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Premessa: l’attuazione dell’impostazione della legge delega n. 155/2017, dal D.Lgs. n. 14/2019 al D.Lgs. n. 83/2022

La Legge 19 ottobre 2017, n. 155 ha evitato una revisione generale delle disposizioni penali contemplate nella legge fallimentare, premettendo la volontà di preservare «la continuità delle fattispecie criminose» (art. 2, comma 1, lett. a). Il D. Lgs. 12/01/2019, n. 14(Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, per brevità CCI) ha attuato tale indicazione, operando modifiche solo per limitati profili penali sostanziali (con restyling lessicale delle fattispecie penali ex art. 349 CCI e introduzione di misure premiali autorizzate espressamente dall’art. 4, lett. h, L. n. 155/17) e per alcune questioni processuali, inerenti ai rapporti tra procedure concorsuali e misure penali (art. 13 l. n. 155/2017).

La problematicità del varo del CCI è testimoniata dal semplice rilievo per cui, ancor prima della sua completa entrata in vigore, nel breve lasso di tre anni, il legislatore è tornato a modificarne il testo in ben nove occasioni (tra gli interventi più rilevanti cfr. D.Lgs. 26 ottobre 2020 n. 147, D.L. 24 agosto 2021 n.118, D.L. 30 aprile 2022 n.36). Da ultimo, con il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, sulla base della legge n. 53/2021 (legge di delegazione europea 2019-2020) sono state introdotte aggiuntive trasformazioni, in attuazione della direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, riducendo ulteriormente le già rare innovazioni penalistiche.

La scelta dichiarata di non intervenire sulla parte penale è stata criticata in maniera unanime dalla dottrina, con argomenti la cui compiuta illustrazione contrasta con l’essenzialità di questa analisi, concentrata, fondamentalmente, su profili di diritto positivo e volta ad offrire un affresco dei principali temi di novità che impegneranno gli operatori da subito, con l’entrata in vigore del CCI; inoltre, è stata apertamente contraddetta dall’istituzione, con D.M.13/10/2021, di una commissione ministeriale per la revisione dei reati fallimentari che di recente ha prodotto un articolato contenente proposte di revisione delle disposizioni penali del CCI e della l. fall. (cfr. Proposte di revisione delle disposizioni penali del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14; per primi commenti cfr. Mucciarelli, Proposte di revisione ai reati fallimentari: la relazione della Commissione Bricchetti, in Sistema Penale, 7 luglio 2022; per profili critici, cfr. Santoriello, Qualche breve riflessione sulla proposta di riforma del diritto penale fallimentare, in Sistema Penale, 27 luglio 2022; D’Avirro, Brevi osservazioni sulla proposta di revisione dei reati fallimentari, in Il penalista, 15 luglio 2022).

L’esame che segue si limiterà al testo vigente in esito a questo complesso processo normativo (dunque dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 83/2022) ed in particolare agli elementi di novità penalistica, non mancando di segnalarne possibili criticità per difetto o eccesso di delega. Nelle condizioni ricordate, infatti, risulta esposto a rischio di incostituzionalità qualsiasi intervento estraneo al contenuto della delega (tenendo conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono i principi e criteri direttivi, nonché delle finalità ispiratrici e degli indirizzi generali della medesima) o che non rappresenti un ordinario sviluppo della stessa (cfr. Corte cost. n. 210/2010; Id., n. 127/2017); in particolare, l’introduzione ma anche l’abrogazione (cfr. Corte cost. n. 5/2014) di una fattispecie incriminatrice, in carenza o in eccesso di delega, confliggerebbero con l’art. 25, secondo comma, Cost., che riserva al Parlamento la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili, precludendo al Governo scelte di politica criminale autonome o contrastanti con quelle del legislatore delegante.

