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Il conto può essere pignorato entro la soglia del 50% e il debitore, se l’altro cointestatario non si oppone, ha la possibilità di prelevare il resto.

Ho un conto in banca cointestato con mio padre: se arriva un creditore lo può bloccare integralmente e, in caso, cosa succede se il creditore è l’Agenzia delle Entrate? Avere un debito e non pagarlo porta a conseguenze che possono essere anche devastanti. Tuttavia, vigono stringenti limiti entro i quali i creditori possono procedere al pignoramento, cioè quella procedura che comporta l’impossibilità per il debitore di usare quei beni e che è preludio alla vendita all’asta o all’appropriazione diretta da parte del creditore. È il diritto delle esecuzioni. Ma cosa succede se il bene in questione non appartiene ad una sola persona? Vediamo, in particolare, il caso del conto corrente cointestato. Si può pignorare? Fino a che limite?

Sicuramente è possibile pignorare un conto corrente bancario o postale attraverso la procedura detta del «pignoramento presso terzi»: il fatto che sia, peraltro, cointestato non costituisce un ostacolo per il creditore.

In generale, in caso di conto corrente cointestato, il creditore può pignorare il 50% (ossia la metà) delle somme depositate in banca o alle poste. «Pignorare» significa che dette somme rimangono bloccate e non possono essere prelevate; le eccedenze, le disponibilità che sono oltre il valore del pignoramento, invece, possono essere liberamente utilizzate (per come vedremo meglio a breve) da entrambi i correntisti.

Allo stesso modo, ogni somma che dovesse essere accreditata sul conto cointestato dopo il pignoramento (per esempio, il pagamento da parte di un cliente) verrebbe «bloccata» nella misura massima del 50%. In sostanza la metà di tutto ciò che si trova sul conto cointestato viene assoggettata al pignoramento, ma solo entro i limiti dello stesso. Infatti, il criterio cardine è dato dal valore del credito, su cui si basa il valore del pignoramento (che può arrivare fino al valore del credito aumentato della metà) oltre il quale il creditore non ha alcun diritto.

La procedura di pignoramento

Il pignoramento del conto corrente, ordinario o cointestato, può avvenire solo dopo che sia stata rispettata una rigida procedura; nel caso contrario, esso sarebbe nullo.

È necessario che il creditore abbia prima notificato al debitore:

  • il titolo esecutivo (ossia una sentenza anche di primo grado, un decreto ingiuntivo, un avviso di accertamento immediatamente esecutivo, una cartella dell’agente della riscossione);
  • l’atto di precetto (nel caso in cui il titolo esecutivo sia costituito da una cambiale, un assegno o un atto pubblico notarile, come un mutuo con la banca, la notifica del precetto non è preceduta dalla notifica del titolo esecutivo): con l’atto di precetto si dà al debitore un termine di dieci giorni per pagare;
  • l’atto di pignoramento vero e proprio che, in questo caso, viene inviato anche alla banca o alla posta, ingiungendo a quest’ultima di non pagare al creditore (ossia il correntista) le somme pignorate.

Il limite del 50% del conto

Proprio riguardo alle somme pignorate, abbiamo detto che queste possono arrivare sino al 50% del conto cointestato, anche se il debito è superiore. Insomma, il pignoramento non può mai superare la metà del deposito. Facciamo qualche esempio qui di seguito:

  • se il debito è di 1.000 euro e il conto corrente cointestato contiene 4.000 euro, il creditore può pignorare fino a 1.500 euro (infatti il pignoramento si può spingere per un ammontare pari alla somma del debito aumentata della metà: ciò per coprire tutte le eventuali spese processuali della procedura e interessi). In questo caso non si arriva neanche alla metà del deposito sul conto;
  • se il debito è di 1.000 euro e il conto corrente cointestato contiene 2.000 euro, il pignoramento può arrivare sino al massimo di 1.000 euro (e non 1.500, come altrimenti avrebbe dovuto essere). In questo caso, invece, il pignoramento non arriva a coprire le spese della procedura, che sono forfettizzate preventivamente (e se del caso restituite) nella misura della metà del credito;
  • se il debito è di 5.000 euro e il conto corrente cointestato contiene 2.000 euro, il pignoramento può raggiungere, anche questa volta, massimo 1.000 euro. Così da non coprire neanche il valore del debito.

