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Con l’ordinanza 13600, pubblicata il 17 maggio 2023, la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata sulla questione relativa alla sorte dei crediti delle società cancellate dal registro delle imprese.

IL CASO: I due soci, al 50%, di una società responsabilità limitata che era stata cancellata d’ufficio del registro delle imprese per la mancata presentazione dei bilanci, sulla scorta di una sentenza emessa dalla Corte di Appello che aveva condannato una banca al versamento di una somma di denaro in favore della predetta società e di uno dei soci in proprio, notificavano all’istituto bancario due atti di precetto.

La banca proponeva due opposizioni ai sensi del primo comma dell’art. 615 c.p.c. e successivamente, dopo l’azione esecutiva, opposizione all’esecuzione.

Dopo il rigetto dell’istanza di sospensione del procedimento esecutivo, il successivo giudizio di merito si concludeva con il rigetto dell’opposizione all’esecuzione.

Il Tribunale, nel rigettare l’opposizione, escludeva che la cancellazione della società dal registro delle imprese avesse assunto una «connotazione abdicativa» reputando, per contro, «che nel credito della società [fossero] succeduti i soci in misura paritaria indivisa». Pertanto, affermava che in ragione del comportamento processuale della società e del suo liquidatore la presunzione di rinuncia del credito fatto valere in giudizio doveva ritenersi superata.

Il successivo gravame interposto dalla banca veniva dichiarato inammissibile dalla Corte di Appello ai sensi dell’art. 248 bic c.p.c.

La banca, rimasta soccombente, in entrambi i gradi di giudizio di merito, investiva della questione la Corte di Cassazione ritenendo che:

contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, il credito della società, successivamente cancellata dal registro delle imprese, non era certo, stante la pendenza del ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello che aveva pronunciato la condanna nei confronti della banca;

le mere pretese creditorie, ancorché azionate o azionabili in giudizio, non si trasferiscono ai soci;

«nella cancellazione d’ufficio vale lo stesso principio di abdicazione alle pretese e ai diritti incerti, così come nella cancellazione volontaria» e che il mancato deposito del bilancio di liquidazione per tre anni consecutivi, da cui discende la cancellazione della società, è espressione del disinteresse degli organi societari che giustifica l’adozione di tale misura.

LA DECISIONE: Il ricorso promosso dalla banca è stato ritenuto infondato dalla Cassazione la quale nel dichiararlo inammissibile ha osservato che:

– la cancellazione della società (e segnatamente quella disposta d’ufficio, in ragione dell’omesso deposito del bilancio in fase di liquidazione per oltre tre anni consecutivi) non comporta, di per sé, il mancato trasferimento del diritto di credito vantato dalla società (ancora sub iudice) in capo ai soci;

– dopo l’estinzione della società, i diritti della medesima vantati, non liquidati nel bilancio finale di liquidazione, transitano nella titolarità dei soci;

– l’estinzione della società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l’estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare;

– i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnata da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l’omessa appostazione in bilancio possa fondarsi su altra causa, diversa dalla volontà della società di rinunciare al credito;

– con la cancellazione della società dal registro delle imprese non può ritenersi automaticamente rinunciato il credito controverso, atteso che la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, salva la remissione del debito ai sensi dell’art. 1236 c.c., che deve essere allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere, dimostrando tutti i presupposti della fattispecie, ossia la inequivoca volontà remissoria e la destinazione della dichiarazione ad uno specifico creditore;

– il mero omesso deposito del bilancio in fase di liquidazione per oltre tre anni consecutivi, da cui consegue la cancellazione d’ufficio della società, non integra una presunzione di rinuncia al credito di cui la società è titolare e che tale evenienza sia qualificabile come negozio di remissione del debito;

– la pendenza del giudizio vertente sul credito al momento della cancellazione della società dal registro delle imprese, e la conseguente assenza di «certezza» del medesimo (siccome non ancora oggetto di un accertamento con valore di giudicato), non precludeva la successione dei soci nel credito della società: la detta successione non è punto condizionata dalla definizione del giudizio vertente sul credito, visto che, oltretutto, ove quel giudizio sia interrotto per l’intervenuta cancellazione della società, ai soci è riconosciuta la possibilità di proseguire o riassumere il processo quali successori dell’ente, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza 13600 2023

 

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