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Nella riunione dello scorso 8 novembre, il Consiglio dei ministri – su proposta del Ministro della giustizia Alfonso Bonafede – ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo che, in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155, introduce il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Il Codice ha l’obiettivo di riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali, con due principali finalità: consentire una diagnosi precoce dello stato di difficoltà delle imprese e salvaguardare la capacità imprenditoriale di coloro che vanno incontro a un fallimento di impresa dovuto a particolari contingenze.

Tra le principali novità:

– si sostituisce il termine fallimento con l’espressione “liquidazione giudiziale” in conformità a quanto avviene in altri Paesi europei, come la Francia o la Spagna, al fine di evitare il discredito sociale anche personale che anche storicamente si accompagna alla parola “fallito”;

– si dà priorità di trattazione alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando continuità aziendale;

– si uniforma e si semplifica la disciplina dei diversi riti speciali previsti dalle disposizioni in materia concorsuale;

– si prevede la riduzione della durata e dei costi delle procedure concorsuali;

– si istituisce presso il Ministero della giustizia un albo dei soggetti destinati a svolgere su incarico del tribunale funzioni di gestione o di controllo nell’ambito di procedure concorsuali, con l’indicazione dei requisiti di professionalità esperienza e indipendenza necessari all’iscrizione;

– si armonizzano le procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro con forme di tutela dell’occupazione e del reddito di lavoratori.

LE OSSERVAZIONI DELL’ANCE. Il provvedimento è ora all’esame del Parlamento. Lo scorso 4 dicembre si è svolta l’audizione informale dell’ANCE presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, nell’ambito dell’esame, per il parere al Governo, dello schema del decreto legislativo (Atto n. 53, Relatore On. Mario Perantoni del Gruppo M5S).

La delegazione associativa, già ascoltata dal Senato, ha evidenziato, in premessa, come l’ Ance condivida, in linea generale, i principi ispiratori della riforma oggetto del provvedimento, finalizzati alla continuità aziendale, tema al quale finalmente il Legislatore ha dedicato attenzione, e che rappresenta un’esigenza primaria e da lungo tempo sentita dalla generalità delle imprese del settore delle costruzioni.

Il mantenimento in efficienza di un’azienda rappresenta, infatti, un valore che deve essere salvaguardato soprattutto nei periodi in cui la gestione ordinaria incontra delle difficoltà. Ecco perché, anche in fase di crisi del mercato, ove l’impresa non riesca più ad adempiere alle proprie obbligazioni, ad esempio verso i fornitori, verso i propri dipendenti o verso l’Amministrazione finanziaria, appare assolutamente indispensabile mantenere e promuovere in ogni caso l’esercizio dell’attività, anziché, viceversa, attivare le procedure giudiziali, che, oltretutto, possono mettere in pericolo il patrimonio aziendale e minare l’esistenza dell’impresa stessa.

Infatti, garantire la prosecuzione dell’attività significa salvaguardare tutte quelle componenti indispensabili all’esercizio dell’impresa, prima fra tutte il mantenimento dei posti di lavoro con il connesso pagamento delle retribuzioni, nonché la conservazione del patrimonio tecnologico ed il know how acquisito negli anni.

E’ solo partendo da tali premesse, infatti, che può essere evitato il rischio della perdita della vocazione imprenditoriale, specie per imprese strutturate ed operanti da lungo tempo, che interessa anche le nuove generazioni, ad oggi troppo spesso disincentivate ad investire in nuove iniziative. La ragione di tale insofferenza risiede, in larga parte, nella sfiducia negli strumenti in vigore ad oggi per la gestione dell’insolvenza, che appaiono fortemente inadeguati rispetto all’attuale quadro economico, caratterizzato da una crisi senza precedenti, in atto ormai da quasi un decennio.

Al riguardo, ha ricordato che l’impatto economico della crisi sul settore delle costruzioni è stato drammatico. Tra il 2008 ed il 2016, nel settore delle costruzioni hanno cessato l’attività oltre 120.000 imprese. Le perdite inoltre hanno maggiormente colpito proprio le realtà più strutturate, facendo quindi venir meno quelle competenze “storiche” e consolidate nel tempo, necessarie ad una ripresa sostenibile per l’intero settore. Il bilancio complessivo dei posti di lavoro persi in edilizia dall’inizio della crisi è imponente: -600mila occupati.

I dati si riferiscono al solo settore delle costruzioni, ma è di tutta evidenza che, specie nell’attuale congiuntura economica negativa, la generalizzata crisi d’impresa ha prodotto un preoccupante effetto a livello sociale, in termini di impoverimento del tessuto imprenditoriale, in tutti i settori chiave della nostra economia.