Regime transitorio

L’art. 390, comma 3, CCII statuisce che ai fatti di reato previsti dal titolo VI del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nonché della sezione III del capo II della legge 27 gennaio 2012, n. 3, ove inerenti a procedure originate da ricorsi per dichiarazione di fallimento, da proposte di concordato fallimentare, da ricorsi per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, per l’apertura del concordato preventivo, per l’accertamento dello stato di insolvenza delle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa e da domande di accesso alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento depositati prima dell’entrata in vigore del CCI (15.7.2022, termine fissato dal D.Lgs. n. 83/2022), continuano ad applicarsi le disposizioni della L. fall. del 1942, nonché della L. sul sovraindebitamento del 2012. I corpi normativi richiamati, quindi, sono destinati a coesistere, in prospettiva penale, fintanto che troverà applicazione la disciplina previgente. I commi 1 e 2 dell’390 CCI (espressamente richiamati dall’390, comma 3) assumono a riferimento le fasi prefallimentari e/o pre-concorsuali e quelle successive all’apertura delle relative procedure concorsuali: ragioni di coerenza sistematica inducono a ritenere che anche ove la rispettiva procedura concorsuale dovesse chiudersi dopo il 15.7.2022 (e dunque non dovesse essere più pendenti) ai fatti puniti dalle disposizioni penali del titolo sesto del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 , nonché della sezione terza del capo II della L. 27 gennaio 2012, n. 3 resterebbero applicabili queste ultime disposizioni in quanto ricorra la condizione prevista dall’390, comma 1, CCI.

Non vi è specifica previsione per identificare il momento rilevante per il riparto tra i ricordati complessi normativi in caso di bancarotte improprie fraudolente (patrimoniale e documentale), societarie, da operazioni dolose, semplici nonché per le altre fattispecie penali per institori e creditori configurabili nell’evenienza di convenzione di moratoria (cfr. art. 236, comma 3, L. fall., 341, comma 3 CCI). Poiché l’effetto identitario di quest’ultima procedura è la disciplina provvisoria gli effetti della crisi con dilazione delle scadenze dei crediti, rinuncia agli atti o sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito, efficace (al ricorrere delle ulteriori condizioni di legge), in deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c., anche nei confronti dei creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria, tale momento pare rinvenibile prima che nella conclusione della convenzione di moratoria tra l’imprenditore e i suoi creditori, in quello in cui tutti i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative o siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sulla convenzione e i suoi effetti.

 

A dispetto della pretesa fissità della disciplina penale transitoria, in ogni caso, risulta insopprimibile uno spazio per modifiche mediate collegate alla trasformazione del significato e dell’assetto di elementi normativi extra-penali presupposti o richiamati dalle singole fattispecie penali; ciò apre alla eventualità di impegnative soluzioni interpretative, tenuto conto dei riflessi sull’operatività del principio di retroattività delle legge penale favorevole, sancito dall’art. 2, comma 2, c.p., e di irretroattività delle nuove norme incriminatrici penali.

Più in generale, nella materia della crisi e dell’insolvenza d’impresa l’analisi penalistica non può essere organizzata trascurando i doveri, gli istituti e le regole civilistiche preordinate alla prevenzione ed al governo del dissesto economico-patrimoniale e della difficoltà finanziaria del debitore, siano esse quelle societarie e fiscali, siano quelle che presiedono alle procedure pre-concorsuali e concorsuali; specie quando così intensamente rivisitati con esaltazione della tempestività delle rilevazione delle crisi, della sua adeguata gestione e risoluzione governata da una preferenza per la conservazione dell’organismo produttivo in seno al tessuto economico. Come ricorda Mucciarelli (op.cit., 2), anche al di fuori di letture del diritto penale della crisi di impresa quale presidio meramente sanzionatorio dei precetti civili, lo stesso “non può – soprattutto in ambiti come quello in discorso – non essere pienamente consapevole dell’ammagliatura ordinamentale rispetto alla quale è chiamato a svolgere le propria funzione”.

Gli effetti penalistici del CCII

Volendo anticipare una distinzione tra i contenuti del CCII di maggiore impatto rispetto alla materia penale possono distinguersi due macro-aree: – gli innesti diretti ed espressi in seno al tessuto normativo di rilievo penale sostanziale; – le possibili “modifiche mediate” che incidono di riflesso sulla configurabilità di fattispecie penali della crisi e dell’insolvenza e sulla responsabilità dei soggettivi attivi. Questa prima analisi è dedicata al primo gruppo di situazioni che spazia dagliinterventi innovativi concernenti la sostituzione in seno alle disposizioni penali del termine “fallimento” con quello di “liquidazione giudiziale”, alla risistemazione delle disposizioni penali nel nuovo titolo IX del CCII (artt. 322-347), senza dimenticare di dar conto della scelta del d.lgs. 83/2022 di abbandonare il progetto, affidato dal legislatore delegante, di introdurre una causa di non punibilità e un’attenuante ad effetto speciale, inizialmente prevista dall’originato art. 25 del CCII, collegate alla tempestività dell’attivazione degli strumenti e delle procedure di risoluzione della crisi e di gestione dell’insolvenza.

