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Per ottenere l’agibilità di un edificio bisogna presentare al comune una segnalazione certificata di agibilità (SCA o SCAgi, ex art.24 del Testo Unico Edilizia), non essendo sufficiente, per conseguirla, l’ottenimento di un condono edilizio.

Lo ha chiarito il Tar Molise nella sentenza 1/2024 dello scorso 2 gennaio, interessante perché ci riporta su una materia spesso ‘equivocata’ in ambito edilizio e urbanistico: il fatto che un condono o una sanatoria, in automatico, portino l’edificio ad essere agibile, cosa assolutamente non vera.

 

La segnalazione certificata di agibilità (SCAgi)

Tutto sulla Segnalazione Certificata di Agibilità: ambito di applicazione, quando occorre presentala, quali sono i soggetti legittimati a presentarla, tempistiche e documenti da allegare.

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Condono edilizio: non significa agibilità automatica! Ecco perché

La ricorrente aveva ottenuto il condono edilizio per l’ampliamento di un immobile di sua proprietà e chiedeve al Comune il rilascio del relativo certificato di abitabilità, a rendersi ai sensi dell’art. 24 dpr 380/2001 come atto immediatamente conseguente, a suo dire, al rilascio del condono edilizio.

Il comune disponeva la sospensione del procedimento, in quanto per ottenere l’agibilità serve una SCA (segnalazione certificata di agibilità) corredata dalla documentazione prevista dall’art.24 del Testo Unico Edilizia.

Il tutto, secondo il TAR Molise, a ragione: non coglie infatti nel segno il rilievo riguardante l’asserita violazione dell’art. 24 dpr 380/2001, in relazione all’art. 35 della legge 47/1985 (Primo condono edilizio), per come a sua volta richiamato dall’art. 39 dellal legge 724/1994 (norma introduttiva del cosiddetto secondo condono edilizio).

La prima delle due norme richiamate, al comma 19, connette(va) il rilascio dell’allora previsto certificato di abitabilità all’ottenimento del condono edilizio.

Ed infatti: “A seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di cui alla lettera b) del terzo comma e di prevenzione degli incendi e degli infortuni”.

Detta disciplina prevede(va) quindi, a meno di elementi di criticità sotto il profilo igienico-sanitario rispetto alla disciplina normativa di settore, di fonte nazionale o regionale ed in alcuni casi comunale, la sussistenza di una sostanziale simmetria tra il rilascio del condono e l’abitabilità degli immobili oggetto del procedimento di sanatoria.

La norma è stata difatti interpretata dalla giurisprudenza nel senso che le ipotesi di divergenza tra rilascio del condono e della certificazione di abitabilità fossero limitate ai casi in cui : “le specifiche condizioni igienico-sanitarie violino norme regolamentari imposte, ad esempio, dai regolamenti comunali, quale ulteriore e specifica esigenza da essi rappresentata con riferimento a specificità di quel singolo territorio, ovvero si tratti di norme regolamentari che attuano precedenti disposizioni primarie. In altre parole, l’art. 35, co. 20, l. n. 47/1985 ha inteso evitare che singole, specifiche disposizioni regolamentari – espressione di esigenze locali e comunque non attuative di norme di legge gerarchicamente sovraordinate – possano costituire, ex post, mediante il diniego del certificato di abitabilità, ostacolo al condono, e quindi alla regolarizzazione, delle costruzioni abusive, frustrando l’esigenza di “rientro nella legalità che, per il tramite della detta legge, si è inteso attuare” (tra le altre TAR Liguria, Sezione II, n. 666/2021).

L’art. 35 cit. è stato poi richiamato per farne applicazione anche con riguardo alle istanze di sanatoria (come quella accolta nella vicenda) presentate in forza del già citato art. 39 della legge n. 724/1994: “Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993… I termini contenuti nelle disposizioni richiamate al presente comma e decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985, n. 47, o delle leggi di successiva modificazione o integrazione, sono da intendersi come riferiti alla data di entrata in vigore del presente articolo…”.

 

Abusi edilizi: il certificato di agibilità non attesta la regolarità urbanistica

La mancanza del titolo edilizio depone per l’illegittimità del certificato di agibilità in quanto, attesa la specifica finalità di tale certificazione per come descritta dall’art. 24, comma 1, del Testo Unico Edilizia, non è possibile legittimamente rilasciare un certificato di agibilità se non sussiste la conformità ai parametri normativi di carattere urbanistico e/o edilizio.

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Abitabilità: oggi c’è la segnalazione certificata di agibilità

L’Amministrazione comunale, in lineare applicazione dell’attuale formulazione dell’art. 24 dpr 380/2001, ha fatto quindi semplicemente notare al privato istante che l’abitabilità di un edificio, a seguito di un condono, è oggi conseguibile a mezzo non più di un certificato rilasciato dal Comune, bensì dello strumento della Segnalazione certificata di abitabilità (SCA), che deve essere presentata dalla stessa parte interessata.

E’ per questo che il Comune ha indicato alla ricorrente il fatto che ai fini del completamento del procedimento, per tale motivo “sospeso”, l’interessata avrebbe dovuto produrre essa stessa “la documentazione prevista dall’art. 24 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380”.

E non è nemmeno condivisibile l’ulteriore assunto che, in ragione del disposto dell’art. 24, secondo comma, la disciplina dello stesso articolo novellata nel 2016 sarebbe stata applicabile alle sole costruzioni realizzate dopo la sua entrata in vigore, “riferendosi essa a termini, finalità e condizioni incompatibili con lavori e costruzioni realizzate più di un lustro prima”.

Il comma 2 dello stesso art. 24, nella sua versione precedente la già citata novella del 2016, prevedeva analogamente, per il certificato di agibilitàche questo venisse rilasciato “con riferimento ai seguenti interventi: a) nuove costruzioni; b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali; c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma1 …”.

Nella sua attuale formulazione il comma dell’articolo prevede, infatti, quanto segue: “2. Ai fini dell’agibilità, entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento, il soggetto titolare del permesso di costruire, o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio di attività, o i loro successori o aventi causa, presenta allo sportello unico per l’edilizia la segnalazione certificata, per i seguenti interventi: a) nuove costruzioni; b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali; c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1…”.

Risulta allora evidente che il nuovo comma 2 dell’articolo ha eliminato il riferimento al certificato di abitabilità, non più previsto, sostituendolo con il regime della segnalazione, mentre non ha modificato in nulla, per converso, l’ambito oggettivo di applicazione della disciplina di cui si tratta.

 

Agibilità: dal 2016 si invia una segnalazione certificata

In definitiva, il Comune ha dunque correttamente rifiutato il rilascio di un certificato, in quanto sarà il privato a dover egli stesso presentare una Segnalazione certificata di abitabilità, corredandola con la documentazione espressamente prevista dal citato art. 24 del dpr 380/2001.

La novella normativa introdotta nel 2016, infatti, come già detto, ha modificato il solo modulo procedimentale, prevedendo, invece del rilascio del certificato di abitabilità, la presentazione di un’apposita segnalazione certificata di agibilità.


LA SENTENZA E’ SCARICABILE IN ALLEGATO PREVIA REGISTRAZIONE AL PORTALE

 

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