I rapporti tra banca e correntisti quando il conto è stato pignorato

Proprio perché il conto è solo bloccato al 50%, la restante parte del deposito può essere utilizzata liberamente. Così ciascuno dei due correntisti – quindi, anche il debitore – può prelevare dal conto, anche integralmente, la somma non pignorata (salvo il diritto del cointestatario di chiedere la restituzione della somma che dimostri essere esclusivamente appartenente alla sua quota di conto). Infatti, i rapporti tra la banca e i correntisti sono improntati alla regola della cosiddetta «solidarietà attiva»: il che significa che la banca è tenuta a consentire i prelievi a chiunque dei due titolari ne faccia richiesta, senza potersi rifiutare in considerazione della qualità di debitore pignorato di uno di essi.

Ciò è quanto emerso da una sentenza della Corte di Cassazione [1], la quale si è espressa nel solco dell’orientamento giurisprudenziale consolidato sulla questione e ha ribadito che, in caso di conto corrente con più intestatari, le regole da applicare al conto si moltiplicano per due:

  • un regime vale per i rapporti (esterni) tra banca e cliente (che in questo caso è rappresentato da un gruppo di persone): le parti saranno considerate nel loro complesso e non singolarmente (cosiddetto rapporto solidale) [2];
  • un diverso regime vale per i rapporti (interni) tra correntisti: le parti si considerano ognuna per la propria quota, che si presume uguale salvo prova contraria [3].

I rapporti tra correntisti

Diversi, invece, sono i rapporti interni tra i due cointestatari: il debitore potrebbe essere chiamato, dall’altro cointestatario, a restituire le somme da lui prelevate durante la pignoramento, posto che la quota ancora disponibile sul conto (il 50% del totale) è proprio quella spettante al cointestatario non pignorato, salvo, come abbiamo visto in precedenza, non si dimostri che la parte cointestataria non abbia diritto ad una quota paritaria del conto, ma ad una quota che può essere maggiore o minore.

La questione è molto spinosa e la giurisprudenza si è espressa sulla presunzione di parità delle quote del conto cointestato fino alla prova dell’esistenza di un diritto diverso in capo alle parti. Così potrebbe vigere un sistema di ripartizione delle quote basato su accordi verbali e contratti, ma potrebbe anche essere necessario valutare l’apporto economico che ogni cointestatario dà al conto (quanto versano mensilmente o annualmente?).

Sul piano operativo ne discende una diretta conseguenza: se il saldo attivo risulta derivare dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, si dovrà escludere che l’altro possa vantare qualche diritto, da un punto di vista interno, sul saldo medesimo. La giurisprudenza specifica, peraltro, che anche se dovesse ritenersi non superata la presunzione di parità delle parti (magari dimostrando dei patti che stabiliscono delle quote diverse), ciascuno dei cointestatari, anche se munito della facoltà di compiere operazioni in maniera autonoma, non può utilizzare il denaro che superi la sua parte senza il consenso espresso o tacito dell’altro [4].

Nonostante questo, la parte pignorata ha comunque diritto a prelevare le somme che fuoriescono dal pignoramento entro la propria quota, oppure, in assenza di quote, fino al valore totale del conto, ma è anche possibile che il cointestatario non pignorato acconsenta all’utilizzo della sua parte di denaro depositato sul conto.

Facciamo qualche altro esempio. Se il conto corrente cointestato contiene 5.000 euro e il pignoramento è stato di 2.000 euro, il contitolare pignorato potrebbe – ma solo nei rapporti con l’altro cointestatario – prelevare sino a massimo di 500 euro (così che la somma pignorata più i 500 euro lo facciano raggiungere un totale di 2.500 euro, ossia il 50% del conto). Se dovesse prelevarne di più la banca non potrebbe impedirglielo, ma poi dovrebbe regolare i conti con l’altro contitolare del conto.