La sistematica dei reati nel CCII

Il titolo IX (dedicato alle disposizioni penali) ripropone, con adattamenti lessicali, le previsioni del titolo VI del R.D. n. 267/1942. Composto di 26 articoli (da 322 a 347), il nuovo titolo è ripartito tra cinque capi, relativi ai reati commessi: – dall’imprenditore in liquidazione giudiziale (capo I); – da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale (capo II); – nelle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (capo IV). Inoltre, il capo III è dedicato alle disposizioni applicabili nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione, nei piani attestati di risanamento e nella liquidazione coatta amministrativa; il capo V, infine, contiene disposizioni procedurali.

Adeguamenti lessicali

La sostituzione del termine “fallimento” e derivati, con espressioni equivalenti, quali “insolvenza” o “liquidazione giudiziale”, imponeva un adeguamento lessicale anche delle relative disposizioni penali, ferma restando la continuità delle fattispecie criminose (cfr. art. 2 L. delega). In seno al Titolo VI del R.D. n. 267/42, oltre all’intitolazione (“reati del fallito”), molteplici disposizioni operano riferimenti all’espressione “fallito” (cfr. art. 216, commi 1, 3, 217, comma 1, 2, 220, 223, comma 1, 224, 225, 226, 227, 232, 233, 240, 241, L. fall.), “procedura fallimentare” (art. 216, comma 2, 3), “fallimento” (art. 217, comma 1, n. 3, 4, comma 2, 221, 222, 223, comma 2, n. 2, 228, 229, 230, 231, 231, 232, 237, 238, L. fall.). Nella prospettiva penalistica, l’adattamento lessicale assicura, anzitutto, la continuità della pretesa punitiva (cfr. art. 349 CCI) in presenza dell’invariata (almeno per lo più) descrizione delle condotte illecite.

Le fattispecie penali del titolo IX del CCI: tra risistemazioni, abrogazioni e novità

La disciplina penale attualmente prevista dalla legge fallimentare e dalla legge n. 3 del 2012 rimane sostanzialmente inalterata, salvo alcuni adattamenti ai nuovi istituti. Infatti, con le eccezioni che si preciseranno, le nuove norme riproducono, sul piano delle condotte incriminate, le corrispondenti previsioni della L. fall., riscritte sostituendo al termine “fallimento” quello di “liquidazione giudiziale” e al termine “fallito” quello di “imprenditore in liquidazione giudiziale”, con rivisitazione dei rinvii interni ai singoli articoli che regolano gli istituti.

Vanno annoverati entro la categoria della risistemazione delle fattispecie penali della L. fall., anzitutto, gli articoli da 322 a 328 del capo III del CCI, corrispondenti agli articoli da 216 a 222 della L. fall. e che puniscono allo stesso modo le condotte del fallito e dell’imprenditore in liquidazione giudiziale.

Inoltre, gli artt. 329-340 del CCI riproducono gli articoli 223234 della L. fall., con una sola differenza, in seno all’art. 329, comma 2, lett. b) 2 CCI; tale norma replica lo schema dell’art. 223, comma 2, n. 2L. fall. e prevede che la pena della bancarotta fraudolenta (ora prevista dall’art. 322, comma 1, CCI) si applica agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società in liquidazione giudiziale che hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il “dissesto” della società. Tale termine, che continua a rimanere privo di autonoma definizione, ha sostituto il termine “fallimento” che in precedenza chiudeva la descrizione della fattispecie. In dottrina non sono mancate opinioni che hanno enfatizzato la novità assumendo che essa varrebbe ad escludere la tipicità di operazioni dolose che determinino la liquidazione giudiziale senza paritaria verificazione del dissesto, inteso quale stato di insolvenza e concreterebbe un’ipotesi di abolitio criminis per le situazioni in cui la condotta posta in essere abbia effettivamente determinato il fallimento della società, senza la pregressa determinazione dello stato di insolvenza in quanto solo simulato (Rossi, Profili penalistici del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: luci ed ombre dei dati normativi, in un contesto programmatico. I ‘riflessi’ su alcune problematiche in campo societario, in Rivista italiana di Diritto Penale e Processuale, fasc.3, 1.9. 2019, 1170 e ss.).

