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La problematica del lavoro nella crisi d’impresa è rimasta per molto tempo, da un punto di vista giuridico, una sorta di terra di nessuno, in quanto né il R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (legge Fallimentare) né la legislazione del lavoro hanno dettato regole specifiche in ordine alla posizione del lavoratore nelle aziende in stato di crisi o insolvenza.
Il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, definitivamente entrato in vigore il 15 luglio 2022, prevede per la prima volta una disciplina specifica per i rapporti di lavoro dipendente e appronta un articolato sistema di tutele per i lavoratori, assegnando una priorità alla salvaguardia dell’occupazione.

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Impresa insolvente: disciplina speciale del rapporto di lavoro

La prima questione che il curatore nominato dal Tribunale deve affrontare è la sorte dei rapporti di lavoro che siano ancora in essere alla data di dichiarazione della liquidazione giudiziale.

L’attuale incipit dell’art. 189, D.Lgs. n. 14/2019, dispone puntualmente che l’apertura della procedura liquidatoria nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento.

Con la sentenza dichiarativa vi è l’automatica sospensione dei rapporti di lavoro fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del Giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori di subentrarvi, assumendo i relativi obblighi, ovvero il recesso con effetto dalla data di apertura della procedura concorsuale.

In questo modo viene finalmente dato un fondamento alla soluzione della sospensione dei rapporti, per troppo tempo frutto di semplice elaborazione giurisprudenziale, e viene riconosciuto al curatore il giusto spatium deliberandi per valutare e decidere se sia più opportuno e conveniente per la procedura subentrare nel rapporto ovvero recedere dallo stesso.

Il lavoratore, nell’ambito delineato dall’art. 189 CCII, non è più soggetto passivo e conculcato nel limbo della sospensione del rapporto come avveniva nella previgente disciplina dell’art. 72, legge Fallimentare, ma potrà valutare il gioco delle convenienze, in quanto le eventuali dimissioni rese nel periodo di sospensione tra la data della sentenza dichiarativa fino alla data della comunicazione di subentro o recesso da parte del curatore, si intendono rassegnate per giusta causa, ai sensi dell’art. 2119, c.c., con effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale e relativo diritto alla indennità NASpI.

In ogni caso, decorso il termine di 4 mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale senza che il curatore abbia comunicato il subentro, i rapporti di lavoro subordinato che non siano già cessati si intendono risolti di diritto, previsione che costituisce un unicum nel diritto del lavoro, con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale.

La Corte di Cassazione – nella vigenza dell’art. 72, legge Fallimentare – ha stabilito che, anche in caso di cessazione dell’attività conseguente a fallimento, il curatore è tenuto a esperire la relativa procedura di licenziamento collettivo, in mancanza della quale il lavoratore può far valere l’illegittimità del recesso.

Quindi, nel caso in cui ricorrano i requisiti previsti dalla legge n. 223/1991, in presenza dei quali è obbligatorio esperire la procedura ex art. 189, comma 6, il curatore non potrà contare sulla risoluzione di diritto, ma dovrà necessariamente attivare gli adempimenti ivi previsti, a pena di illegittimità dei recessi.

Adempimenti del curatore/datore di lavoro

In caso di subentro nei rapporti di lavoro pendenti, il curatore è tenuto a porre in essere tutti gli adempimenti di un normale datore di lavoro ed è quindi soggetto a tutti gli obblighi di natura lavoristica, previdenziale e fiscale, da assolvere anche avvalendosi, in qualità di coadiutore, di un professionista consulente del lavoro.

Il curatore, in particolare, dovrà:

effettuare le comunicazioni preventive di assunzione (mod. unilav) in caso di instaurazione di nuovi rapporti di lavoro;

elaborare il Libro Unico del Lavoro entro la fine del mese successivo a quello di riferimento;

elaborare e inviare la denuncia contributiva mensile UNIEMENS entro la fine del mese successivo a quello di riferimento;

versare imposte e contributi a mezzo delega di pagamento F24 entro il giorno 16 del mese successivo a quello di riferimento;

elaborare ed inviare l’autoliquidazione INAIL entro il 16 febbraio dell’anno successivo a quello della prestazione lavorativa o entro il giorno 16 del secondo mese successivo a quello di cessazione dell’esercizio provvisorio, versando i relativi premi assicurativi;

elaborare, inviare telematicamente e consegnare ai lavoratori, entro il 16 marzo, le Certificazioni Uniche relative alle retribuzioni erogate nel periodo d’imposta precedente;

elaborare ed inviare telematicamente, entro il 31 ottobre, la dichiarazione dei sostituti d’imposta modello 770 riferita al periodo d’imposta precedente.

La liquidazione giudiziale dell’azienda corrisponde, per gli adempimenti nei confronti dell’INPS, alla definitiva cessazione dell’attività.