Nel ribadire, quindi, l’apprezzamento delle linee essenziali e il lavoro fin qui svolto in sede parlamentare, la delegazione associativa dell’Ance ha sottolineato come sia indispensabile che nel processo attuativo venga prestata attenzione ad alcuni principi che rappresentano un passaggio essenziale per un risultato efficace della riforma e che si auspica possano essere recepiti nel decreto legislativo. Tra questi si segnalano:

– la necessità di specificare la definizione dello stato di crisi distinguendo fra insolvenza dovuta ad una situazione economica generale straordinaria rispetto all’insolvenza prodotta a seguito di negligenza nell’attività degli amministratori.

Conseguentemente occorre definire con maggiore chiarezza le ipotesi di responsabilità degli amministratori, che sarebbero perseguite solo in caso di effettivi e comprovati comportamenti illeciti, a fronte invece della completa esclusione da qualsiasi addebito nel caso in cui il dissesto dell’impresa sia stato causato da fattori economici oggettivi e non da una gestione patrimoniale colpevolmente incauta;

– il coinvolgimento delle associazioni di categoria e, quindi, dell’Ance per il settore delle costruzioni, nell’elaborazione degli indicatori della crisi nell’ambito delle procedure d’allerta;

– il contenimento dei compensi dei professionisti preposti alle procedure concorsuali a seguito di provvedimento giudiziale, da determinare al termine della procedura in proporzione all’attivo realizzato ed entro il tetto del 3% del valore della procedura;

– il riconoscimento di un principio di buona fede dei creditori, che devono essere tenuti, con il loro comportamento, alle regole di lealtà e correttezza, senza pregiudicare in modo ingiustificato la posizione del debitore, in analogia con quanto già stabilito nel codice civile in materia di adempimento delle obbligazioni;

– l’applicabilità delle nuove regole di gestione dell’insolvenza, in attuazione della legge delega, ai procedimenti pendenti, ove possibile e qualora ciò comporti un vantaggio per l’intera procedura, anche in termini di salvaguardia della continuità aziendale.

La delegazione associativa ha altresì rilevato come sia di particolare interesse per l’Ance, anche se estranea alla materia fallimentare, l’attuazione delle modifiche al decreto legislativo 122/05 in materia di “Tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire”.

Occorre, altresì, valutare l’ opportunità di prevedere la rimodulazione dei privilegi erariali, mediante l’attenuazione della natura privilegiata per i crediti vantati dallo Stato e dagli enti locali (per imposte dirette, indirette, tra cui l’IVA, e per i tributi locali), nonché l’introduzione di una soglia predeterminata entro la quale tali crediti si considerano privilegiati.

Inoltre, occorrerebbe estendere anche alle piccole e micro imprese che non trovano adeguata tutela rispetto al soddisfacimento del credito, ove la committenza sia sottoposta a procedure concorsuali, il privilegio generale previsto attualmente per le imprese artigiane.

E’, poi, indispensabile porre attenzione alle interferenze della disciplina sulle crisi d’impresa con il settore dei contratti pubblici, e, per quanto ci riguarda da vicino, degli appalti di lavori pubblici.

Occorre, infatti, porre rimedio ad una diffusa mancanza di armonizzazione tra le previsioni specifiche in tema di crisi aziendali con quelle del Codice dei contratti sul medesimo tema, al fine di tutelare l’interesse pubblico superiore al completamento delle opere.

A tal fine, è necessario:

– anche prima dell’adozione del Decreto legislativo, eliminare la possibilità di far partecipare alle gare imprese fallite o in concordato in continuità – con l’eccezione dell’ipotesi in cui sia stato presentato, ai fini dell’ammissione alla continuità, un piano di rientro che preveda la soddisfazione di ciascun credito chirografario nella misura minima del 50% nonché l’ottemperanza al divieto di cessione del ramo di azienda relativo al contratto d’appalto – o in amministrazione straordinaria, la cui presenza altera una sana concorrenza nel mercato;

– tutelare, nei raggruppamenti di imprese, la posizione delle mandanti nei confronti delle mandatarie in crisi. In particolare, occorre prevedere che i crediti maturati dalla mandante nei confronti della stazione appaltante e riscossi dalla mandataria – o dalla consortile – in virtù del rapporto di mandato, non confluiscono nel passivo fallimentare, né si confondono con il patrimonio della mandataria. I pagamenti successivi all’assoggettamento della mandataria alla procedura dovrebbero avvenire direttamente in capo alle mandanti;

– nei raggruppamenti, nel caso di costituzione di una società consortile a valle, prevedere che la restituzione al curatore dei finanziamenti effettuati alla suddetta società da parte delle imprese dell’ATI avvenga solo dopo il completamento dell’opera ed il pagamento dei creditori della società consortile;

– prevedere che, ove ricorrano reiterati e significativi ritardi nei pagamenti della mandataria nei confronti delle mandanti, anche nella fase di allerta e composizione assistita, accertate dalla stazione appaltante, per il contratto di appalto in corso, si provvede al pagamento diretto alle mandanti, dell’importo dovuto per le prestazioni dalle stesse eseguite.

 

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