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L’estinzione del reato per il quale sia stato emesso decreto penale di condanna va dichiarata, ai sensi dell’art. 460, comma 5, c.p.p., se, nel termine di legge non sia stato commesso un delitto o una contravvenzione della stessa indole e sempre che detta commissione sia stata accertata con decisione irrevocabile, ancorché pronunciata oltre il biennio, non essendo sufficiente la mera notitia criminis iscritta nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., o risultante dal certificato dei carichi pendenti, anche se per esse sia intervenuta condanna non definitiva.

Questo è quanto emerge dalla sentenza 1° febbraio 2022, n. 3574 (testo in calce) della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Secondo un primo orientamento, la commissione di un reato nel termine di cinque o due anni, secondo se la sentenza o il decreto riguardi rispettivamente un delitto o una contravvenzione, comporta il rigetto della richiesta di estinzione del reato solo se detta commissione sia stata accertata con decisione irrevocabile, ancorché pronunciata oltre il quinquennio (Cass. pen., Sez. I, 27 maggio 2021, n. 28616).

Secondo questo indirizzo, per l’operatività dell’elemento ostativo è necessario che il nuovo reato, e la sua commissione nel termine stabilito dalla legge, sia stato accertato con sentenza irrevocabile, non essendo sufficiente la mera esistenza di una notitia criminis iscritta nel registro ex art. 335 c.p.p., o risultante dal certificato dei carichi pendenti anche se per essa sia intervenuta condanna non definitiva.

La decisione fa leva sul principio costituzionale di non colpevolezza fino alla pronuncia di una condanna definitiva, con la conseguenza che un reato attribuito ad un determinato soggetto non può ritenersi “commesso” qualora non sia stato accertato con una sentenza irrevocabile.

Un secondo orientamento, invece, sostiene che la commissione di un reato, nel termine di riferimento decorrente dalla sentenza di applicazione della pena o del decreto penale di condanna, ancorché non accertata con sentenza definitiva, comporti il rigetto della richiesta di estinzione del reato per il quale sia intervenuto il patteggiamento o il decreto penale di condanna, salva restando la possibilità di riproposizione dell’istanza in caso di successiva definitiva sentenza di assoluzione del reato “condizionante”, anche oltre il quinquennio (Cass. pen., Sez. III, 7 luglio 2011, n. 36993).

Se è vero che l’effetto estintivo è precluso solo dalla commissione, nel termine prescritto, di un reato per il quale sia intervenuta sentenza di condanna definitiva, è altrettanto vero che la causa estintiva non può essere applicata quando la condizione alla quale essa è subordinata sia ancora incerta per la pendenza del relativo accertamento.

Gli ermellini intendono aderire al primo di detti orientamenti; infatti, se la mera pendenza di un procedimento penale nel termine previsto per il verificarsi dell’evento condizionante (mancata commissione di un delitto nel termine di cinque anni o di contravvenzione della stessa indole nel termine di due anni) dovesse ritenersi ostativa per l’integrazione dell’effetto estintivo del reato, la presunzione di non colpevolezza risulterebbe violata nel suo significato più sostanziale, verificandosi una sovrapposizione non consentita tra l’indagato e il colpevole.

All’indagato o all’imputato sarebbe così riservato il medesimo trattamento (ovvero il rigetto, sebbene allo stato degli atti, della richiesta) che deve essere riservato a chi, nello stesso arco temporale e in presenza di una condanna irrevocabile, rivendicasse il medesimo effetto estintivo.

Di conseguenza, anche alla luce del principio di cui all’art. 27, comma 2, Cost., l’effetto preclusivo dell’estinzione del reato consegue solo in presenza di un accertamento della responsabilità contenuto in una sentenza irrevocabile di condanna.

CASSAZIONE PENALE, SENTENZA N. 3574/2022 >> SCARICA IL PDF

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