Altra opinione ritiene che il “dissesto” nel settore penalistico delle procedure concorsuali è invece concetto distinto dalla “insolvenza”, trattandosi di stato degenerativo, graduabile e posto in rapporto di minor gravità progressiva rispetto all’insolvenza e al fallimento; l’inserimento del termine “dissesto” in luogo di “fallimento” (e non di liquidazione giudiziale, come avrebbe imposto l’art. 349 CCI) segnerebbe un’anticipazione della tutela penale ad una fase precorsa rispetto a quella del fallimento costituirebbe scelta problematica per carenza di delega (Gambardella, La nuova disciplina della crisi d’impresa e il sistema del diritto penale fallimentare, in Cassazione Penale, fasc.6, 1 giugno 2021, pag. 1912-1913).

In realtà, più semplicemente, occorre riconoscere che già prima della novella del 2019, costituiva dato giurisprudenziale consolidato che l’espressione “fallimento” dovesse intendersi in senso sostanziale, quale situazione obiettiva di dissesto nella quale la società si viene a trovare per effetto delle operazioni poste in essere dai gestori e dai controllori della società e effettivamente concretizzatosi al momento della formale apertura della procedura concorsuale; essendo il dissesto enucleabile come uno squilibrio tra attività e passività, quale dato quantitativo graduabile e “anche aggravabile”  (Bricchetti, Codice della crisi di impresa: rassegna delle disposizioni penali e raffronto con quelle della legge fallimentare, in Dir. pen. cont., 2019, fasc. 7-8, 80), è sempre stato ritenuto irrilevante che al momento della consumazione della condotta e della produzione dei suoi effetti fosse già in atto, o meno, una situazione di dissesto sulla quale la condotta veniva ad incidere aggravandola (Cass. Pen. Sez. V, 15/04/2015, n. 15613, Rv. 263803-01).

Approdo che non vi è ragione di riconsiderare e che non risulta sostanzialmente posto in dubbio nel progetto di revisione presentato di recente dalla commissione ministeriale Bricchetti.

Rispetto all’attuale art. 236-bis della L. fall., l’art. 342 CCI (“falso in attestazioni e relazioni”) ha precisato la condotta incriminata, specificando quale sia il contenuto delle informazioni rilevanti la cui omissione costituisce reato. Il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 56 comma 4 (piani attestati di risanamento), 57, comma 4 (accordi di ristrutturazione dei debiti dell’imprenditore), 58 commi 1 e 2 (accordi di ristrutturazione dei debiti dell’imprenditore rinegoziati o modificati), 62, comma 2, lettera d) (convenzioni di moratoria), 87, comma 3 (concordato preventivo), 88, commi 1 e 2 (trattamento dei crediti tributari e contributivi), 90, comma 5 (proposte di concordato concorrenti), 100, commi 1 e 2 (autorizzazioni al pagamenti di crediti pregressi strategici), CCI, espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti «in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati» è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro.

Ancorché l’attestazione del professionista, sulla base dei contenuti dei disposti richiamati, si riferisca sia alla veridicità dei dati aziendali, sia alla fattibilità (giuridica ed economica) del piano, sembra pertanto espunto dalla possibile rilevanza penale il giudizio di fattibilità (la cui verificabilità in sede penale resterebbe oggettivamente difficile), incentrandosi la condotta unicamente sul piano del giudizio di veridicità, con conseguente abolitio criminis parziale (Rossi, op cit., 1175-1177; in senso problematico, per il difetto di delega, cfr. Gambardella, op.cit, 1914-1915). Non è risolta l’ambiguità sintattica che consegue al fatto che il requisito della ‘rilevanza’ continua ad essere previsto per la sola condotta omissiva (o commissiva mediante omissione), anche se ragioni di coerenza sistematica inducono a estenderne la portata anche a quella commissiva.

