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Imprenditori indagati, imputati, a processo o condannati con patteggiamento (anche definitivo) per bancarotte, reati tributari, societari e urbanistici, corruzioni, traffici di influenze, turbative d’asta o frodi in pubbliche forniture. Che però potranno ottenere commesse milionarie dagli enti pubblici per le opere previste dal Pnrr, per di più quasi sempre senza gara. Ecco il ‘liberi tutti’ nel nuovo codice appalti approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri, modificato in più punti rispetto alla bozza di decreto delegato varata a dicembre per recepire i pareri delle Commissioni parlamentari. Un risultato che il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini rivendica, dicendo di aver “faticato” per raggiungerlo: “Nella stesura originaria, secondo il criterio di qualcuno, il semplice avviso di garanzia o il semplice rinvio a giudizio prevedevano l’esclusione dalla competizione industriale. Ritengo che escludere colui che è stato raggiunto da un avviso di garanzia, che dovrebbe essere a tutela dell’indagato, sarebbe stato proprio non di un sistema democratico ma di un sistema sovietico“, argomenta il leader della Lega. E chiosa: “Per me gli imprenditori sono presunti innocenti, non presunti colpevoli”.

La nuova legge, però, salva persino chi ha di fatto ammesso la colpevolezza, accordandosi con i magistrati sull’entità della pena. Lo fa, in primo luogo, modificando la norma che impone l’esclusione automatica dalle procedure dei condannati definitivi per mafia, terrorismo, corruzione, truffa, riciclaggio, false comunicazioni sociali, turbativa d’asta e altri gravi reati. Nell’attuale codice (articolo 80), i provvedimenti giudiziari che fanno scattare il ban sono tre: la sentenza definitiva di condanna, il decreto penale di condanna irrevocabile e la “sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti“, cioè il patteggiamento. Nel nuovo testo, che entrerà in vigore dal 1° aprile, l’articolo 94 fa saltare quest’ultimo riferimento: basterà convincere un pm a patteggiare per avere un salvacondotto valido per tutti gli appalti. Si tratta di un ennesimo strascico della riforma penale dell’ex ministra Marta Cartabia, che ha dichiarato nulle tutte le disposizioni extra-penali che equiparano il patteggiamento alla sentenza di condanna: per lo stesso motivo, a chi concorda una pena non si può più applicare nemmeno la legge Severino.

Accogliendo le richieste della maggioranza e di Azione-Italia viva, inoltre, il Cdm ha fatto anche un grosso regalo a bancarottieri, evasori fiscali e abusivisti edilizi. Vediamo perché. Nel nuovo codice si prevede che le stazioni appaltanti possano escludere le imprese per “grave illecito professionale” se risulta la “contestata o accertata la commissione”, da parte dei loro amministratori, di una serie di reati: esercizio abusivo della professione, bancarotta semplice o fraudolenta, reati tributari, societari o urbanistici. Nella prima versione – scritta dal Consiglio di Stato – tra i “mezzi di prova” ammessi per provare questo illecito erano compresi, oltre alle sentenze di condanna (definitive e non), anche il patteggiamento, il rinvio a giudizio, la richiesta di rinvio a giudizio, l’avviso di garanzia e le misure cautelari reali o personali (come il sequestro e la custodia in carcere o ai domiciliari). Nel testo definitivo, invece, salta quasi tutto: restano solo condanna definitiva, condanna non definitiva e misure cautelari. Chi è rinviato a giudizio o condannato con patteggiamento per bancarotta o frode fiscale, dunque, potrà continuare a contrattare indisturbato con la pubblica amministrazione. Il tutto mentre si rendono strutturali gli affidamenti senza gara sotto i 5,3 milioni di euro e gli affidamenti diretti sotto i 150mila euro. Al grido di “non disturbare chi vuole fare“.

 

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