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Sommario: 1. Natura e finalità. – 2. Presupposti. – 3. Apertura della liquidazione controllata. – 4. Oggetto. – 5. Effetti della liquidazione controllata.

 

1. Natura e finalità.

La liquidazione controllata è una procedura di sovraindebitamento, disciplinata dal D.Lgs. n. 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, di seguito “CCII”).

Si tratta di una procedura concorsuale, a carattere non negoziale ma esecutivo – satisfattivo, finalizzata a liquidare l’intero patrimonio – o meglio i beni pignorabili – del debitore e ad utilizzare il ricavato per soddisfare i creditori, nel rispetto della par condicio creditorum.

La procedura di liquidazione controllata ha una struttura molto simile a quella della liquidazione giudiziale (ovvero il fallimento) in quanto il potere di disposizione ed amministrazione del patrimonio del debitore è attribuito ad un apposito organo della procedura al fine della migliore liquidazione e del successivo riparto tra i creditori. A differenza di quanto avviene nelle altre procedure di sovraindebitamento non vi è una proposta, ma solo una liquidazione di tipo forzato del patrimonio del debitore.

 

2. Presupposti.

La liquidazione controllata, sotto il profilo oggettivo, si applica a quei soggetti che non rientrino nell’ambito applicativo delle altre procedure concorsuali – liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali – e che si trovino in stato di sovraindebitamento[1] [1]. Riguardo i presupposti soggettivi, possono beneficiarne:

-il consumatore, cioè “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una s.n.c., s.a.s. o di una s.a.p.a. per i debiti estranei a quelli sociali” [art. 2 lett. e) d. lgs. 14/2019];

-il professionista, ossia la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale;

-l’imprenditore minore, cioè il titolare di un’impresa che presenti un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; ricavi – in qualunque modo risultino –  per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila;

-l’imprenditore agricolo, cioè chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse (art. 2135 c.c.);

-le start-up innovative, ossia una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione.

Nello specifico, per accedere alla procedura di liquidazione non è necessario il consenso dei creditori né tantomeno deve ricorrere il requisito della meritevolezza, richiesta invece per l’ottenimento dell’esdebitazione del debitore.

 

3. Apertura della liquidazione controllata.

I soggetti legittimati ad attivare la liquidazione controllata sono lo stesso il debitore e il creditore (art. 268 comma 1, CCII). Dunque, tale procedura, diversamente da quella di ristrutturazione dei debiti del consumatore e dal concordato minore, può essere aperta anche in via coattiva, contro la volontà del debitore.

Il debitore può proporre domanda di accesso alla procedura anche quando è in stato di crisi e non necessita della difesa tecnica; è invece necessaria l’assistenza dell’OCC, il quale entro 7 giorni dal conferimento dell’incarico del sovraindebitato deve darne notizia all’agente della riscossione e agli uffici fiscali competenti in relazione all’ultimo domicilio fiscale del richiedente. Inoltre, l’OCC deve redigere una relazione sulla completezza e sull’attendibilità della documentazione depositata insieme alla domanda e che illustri la situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore (art. 269 CCII).

Invece nel caso in cui la domanda venga proposta dal creditore, il CCII prevede ulteriori condizioni: il debitore dev’essere in stato di insolvenza, non essendo sufficiente che il debitore versi in stato di crisi; l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati – risultanti dagli atti dell’istruttoria – deve essere superiore ad euro cinquantamila, quest’ultima essendo una mera condizione di procedibilità che può essere verificata d’ufficio anche tramite l’accesso ai registri descritti nell’art. 42 CCII, ovvero le banche dati dell’Agenzia delle Entrate e dell’INPS, che la cancelleria dovrebbe acquisire d’ufficio.

È dunque onere del creditore provare l’irreversibilità della crisi, ovvero l’evidenza di inadempimenti o altri fatti esterni in grado di dimostrare che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. 

La domanda si propone, sia da parte del debitore che dei creditori, con ricorso, da depositare presso il Tribunale nel cui circondario il debitore ha il centro principale degli interessi. L’apertura della procedura può essere disposta anche per effetto della conversione della ristrutturazione dei debiti del consumatore o del concordato minore, qualora tali procedure abbiano avuto esito patologico (artt. 73 e 83 del Codice); in tali casi, l’istanza deve essere presentata davanti al Tribunale innanzi al quale pendeva la procedura precedente.

 

4. Oggetto.

La liquidazione controllata ha ad oggetto l’intero patrimonio del sovraindebitato, esclusi i crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c. in tema di espropriazione forzata presso terzi, compreso il quinto dello stipendio eventualmente ceduto in garanzia[2] [2]; i crediti per alimenti e per mantenimento, la retribuzione, la pensione nonché ciò che il debitore guadagna con la propria attività nei limiti, indicati dal giudice, di quanto occorre al mantenimento suo e della sua famiglia; delle cose non pignorabili per disposizione di legge; i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i loro frutti, salvo quanto previsto dall’art. 170 c.c. in tema di esecuzione sui beni ricompresi nel fondo patrimoniale.