Ai sensi dell’341, comma 3, CCI nel caso di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCI) o di convenzione di moratoria (art. 62 CCI) ovvero di accordi di ristrutturazione in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie omologati ex art. 62, comma 2 bis, CCI (quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui agli articoli 57, comma 1, e 60, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria) si applicano le disposizioni penali previste al comma 2, lettere a), b) e d) dell’341 CCI. In tal modo, così come avviene per il concordato preventivo (art. 341, comma 2), risultano estese dall’art. 341, comma 3, CCI ad alcuni soggetti delle richiamate procedure le seguenti fattispecie penali:

(a) le disposizioni degli artt. 329 e 330 (bancarotte improprie fraudolente societarie e bancarotte semplici) agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società;

b) la disposizione dell’art. 333 agli institori dell’imprenditore;

c) le disposizioni degli artt. 338 e 339 ai creditori) è operata, come già accade nella antesignano art. 236, comma 2 e 3, L. fall., senza completare il raccordo, come sarebbe stato opportuno in considerazione della loro significativa diversità strutturale. Infatti, come è stato osservato (Santoriello,

La rilevanza penale delle innovazioni in materia fallimentare introdotte con il d.l. n. 83/2015, in Fallimento, 2016, 2, 129) nel caso di accordo di ristrutturazione non è chiaro quando tale convenzione possa dirsi definita nel caso di successiva e progressiva adesione da parte di altri creditori e di opposizione all’accordo proposta in sede giurisdizionale. In dottrina viene rimarcata come irragionevole la scelta di sottoporre alla stessa misura punitiva, con gli stessi tipi di fattispecie, vicende e condotte descritte utilizzando elementi normativi che rimandano a situazioni materiali nettamente diversificate dallo stesso CCI (la crisi ex art. 2, comma 1, lett. a, CCI, e l’insolvenza ex art. 2, comma 1, lett. b, CCI), non più in rapporto alternativo (come nella precedente disciplina dell’art. 160, comma 3, L. fall.) per l’accesso ad alcune delle procedure alternative alla procura liquidatoria; con l’effetto di degradare la concretezza del pericolo che deve accompagnare – secondo una lettura costituzionalmente orientata, vincolata alla necessaria offensività parametrata alle ragioni creditorie – le condotte criminalizzate sino all’ammissione alle procedura alternativa alla liquidazione giudiziale, sollecitando una rimodulazione penale idonea, quantomeno, a differenziare equilibratamente le varie procedure, introducendo un’armonia tra le reazioni punitive (Alessandri, Novità penalistiche nel codice della crisi d’impresa, in Rivista italiana di Diritto Penale e Processuale,, fasc.4, 1.12.2019, p. 1832-1837; in senso contrario Santoriello,

Qualche breve, cit., 19-26, rileva come tale differenziazione di trattamento risulterebbe irragionevole considerando che molte procedure alternative alla liquidazione consacrano garanzie patrimoniali divenute insufficienti per condotte illecite che hanno messo in pericolo la piena soddisfazione degli interessi dei creditori, rassegnati a sopportare danni economici effettivi accettando piani che vedono sacrificanti contrazioni delle loro legittime pretese; senza dimenticare il possibile incentivo che potrebbe derivare dalla diversificazione di trattamenti per strategie opportunistiche di inadempimento da parte di debitori rimediate solo dal pragmatico sacrificio dei creditori).

Va segnalata l’abrogazione di fattispecie penali non riproposte nel tessuto penalistico del CCI. In particolare, al capo I non viene ripresentato il testo dell’art. 221 L. fall., che prevedeva che le pene per la bancarotta, il ricorso abusivo al credito e la denuncia di creditori inesistenti venissero ridotte di un terzo in caso di applicazione del rito sommario nel fallimento, non più attuale; si trattava di attenuante correlata alla procedura semplificata (artt. 155159 l. fall.) per fallimenti le cui passività fossero inferiori a £ 1.500.00 per i reati commessi dal fallito e dal socio illimitatamente responsabile; norma che non aveva conosciuto quasi applicazione, anche prima dell’abrogazione del procedimento sommario. Inoltre, non risulta riproposta la previsione dell’art. 235 L. fall. per l’omessa trasmissione dell’elenco dei protesti cambiari al presidente del tribunale, obbligo venuto meno. Le violazioni previste dal predetto articolo erano già state trasformate in illeciti amministrativi, soggetti alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 2, L. 28 dicembre 1993, n. 561.

