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La guardia di finanza sta scandagliando i conti correnti di una serie di imprenditori cinesi che operavano nel settore tessile nell’area dell’Empolese così da porli sotto sequestro e recuperare una trentina di milioni di euro che sono accusati di aver evaso al Fisco. Una montagna di denaro che, se tutto fosse confermato durante il procedimento, porterebbe a un’importante prova di una distorsione del mercato manifatturiero in quest’area.

Le indagini delle fiamme gialle sono partite nel 2019, durante il periodo Covid, a seguito di una serie di segnalazioni degli uffici dell’Agenzia delle entrate in merito a mancati redditi contributivi di alcuni lavoratori a cui erano state intestate società a propria insaputa e per cui avrebbero subito una serie di pignoramenti. 

Gli approfondimenti hanno portato i militari del ministero dell’Economia a riscontrare una serie di anomalie in alcune imprese che hanno poi comportato l’esecuzione di tre ordinanze di misure cautelari e patrimoniali nei confronti di altrettante associazioni a delinquere finalizzate alla commissione di reati tributari (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte), fallimentari (bancarotta fraudolenta) e, in due casi, in materia di disciplina dell’immigrazione (favoreggiamento della regolarizzazione di soggetti presenti illegalmente sul territorio nazionale e produzione documenti falsi ai fini del rinnovo dei permessi di soggiorno).

Gli indagati sono 288 cittadini cinesi oltre ad alcuni italiani che operavano in studi commerciali e prestavano consulenze fiscali e sul lavoro. Trentatré i soggetti finiti ai domiciliari, tredici obblighi di dimora e un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Le misure sono a carico di quattro consulenti fiscali, otto loro dipendenti e trentacinque imprenditori di nazionalità cinese operanti nel distretto del tessile/abbigliamento fiorentino-empolese.

La forza dei numeri

Le aziende lavoravano nel settore delle calzature e avrebbero attuato un meccanismo conosciuto come apri-chiudi, grazie al quale si sarebbero sottratte al pagamento delle imposte. La sistematicità dell’apri-chiudi, personale, luoghi e macchinari erano i medesimi sebbene le intestazioni delle imprese ruotassero tra i soggetti anche considerati estranei all vicenda- seppur alla guida fossero sempre gli stessi soggetti – aveva fatto scattare più segnalazioni all’agenzia delle entrate che aveva nel corso del tempo riscontrato debiti nei confronti delle casse delle Stato a partire da da centinaia di migliaia di euro fino, in un caso, a 10 milioni. Una volta raggiunta una determinata soglia, l’azienda veniva fatta chiudere per poi aprirne una ex-novo. La procura di Firenze aveva infatti promosso nel tempo venti istanze di fallimento nei confronti di altrettante imprese, di cui 18 dichiarate fallite per debiti verso l’Erario quantificati in oltre 10 milioni di euro.

Come detto, erano 288 i soggetti cinesi coinvolti, 253 titolari formali e 35 di fatto, spalmati negli anni su 284 ditte individuali e 4 società a responsabilità limitata unipersonale. Il sistema di intestazione sarebbe stato random sebbene, di fatto, alla guida alla fine ci fossero gli stessi soggetti. Quest’ultimi collegati anche a connazionali dell’area pratese.

Nell’ipotesi investigativa si suppone che i proventi illeciti legati al mancato pagamento delle imposte superino i trenta milioni di euro, fondi che potrebbero essere già stati spostati in Cina (ipotesi però ancora non dimostrata), per cui si stanno eseguendo in queste ore i sequestri in Italia per beni mobili e immobili.

Il procuratore aggiunto Gabriele Mazzotta e gli uomini della Guardia di Finanza 

 

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