proprietà esclusive in ambito condominiale va regolata secondo la disciplina delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso. A tal proposito, non è sufficiente indicare nella nota di trascrizione il regolamento, ma occorre indicarne le specifiche clausole limitative (ai sensi dell’art. 2659 c. 1, n. 2 c.c. e art. 2665 c.c.) non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale. In precedenza (Cass. 6769/2018), la Corte aveva affermato quanto segue:
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«Non è, quindi, atto soggetto alla trascrizione nei registri immobiliari, ai sensi dell’art. 2645 c.c., il regolamento di condominio in sé, quanto le eventuali convenzioni costitutive di servitù che siano documentalmente inserite nel testo di esso. Ove si tratti di clausole limitative inserite nel regolamento predisposto dal costruttore venditore, originario unico proprietario dell’edificio, con le note di trascrizione del primo atto di acquisto di un’unità immobiliare ivi compresa e del vincolo reale reciproco, si determina l’opponibilità di quelle servitù, menzionandovi tutte le distinte unità immobiliari, ovvero ciascuno dei reciproci fondi dominante e servente. All’atto dell’alienazione delle ulteriori unità immobiliari, il regolamento andrà ogni volta richiamato o allegato e dovrà eseguirsi ulteriore trascrizione per le servitù che man mano vengono all’esistenza, fino all’esaurimento del frazionamento della proprietà originariamente comune».
In assenza di trascrizione, il regolamento può valere nei confronti del terzo acquirente, il quale ne abbia preso atto in maniera specifica nel contratto d’acquisto (Cass. 21024/2016; Cass. 17493/2014). In altre parole, se le clausole che impongono limiti alla destinazione delle proprietà esclusive non risultano trascritte, sono opponibili verso il terzo acquirente purché nel contratto di compravendita egli prenda atto, in maniera specifica, del vincolo reale gravante sull’immobile. A tal fine, non è sufficiente una generica accettazione del regolamento da parte dell’acquirente. Infatti, affinché la disposizione che istituisce la servitù sia opponibile al terzo acquirente occorre una dichiarazione di specifica conoscenza dell’esistenza delle reciproche servitù (Cass. 21024/2016, Cass. 6769/2018, Cass. 24188/2021).
5. La rappresentanza in giudizio dell’associazione
Oltre all’aspetto di diritto sostanziale, la vicenda presenta spunti interessanti anche sotto il profilo processuale. Infatti, nel caso di specie, il ricorso per Cassazione dell’associazione era stato dichiarato inammissibile in quanto difettava la procura speciale ex art. 365 c.p.c. La citata disposizione prevede che il ricorso debba essere sottoscritto da un avvocato iscritto all’apposito albo munito di procura speciale a pena di inammissibilità.
L’ente propone ricorso per revocazione (ex art. 395 n. 4 c.p.c. e 391 bis c.p.c.), infatti, la Suprema Corte non aveva notato l’annotazione riportata, a penna, sulla prima pagina del ricorso, con la quale si dava atto che la Onlus era rappresentata dall’avvocato, quale presidente della stessa, ex art. 86 c.p.c. La Cassazione riconosce l’errore revocatorio atteso che nell’epigrafe del ricorso, in effetti, erano presenti le parole “rapp. ex art. 86 c.p.c. dal Presidente, avv. M.” e il presidente dell’associazione è titolare del potere di stare in giudizio per l’ente (art. 36 c. 2 c.c.).
La circostanza per cui le parole scritte a penna non erano riportate nel ricorso notificato al Condominio non ha pregio, infatti «se la procura sia incorporata nell’atto di impugnazione, è irrilevante la sua mancata riproduzione o segnalazione nella copia notificata, sufficiente essendo, ai fini della verifica dei poteri rappresentativi, che essa sia presente nell’originale (per la definitiva stabilizzazione di tale principio, cfr. SSUU n. 35466/2021, pubblicata dopo la camera di consiglio in cui è stata deliberata la presente sentenza)».
6. Conclusioni: il principio di diritto
La Suprema Corte accoglie il ricorso per revocazione avanzato dall’associazione, revoca la precedente sentenza della Cassazione e, giudicando in via rescissoria, accoglie il primo motivo di ricorso; infine, rinvia alla Corte d’Appello, in diversa composizione, che dovrà decidere in base al seguente principio di diritto:
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«La previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche; ne consegue che l’opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti va regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l’indicazione, nella nota di trascrizione, delle specifiche clausole limitative, ex artt. 2659 c.c., comma 1, n. 2, e art. 2665 c.c.. In assenza di trascrizione, peraltro, queste disposizioni del regolamento, che stabiliscono limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono soltanto nei confronti del terzo acquirente che nel medesimo contratto d’acquisto prenda atto in maniera specifica del vincolo reale gravante sull’immobile, manifestando tale presa d’atto con una dichiarazione di conoscenza comprendente la precisa indicazione dello ius in re aliena gravante sull’immobile oggetto del contratto».
CASSAZIONE CIVILE, SENTENZA N. 6357/2022 >> SCARICA IL PDF
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