Il capo IV del Titolo IX è ora dedicato ai reati commessi nelle procedure di sovraindebitamento, essendo stato eliminato ogni riferimento alla procedura di composizione della crisi prevista dal Titolo II, sostituita dal d.lgs. n. 83/2022 con la diversa procedura di composizione negoziata della crisi. L’art. 344, comma 1, CCI sanziona le condotte di falso commesse dal debitore al fine di ottenere l’accesso alle relative procedure, ivi compreso il c.d. concordato minore (artt. 74 e ss. CCI) e la liquidazione controllata del sovraindebitato (art. 268 e ss. CCI). Secondo la relazione illustrativa «la previsione di disposizioni penali discende dall’opzione di regolare in maniera unitaria all’interno del codice della crisi istituti già presenti nel sistema e regolati dalla legge 27 gennaio 2012, n.3, che già stabiliva identiche sanzioni all’articolo 16. L’art. 344 in commento riproduce pertanto, attraverso il rinvio ai corrispondenti istituti del codice, le disposizioni vigenti». In realtà, nel delineare le sanzioni penali per il debitore e per i componenti dell’organismo di composizione della crisi, la norma non sanziona l’omissione di beni dell’inventario nella domanda di liquidazione, in dissonanza con l’art. 16, comma 1, lett. c, L. n. 3/2012. In secondo luogo, l’art. 344, comma 2, CCI sanziona ora il debitore incapiente che, per accedere all’esdebitazione, produce documenti falsi o contraffatti o distrugge quelli che permettono la ricostruzione della propria situazione debitoria. Si tratta di previsione con contenuti di novità che sanziona con le medesime pene la produzione di documentazione falsa o contraffatta al fine di ottenere l’accesso alla procedura di esdebitazione, regolata dall’art.283 del CCI e l’ipotesi in cui il debitore incapiente, ammesso ad usufruire del beneficio dell’esdebitazione, non adempia agli obblighi informativi a suo carico (omettendo, dopo il decreto di esdebitazione, la dichiarazione di cui al comma 7 dell’art. 283 CCI, quando dovuta o in essa attesta falsamente fatti rilevanti).

Secondo la relazione illustrativa «l’esdebitazione del debitore incapiente è infatti istituto nuovo e sarebbe irragionevole immaginare che il debitore, ammesso a godere del beneficio dell’esdebitazione senza nulla corrispondere ai propri creditori, vada esente da pena quando abbia attestato il falso per poter accedere al beneficio. Il comma 3, come già l’art. 16 della legge n.3 del 2012, prevede sanzioni penali per il componente dell’organismo di composizione che attesti il falso con riguardo alla consistenza del patrimonio del debitore. In questo ambito, l’unico elemento di novità è rappresentato dall’estensione delle medesime sanzioni al componente dell’OCC che attesti il falso nella procedura disciplinata dall’art. 283».

Un’argomentazione che, per le ragioni spiegate in precedenza, non dissolve i dubbi di costituzionalità dell’intervento additivo, almeno ove non lo si voglia giustificare per ragioni di coerenza con l’adeguamento alla attuazione della direttiva (UE) 2019/1023e del quadro normativo conseguito a quest’ultima.

Infine, il recente D.Lgs. n. 83/2022 ha abrogato l’art. 345 CCI che sanzionava le falsità nelle attestazioni dei componenti degli organismi di composizione della crisi (OCRI) relative ai dati aziendali del debitore intenzionato a presentare domanda di concordato preventivo o accordo di ristrutturazione dei debiti (cfr. art. 19, co. 3, CCI). In virtù di detta norma, era punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro «il componente dell’organismo di composizione della crisi di impresa che nell’attestazione di cui all’articolo 19, comma 3, espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati». Inoltre, era prevista un’aggravante comune se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri ed una aggravante ad effetto speciale (aumento fino alla metà) se dal fatto consegue un danno per i creditori. Secondo la relazione illustrativa la previsione non avrebbe avuto carattere di novità risultando modellata su quella dell’art. 342 (falsità in attestazioni per l’accesso al concordato) che, a sua volta, riproduce il contenuto dell’art. 236-bis (falso in attestazioni e relazioni) della legge fallimentare.

