- La recente riforma del lavoro sportivo ha introdotto una distinzione specifica per coloro che vi operano, tra volontari e lavoratori sportivi, stabilendo norme fiscali e lavorative specifiche.
- I volontari ricevono solo rimborsi spese, mentre i lavoratori sportivi, superati i 15.000 euro di reddito, dovranno aprire partita IVA e gestire tasse e contributi.
- I lavoratori sportivi con partita IVA hanno accesso a un regime fiscale agevolato, con diverse fasce di tassazione a seconda del reddito annuo.
Negli ultimi anni, il settore sportivo è andato incontro a diverse riforme, con l’obiettivo di introdurre regolamenti e normative più chiare, in un ambito dove fino a pochi anni fa le linee guida erano piuttosto sfocate.
Tra le novità portate da questo cambio di paradigma, la più importante coinvolge coloro che operano nel settore come volontari e professionisti: questi ultimi sono, dallo scorso 1 luglio, obbligati ad aprire partita IVA una volta superata una certa soglia di guadagni.
Mentre i volontari sportivi si limitano quindi a ricevere semplici rimborsi spese, i lavoratori affrontano una realtà più complessa, trovandosi a gestire compensi e contributi in un quadro normativo in evoluzione. Questo articolo esplora le nuove regole e le loro conseguenze per i professionisti dello sport.
Lavoratore sportivo: le nuove regole
La recente riforma dello sport ha portato sostanziali modifiche alla classificazione dei collaboratori nel settore sportivo, identificandoli unicamente come volontari o lavoratori sportivi.
Il volontario dello sport, come suggerisce il nome, non riceve compensi per le attività svolte, ma si limita a percepire un rimborso spese, evitando così una retribuzione formale per il lavoro svolto.
A differenza del volontario, il lavoratore sportivo percepisce un compenso vero e proprio per le sue attività. La categoria comprende diverse professioni all’interno del mondo dello sport, tra cui:
- atleta professionista;
- allenatore;
- istruttore;
- direttore tecnico;
- direttore sportivo;
- preparatore atletico;
- collaboratore amministrativo/contabile;
- direttore di gara.
Il lavoratore sportivo potrà percepire compensi tramite diverse tipologie di contratti, tuttavia, la novità più importante è che sopra una certa soglia di guadagni, dovrà per forza aprire la partita IVA, con il codice ATECO specifico 85.51.00: “Corsi sportivi e ricreativi“. Ma quando è necessario, nello specifico?
Quando bisogna aprire una partita IVA per il lavoro sportivo
Durante l’estate del 2023, il Ministero ha introdotto alcuni importanti cambiamenti normativi che riguardano il lavoro sportivo nel Belpaese, in particolare sulle loro modalità di gestione fiscale e amministrativa.
A partire da una certa soglia di guadagni, diventa infatti obbligatorio per gli atleti professionisti e altri lavoratori dello sport aprire la partita IVA.
La soglia è fissata a 15.000 euro di fatturato annuo. Questo significa che un lavoratore o una lavoratrice dello sport, una volta superato tale limite, deve registrarsi come lavoratore autonomo e gestire le proprie obbligazioni fiscali attraverso la partita IVA.
L’obbligo di pagare le tasse non si applica sull’intero reddito una volta aperta la partita IVA, ma solo sulla parte di guadagno che supera la soglia dei 15.000 euro.
Lavoro sportivo e partita IVA: la tassazione
Grazie alle condizioni particolari e alle normative specifiche che regolano questo peculiare settore, i lavoratori sportivi possono beneficiare di un regime fiscale agevolato che include diverse fasce di tassazione in base al livello di reddito annuo. Ecco come funziona:
- i primi 5.000 euro di reddito annuo sono esenti sia da IRPEF che da contributi INPS. Questo si applica a tutti i lavoratori sportivi, indipendentemente dal loro regime fiscale;
- per la parte di reddito che va da 5.000 a 15.000 euro, il lavoratore sportivo è ancora esonerato dall’IRPEF, ma deve iniziare a considerare i contributi previdenziali;
- oltre i 15.000 euro di reddito, i guadagni sono soggetti sia all’IRPEF che ai contributi previdenziali normali.
Regime forfettario e lavoratori sportivi
Il regime forfettario, a cui possono aderire la maggior parte dei lavoratori sportivi, prevede un’imposta sostitutiva ridotta e altre convenienti specificità che lo rendono particolarmente adatto ai lavoratori di questo settore.
Nel regime forfettario, l’imposta sostitutiva si applica infatti a un’aliquota del 5% per i primi cinque anni di attività. Dopo questo periodo, l’aliquota aumenta al 15%.
La base imponibile nel regime forfettario si calcola applicando un coefficiente di redditività specifico per l’attività sportiva, che è pari al 78%. Questo significa che solo il 78% del reddito eccedente i 15.000 euro è considerato imponibile.
In aggiunta all’imposta sostitutiva, i lavoratori sportivi dovranno però anche contribuire alla previdenza. Questo riguarda i redditi superiori a 5.000 euro, per cui i contributi previdenziali sono calcolati su tutta la parte eccedente questa soglia.
Fino al 31 dicembre 2027, la base imponibile per il calcolo dei contributi previdenziali è ridotta del 50%, il che fornisce un ulteriore vantaggio fiscale per i lavoratori sportivi durante questo periodo.
Lavoratore sportivo con partita Iva – Domande frequenti
I contributi previdenziali per il lavoratore sportivo sono generalmente pagati dall’ente per cui opera fino alla soglia di 15.000 euro, ad esempio attraverso la ritenuta d’acconto. Sopra data soglia, il lavoratore stesso, quando opera come libero professionista con partita IVA, paga per sé i propri contributi.
La partita IVA sportiva permette ai lavoratori di gestire autonomamente le loro attività economiche nel settore sportivo. È necessaria per chi supera i 15.000 euro di reddito annuo e permette l’accesso a regimi fiscali agevolati.
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