Ne deriva che non è possibile trasmettere denunce contributive con periodo di riferimento successivo alla data della dichiarazione di insolvenza e relative alla matricola aziendale cessata.

Fa eccezione al suddetto principio il ricorso alla CIGS, qualora ricorrano le causali previste dal D.Lgs. n. 148/2015 o, per l’anno 2024, quelle previste per il trattamento di sostegno al reddito di cui all’art. 44, D.L. n. 109/2018 (c.d. decreto Genova), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 130/2018; in questi casi, infatti, la concessione dell’integrazione salariale straordinaria presuppone la continuità dei rapporti di lavoro e la posizione aziendale non deve essere cessata fino al termine dell’ammortizzatore sociale.

In ogni caso, tutte le competenze maturate alla data di dichiarazione di fallimento e riferite al rapporto di lavoro ancora in essere (ratei di mensilità aggiuntive, ratei di ferie, permessi non goduti, r.o.l., indennità sostitutiva del preavviso) devono essere imputate al periodo di paga in corso alla data della dichiarazione di fallimento, al fine di permettere all’INPS di presentare correttamente la domanda di insinuazione al passivo.

Inoltre, se con la dichiarazione giudiziale di insolvenza cessa ogni attività aziendale assicurata, il curatore deve, tramite i servizi on line dell’INAIL e nel rispetto dei termini ordinari (i.e. 30 giorni), presentare denuncia di cessazione all’Istituto.

La chiusura delle posizioni decorre dalla data di dichiarazione di apertura della procedura liquidatoria anche al fine di imputare correttamente il debito concorsuale per i premi assicurativi dovuti.

Ai fini fiscali, il curatore e il commissario liquidatore hanno acquisito, a partire dal 4 luglio 2006, la qualifica di sostituto d’imposta.

In base a tali disposizione, è indubbio che il curatore debba trasmettere le certificazioni uniche e i modelli 770 relativi ai compensi corrisposti da lui stesso, mentre non è chiaro se sia tenuto al medesimo adempimento anche in relazione ai compensi corrisposti nell’anno precedente quello del fallimento, se il termine per l’invio scade successivamente alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, né relativamente a quelli corrisposti prima della sua nomina, per quanto riguarda la dichiarazione relativa all’anno della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza.

L’Agenzia delle Entrate ha precisato in più occasioni che i curatori fallimentari e i commissari giudiziali sono obbligati al rispetto degli adempimenti posti a carico dei sostituti d’imposta, non potendo eccepire considerazioni di carattere pratico sulla complessità degli stessi.

A parere dello scrivente, per quanto riguarda la dichiarazione relativa all’anno antecedente quello della sentenza dichiarativa di apertura della liquidazione giudiziale, la lettera della norma può far propendere per la risposta affermativa, e le circolari dell’Agenzia delle Entrate sono univoche in tal senso, mentre le problematiche pratiche (il curatore spesso non ha alcun elemento per provvedere, e anche quando li ha non è mai in grado di verificarli con sicurezza) e l’assenza per quanto sappiamo di contestazioni in sede di verifica portano alla risposta di segno opposto.

La soluzione di gran lunga preferibile è che sia il legale rappresentante dell’impresa insolvente a trasmettere C.U. e Mod. 770, dato che è lui che ha posto in essere le operazioni da cui deriva tale obbligo, è lui che sopporta personalmente le eventuali conseguenze penali e con la liquidazione giudiziale mantiene comunque una parziale legittimazione attiva in campo tributario.

Se egli oppone rifiuto, allora per prudenza ritengo che il curatore possa provvedere, ma solo se dispone da fonte sufficientemente certa della prova dell’avvenuta corresponsione dei compensi e delle retribuzioni.

Codice della crisi d’impresa: in arrivo il decreto Correttivo-ter

Lo scorso 10 giugno, il Consiglio dei Ministri ha approvato il testo del decreto correttivo al Codice della crisi, in attesa del perfezionamento dell’iter per la sua entrata in vigore. Lo schema di decreto legislativo è composto di oltre cinquanta articoli, recanti disposizioni integrative e correttive al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al D.Lgs. n. 14/2019.

In particolare, lo schema di decreto legislativo approvato provvede a correggere taluni difetti di coordinamento normativo emersi a seguito dei precedenti interventi di modifica, a emendare alcuni errori materiali ed aggiornare i riferimenti normativi, nonché a fornire chiarimenti ad alcuni dubbi interpretativi emersi in sede di applicazione del Codice. È attesa a breve la verifica di compatibilità e copertura da parte della Ragioneria dello Stato.

Viene leggermente modificato anche l’art. 189, con un depotenziamento del ruolo dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e l’abrogazione dell’obbligo del curatore di inviare all’ITL competente l’elenco dei lavoratori in forza al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale.

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