L’art. 38 del d.lgs. n. 83/2022 ha eliminato tale “nuovo” reato, coerentemente con il fatto che l’art. 6 del d.lgs. n. 83/2022 ha soppresso l’OCRI, riscrivendo il Titolo II (in origine dedicato alle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi) del CCI ed innestandovi la disciplina della composizione negoziata della crisi, della piattaforma unica nazionale, del concordato semplificato e delle segnalazioni per la anticipata emersione della crisi.

In seno al capo V (Disposizioni di procedura) del titolo IX, l’art. 346 CCI (Esercizio dell’azione penale per reati in materia di liquidazione giudiziale), riproduce il contenuto dell’art. 238 L. fall., mentre l’art. 347 CCI (Costituzione di parte civile) replica l’art. 240 L. fall., sostituendo il liquidatore giudiziale al commissario giudiziale; mentre quest’ultimo ha funzioni di vigilanza sulla procedura, il liquidatore giudiziale è un mandatario dei creditori concorsuali ed esercita tutte le azioni strumentali alla liquidazione del patrimonio, comprese quelle risarcitorie.

Il d.lgs. n. 83/2022, nel riscrivere il titolo II, ha anche eliminato la nuova causa di non punibilità e l’innovativa attenuante ad effetto speciale previste dall’originario art. 25 CCI.

Quest’ultimo proponeva un energico effetto penale additivo, legittimato dalla l. delega n. 155/2017, rappresentato dall’introduzione, sulla scia delle nuove procedure di allerta e composizione assistita della crisi (art. 4, lettera a, l. delega n. 155/17, originari artt. 13 e ss. del CCI), di misure premiali penali collegate alla tempestiva istanza di composizione assistita della crisi impresa, ma anche all’utile impulso rispetto alle procedure assistite, negoziali e concorsuali di gestione della crisi e sin anche dell’insolvenza.

Rinviando ad altra riflessione per l’analisi delle due figure (Di Vizio, Reati e crisi di impresa, Ipsoa, 2021, 180 e ss., cui si rimanda anche per l’analisi dei temi della natura sopravvenuta, soggettiva e potenzialmente retroattiva della causa di non punibilità) l’originario art. 25, comma 2, CCI prevedeva una causa di non punibilità per i reati previsti dagli artt. 322(bancarotta fraudolenta), 323(bancarotta semplice), 325(ricorso abusivo al credito), 328(reati di bancarotta da parte dei soci illimitatamente responsabili nelle Snc e nelle Sas), 329(fatti di bancarotta fraudolenta commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale), 330(fatti di bancarotta semplice commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale), 331(ricorso abusivo al credito commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale), 333 (reati dell’institore) e 341, comma 2, lettere a) e b) CCI (per società ammesse al concordato preventivo o stipulanti accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa o convenzioni di moratoria estensione dei reati ex artt. 329 e 330 CCI agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci ed ai liquidatori ed estensione dei reati ex art. 333 agli institori dell’imprenditore).

In particolare, per i reati anzidetti, «limitatamente alle condotte poste in essere prima dell’apertura della procedura» ed in presenza di «danno cagionato di speciale tenuità», era prevista la non punibilità di chi avesse tempestivamente presentato l’istanza all’organismo di composizione assistita della crisi d’impresa ovvero la domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza di cui al presente codice se, a seguito delle stesse, fosse stata ne aperta una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti» (artt. 25, comma 2, primo periodo, CCI).

La causa di non punibilità era ricollegata ai seguenti presupposti congiunti:

(i) la presentazione di un’istanza all’organismo di composizione assistita della crisi d’impresa o di una domanda di accesso a procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza connotata da tempestività (secondo i parametri fissati dal pregresso l’art. 24 CCI) ed ammissibilità;

(ii) apertura di una procedura di liquidazione giudiziale o del concordato preventivo ovvero l’omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti, a seguito della istanza e domanda cui al punto che precede;

(iii) la verificazione di un danno di speciale tenuità in dipendenza dei reati previsti dall’art. 25, comma 2, CCI. L’integrazione della speciale tenuità del danno patrimoniale scissa dalla presentazione di un’istanza/domanda tempestiva ed ammissibile, infatti, configurava solo l’attenuante comune ex art. 326 CCI (già art. 219, comma 3, L.fall.), ora ricollegata unicamente alla bancarotta fraudolenta ex art. 322 CCI, alla bancarotta semplice ex art. 323 CCI ed al ricorso abusivo al credito ex art. 325 CCI.