 

5. Effetti della liquidazione controllata.

L’apertura della liquidazione controllata ha effetti nei confronti del debitore, dei creditori e dei contratti pendenti e produce effetti analoghi a quelli della liquidazione giudiziale.

Il deposito della domanda sospende, ai soli fini del concorso, gli interessi convenzionali o legali, maturandi sui crediti chirografari, fino alla chiusura della liquidazione (art. 268, comma 5, CCII). Con l’apertura della liquidazione controllata, il debitore perde il potere di amministrare e disporre del patrimonio liquidabile, che viene attribuito al liquidatore (c.d. spossessamento). Con la sentenza di apertura, il Tribunale ordina al debitore la consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione, salvo che non ritenga, in presenza di gravi e specifiche ragioni, di autorizzare il debitore o il terzo a utilizzare alcuni di essi[3] [3].

I beni del debitore vengono quindi gestiti dal liquidatore, il quale provvede alla loro liquidazione e al successivo riparto del ricavato tra tutti i creditori concorrenti, nel rispetto della par condicio creditorum.

Per effetto dello spossessamento, gli atti compiuti dal debitore e i pagamenti da lui eseguiti o ricevuti dopo l’apertura della liquidazione controllata sono inefficaci rispetto ai creditori (art. 144, comma 1 del Codice). Lo spossessamento priva il debitore dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, ma non anche della proprietà degli stessi, che permane fino a quando i beni non saranno venduti a terzi dal liquidatore nell’ambito della liquidazione controllata.

Nello specifico, se la liquidazione controllata si chiude senza che i beni siano stati in tutto o in parte venduti dal liquidatore, il debitore rimane proprietario dei beni non venduti, riacquistando anche il potere di amministrazione e disposizione sugli stessi alla chiusura della procedura; eventuali atti di disposizione compiuti da parte del debitore durante la procedura, anche se inefficaci nei confronti dei creditori, sono comunque validi e vincolanti tra le parti, e di conseguenza se la procedura si chiude senza che il bene sia stato liquidato, lo stesso diventa di proprietà della controparte che lo ha acquistato in forza di un contratto stipulato con il debitore durante la procedura.

Lo spossessamento comprende tanto i beni del debitore esistenti alla data di apertura della liquidazione controllata, quanto i beni che pervengono al debitore durante la procedura (art. 142, comma 2 del Codice). Tuttavia, mentre per i beni già esistenti alla data di apertura della procedura l’acquisizione avviene al lordo di eventuali costi e obbligazioni eventualmente contratti prima dal debitore; per i beni che pervengono durante la procedura, devono essere dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi, che sono sottratte al concorso con gli altri crediti e devono essere soddisfatte con priorità sul valore dei beni in questione, anche prima rispetto ai crediti prededucibili (art. 142, comma 2 del Codice).

Rilevante è il tema dell’ammissibilità della liquidazione controllata in assenza di patrimonio. A riguardo si è recentemente espressa la Corte Costituzionale che, con sentenza n. 6 del 2024[4] [4] ha introdotto un’importante novità in merito all’interpretazione dell’art. 142 comma 2 del CCII, in relazione ai beni che pervengono al debitore durante la procedura di liquidazione.

Nello specifico, la Consulta non solo ha evidenziato che la liquidazione controllata deve comprendere i beni (rectius, gli stipendi) che pervengono al sovraindebitato nei tre anni successivi all’apertura della 

Procedura – rigettando la questione di legittimità costituzionale sollevata precedentemente dal Tribunale di Arezzo – ma ha anche chiarito due importanti aspetti.

In primo luogo, la Corte Costituzionale ha chiarito che con il decorso del triennio dall’apertura della procedura, si verifica – quale effetto automatico – l’esdebitazione. In secondo luogo, la Corte ha precisato che i liquidatori devono elaborare un piano di liquidazione che utilizzi l’intero periodo precedente alla liquidazione, assicurandosi che tale piano abbia una durata minima di tre anni.                 Nello specifico, gli ermellini escludono che la durata della procedura possa essere subordinata in relazione al tempo necessario a garantire una minima soddisfazione della classe creditoria, sia poiché ne discenderebbe un potere arbitrario in capo ai liquidatori, sia perché il termine potrebbe eccedere la ragionevole durata della procedura, con il rischio che i creditori, avvantaggiati dalla prolungata apprensione dei beni sopravvenuti, possano poi anche pretendere l’indennizzo per irragionevole durata della procedura stessa.

 

___________________________________________

[1] Ai sensi dell’art.2 lett. c) dlgs.14/2019 per sovraindebitamento si intende lo stato di crisi o di insolvenza dei soggetti elencati.

[2] V. Corte Cost., 10 marzo 2022, n.65, che equipara assegnazione e cessione del quinto come crediti di massa.

[3] V. art. 270, comma 2, lett. e) del Codice.

[4] V. Corte Cost., 19 gennaio 2024, n.6, Pres. Barbera, Est. Navarretta.

 

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