Viceversa, se il pignoramento è stato di 2.000 euro ma il conto ne conteneva complessivamente 4.000, il correntista pignorato, pur potendo – almeno nei confronti della banca – prelevare la parte di somme non pignorate, dovrebbe comunque restituirle all’altro titolare, salvo che quest’ultimo non acconsenta o che il primo non dimostri di possedere una quota maggiore.

Tutto ciò vale, comunque, a condizione che gli accordi tra le parti non siano diversi. Infatti, abbiamo detto che nel conto cointestato si presume una titolarità al 50%, salvo prova contraria. Il che, in parole povere, significa che ognuno dei due cointestatari si considera titolare solo della metà del conto, salvo che venga fornita una diversa dimostrazione da cui risultino percentuali differenti.

Spesso capita – per esempio nei rapporti tra marito e moglie – che il conto venga cointestato a entrambi i coniugi solo per consentire all’uno – non titolare di reddito – di effettuare prelievi per la gestione domestica, mentre di fatto il conto è alimentato solo con il reddito dell’altro. In questi casi, fornendo le adeguate prove, il coniuge lavoratore potrebbe cercare di far saltare la presunzione di comproprietà e far ritenere che il conto sia interamente suo. Tuttavia, dovrà fare i conti anche con i propri doveri di genitore e di coniuge, che lo obbligano a prendersi cura della propria famiglia. Perciò, il coniuge che ha prelevato i soldi dal conto corrente cointestato, se non prova che sono stati spesi per esigenze della famiglia o della comunione, deve essere condannato a restituirli una volta che la comunione venga sciolta [5].

Quando il creditore pignorante è l’Agenzia delle Entrate

Se il creditore è lo Stato, ad agire per esso sarà l’Agenzia delle Entrate e il discorso fatto finora non cambia. O meglio, cambia solo rispetto all’iter che normalmente può svolgere l’Agente della riscossione. Infatti, nella gran parte dei casi, la legge consente all’Agenzia di pignorare il conto corrente senza passare dal tribunale e quindi senza che vi sia stata un’udienza davanti al giudice dell’esecuzione. Nella pratica questo significa che l’Agente notifica il pignoramento al debitore e alla banca, comandando a quest’ultima di versarle direttamente (e senza il tramite del giudice) le somme pignorate (sempre nei limiti del 50%) se il contribuente, entro 60 giorni dalla notifica del pignoramento stesso, non paga il debito.

Quanto detto, però, vale solo per il pignoramento del conto con un unico intestatario. Invece, nel caso di conto corrente cointestato è necessario passare dalla procedura ordinaria, quella cioè prevista dal Codice di procedura civile, con la citazione in giudizio. In quella sede il giudice controllerà che il pignoramento si sia effettivamente limitato al 50% delle somme depositate.

Il doppio pignoramento

I limiti che abbiamo visto a nulla valgono se il creditore decide di effettuare un nuovo pignoramento sullo stesso conto corrente, così da raggiungere la sua soddisfazione creditoria (perché evidentemente, con il primo non si è riusciti a raggiungere il totale del credito vantato). In teoria, nulla esclude che ciò sia possibile: il creditore, una volta pignorato il conto e ottenuta la metà dello stesso, può procedere a notificare un nuovo pignoramento dello stesso conto e per lo stesso debito, andando a prendere la metà della residua parte rimasta. Tuttavia, un comportamento del genere, di fatto, consentirebbe al creditore di eludere la regola del 50%. Infatti, andando a pignorare – sebbene in due momenti successivi – prima il 50% del conto e poi, sul residuo, un ulteriore 50%, il risultato è un pignoramento del 75% del conto. Un procedimento che, sebbene non vietato, potrebbe anche essere valutato quale abuso del diritto e quindi portare all’annullamento dell’azione del creditore.

note

[1] C. Cass. sent. n. 77 del 2018.

[2] Art. 1854 cod. civ.

[3] Art. 1298 cod. civ.

[4] C. Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 4496 del 2010.

[5] C. Cass. Civ., Sez. II sent. n. 20457 del 2016.

Autore immagine: 123rf com

 

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