Secondo il dettato letterale dell’originario art. 25 CCI, vi era un rapporto di alternatività (e non di progressività) tra presentazione dell’ istanza all’OCRI e la domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza del CCI; il rapporto di alternatività in discorso era accreditato anche dalla circostanza che le imprese escluse dall’applicazione degli strumenti di allerta erano comunque ammesse a godere delle misure premiali previste dall’originario art. 25, in presenza delle condizioni di tempestività previste dall’art. 24 CCI, evidentemente parametrate sull’accesso alle tradizionali procedure di risoluzione della crisi e dell’insolvenza. Sebbene la relazione illustrativa del CCI (p. 24) avvalorasse una limitazione della causa di non punibilità agli strumenti di regolazione disciplinati dal titolo IV del CCI (gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex artt. 57-64 CCI e il concordato preventivo ex artt. 84−120 CCI), non si riteneva possibile escludere la ricomprensione della liquidazione giudiziale (cui è dedicato il titolo V del CCI, art. 121 e ss.) tra le forme di utile attivazione; del resto, secondo l’art. 7 del CCI la liquidazione giudiziale (species) è strumento alternativo alle ulteriori tipologie di procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza (genus).

Per il caso in cui il danno non fosse stato di speciale tenuità, l’originario art. 25, comma 2, ultima parte, del CCI introduceva una circostanza attenuante ad effetto speciale (con riduzione della pena fino alla metà) per chi avesse presentato tempestivamente l’istanza all’OCRI ovvero la domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza disciplinate dal CCI ove, all’atto dell’apertura della procedura, fosse risultata la ricorrenza di due condizioni, tra esse alternative: — il valore dell’attivo inventariato o offerto ai creditori assicuri il soddisfacimento di almeno un quinto dell’ammontare dei debiti chirografari; — in ogni caso, il danno complessivo cagionato non superi 2.000.000 di euro.

La novella del 2022non ha riproposto le previsioni in commento, probabilmente rinviando ad una sistemazione organica della materia penale. La circostanza può essere apprezzata in maniera bivalente.

Da un lato desta qualche perplessità ove si aderisca alla tesi dell’alternatività tra presentazione dell’istanza all’OCRI (certo impraticabile dopo la riforma del D.Lgs. n. 83/2022) e la domanda tempestiva di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza (invece parimenti praticabile), specie considerando come l’art. 4, comma 2 lett. b) CCI elevi a dovere generale del debitore “assumere tempestivamente le iniziative idonee alla individuazione delle soluzioni per il superamento delle condizioni di cui all’articolo 12, comma 1, durante la composizione negoziata, e alla rapida definizione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza prescelto, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori”. D’altro canto non erano mancate osservazioni che avevano individuato nella causa di non punibilità il segno di una sostanziale trasformazione dei delitti di bancarotta fraudolenta secondo lo schema dei reati di evento: una scelta da ponderare con prudenza, diversamente apprezzata e troppo importante per essere compiuta in maniera surrettizia, tanto che neppure nella proposta revisione dei reati della crisi di impresa della commissione ministeriale del 2021 è stata intrapresa, a vantaggio dell’ipotesi di diverse condotte riparatorie esimenti e di una nuova causa di non punibilità per tenuità del fatto (per un commento cfr. Santoriello, Qualche breve, cit., p. 3-7) .

L’unica previsione penalistica innovativa mutuata da D.L. n. 118/2021 è ora incastonata nel novellato art. 24 CCI, il cui comma 5 prevede che le disposizioni di cui agli artt. 322, comma 3, (bancarotta preferenziale) e 323 (bancarotta semplice) non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti nel periodo successivo alla accettazione dell’incarico da parte dell’esperto nominato nella procedura di composizione negoziata, in coerenza con l’andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell’impresa valutata dall’esperto ai sensi dell’art. 17, comma 5, CCI.

Riferimenti normativi:

Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Titolo IX – Disposizioni penali

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