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I fatti

Nella prima fase del giudizio cautelare, il titolare di una piccola attività commerciale nel settore merceologico alimentare, ha esposto di aver dovuto fronteggiare la crisi economica della sua azienda, conseguente alla chiusura in ragione delle misure adottate dal Governo per il contrasto alla diffusione del virus Covid-19 a partire da marzo 2020, e di avere pertanto chiesto di fruire della misura di agevolazione dell’accesso al credito adottata dal Governo per consentire l’immissione di liquidità nel sistema mediante il D.L. n. 23 dell’8 aprile 2020 (convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40) che ha previsto garanzie pubbliche per favorire l’accesso al credito di imprese piccole, medie e grandi e la sospensione dei termini di scadenza dei titoli di credito.

Lo stesso ha riferito di aver formulato richiesta di accesso al credito alla banca resistente con pec del 23 aprile 2020, alla quale la società ha risposto con un diniego, ritenendo dalla sua analisi istruttoria che non sussistessero i requisiti previsti dal D.L. liquidità.

Il ricorrente ha affermato di avere diritto ad ottenere il finanziamento, perché l’art. 13 del provvedimento citato assicurerebbe alle piccole e medie imprese ed alle persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni la cui attività d’impresa sia stata danneggiata dall’emergenza COVID-19 la prestazione della garanzia da parte del Fondo di garanzia per le PMI al 100%, laddove esse abbiano chiesto un finanziamento per un importo non superiore ai 25.000,00 euro e al ricorrere di ulteriori presupposti; ritenendo che l’erogazione del prestito fosse un atto dovuto dalla Banca, dovendo essa emettere una delibera positiva senza una preliminare valutazione del merito del credito, il ricorrente ha rilevato, a fronte ditale diniego, il rischio attuale e concreto dei completo tracollo della sua attività economica ed ha quindi chiesto che la banca fosse condannata all’erogazione del finanziamento richiesto, con vittoria delle spese di lite.

Il giudice della prima fase, con provvedimento emesso inaudita altera parte, ha accolto la domanda attorea.

La banca resistente, costituendosi in giudizio, ha chiesto preliminarmente la sospensione del decreto e l’anticipazione dell’udienza fissata per la conferma o meno del decreto emesso, atteso che controparte aveva già manifestato la volontà di agire in executivis, come infatti ha fatto notificando poi atto di precetto; nel merito, ha riferito che la domanda di finanziamento avanzata dalla controparte non aveva potuto trovare accoglimento atteso che dall’esame della sua situazione contabile, sarebbero emerse perdite considerevoli nel bilancio aziendale e ripetuti sconfini, oltre al fatto che il ricorrente non aveva pregressi rapporti con quell’istituto di credito; la resistente si è detta tenuta ad effettuare una valutazione del merito creditizio in sede di concessione di quei finanziamenti assistiti dalla garanzia dello Stato e tanto al fine di evitare danni erariali conseguenti alla concessione di prestiti a soggetti ad alto rischio di onorabilità; ha quindi chiesto il rigetto dell’avversa domanda cautelare, con vittoria delle spese di lite.

Nelle more, ovvero l’8 gennaio 2021, la banca ha provveduto all’erogazione del mutuo, versando su un conto corrente dedicato l’importo richiesto, pari a 11.757,00 curo.

Il giudice della prima fase ha deciso il ricorso ex art. 700 c.p.c., così revocando il provvedimento emesso inaudita altera parte, ordinando alla banca resistente di rivalutare la richiesta di concessione del mutuo sulla base dei criteri dettati dal legislatore e richiamati nella parte motiva dell’ordinanza e compensando per un terzo le spese di lite.

Avverso tale provvedimento, la banca ha proposto reclamo, lamentando sostanzialmente l’inesistenza di un qualsiasi diritto di mutuo in capo al ricorrente e ribadendo altresì la piena autonomia e discrezionalità della banca nell’accordare o no il finanziamento richiesto.

La soluzione

Il provvedimento da cui si muove per la redazione di questa note, emesso dal Tribunale di Brindisi il 7 agosto 2021, ha ritenuto che non esista alcun obbligo della banca a concedere il finanziamento, sul mero presupposto che essa possa contare ex lege sulla garanzia dello stato, restando comunque prerogativa dell’istituto di credito di valutare il c.d. “merito bancario” del soggetto richiedente.

Il Giudice ha accolto il reclamo, ritenendo che con il D.L. n. 23 del 2020, il Governo, preso atto degli effetti negativi che l’emergenza epidemiologica COVID-19 sul tessuto socio-economico nazionale, ha previsto misure di sostegno alla liquidità delle imprese e di copertura di rischi di mercato particolarmente significativi. In tale ottica, è previsto che ad essere automaticamente concessa al richiedente è la garanzia dello Stato, subordinata solo al ricorrere delle condizioni indicate nel DL., ovvero quelle indicate dalla lettera a) alla lettera n) del secondo comma dell’art. 1.

In tal senso, la Sace S.p.A., soggetto designato per il rilascio delle garanzie secondo il regime previsto dalla Comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020, non ha margini di apprezzamento discrezionale in ordine alla concessione dell’accesso al Fondo; diversamente, resta fermo il diritto del soggetto finanziatore di vagliare il merito creditizio del richiedente prima di concedere il prestito. Tale interpretazione della disciplina di emergenza in esame è suggerita da testo dell’art. 1, comma VI, che disciplina una procedura semplificata di accesso al finanziamento: è infatti previsto che l’impresa con meno di 5000 dipendenti in Italia e con valore del fatturato inferiore a 1,5 miliardi di curo interessata all’erogazione di un finanziamento garantito da SACE S.p.A., presenti a un soggetto finanziatore, che può operare ed eventualmente erogare anche in modo coordinato con altri finanziatori, la domanda di finanziamento garantito dallo Stato; che “in caso di esito positivo della delibera di erogazione del finanziamento da parte dei suddetti soggetti” – dice testualmente la disposizione – questi ultimi trasmettono la richiesta di emissione della garanzia a SACE S.p.A. e quest’ultima processa la richiesta, verificando “l’esito positivo del processo deliberativo del soggetto finanziatore” ed emettendo un codice unico identificativo del finanziamento e della garanzia; il soggetto finanziatore procede quindi al rilascio del finanziamento assistito dalla garanzia concessa dalla SACE S.p.A.

Ciò consente di ritenere che il diritto dell’istituto di credito di verificare la fattibilità dell’operazione non sia derogato dalla situazione emergenziale e quindi nessun automatismo si inserisca nella procedura di concessione del credito, risultando invece scevra da valutazioni discrezionali solo la concessione della garanzia dello Stato, al ricorrere delle condizioni di legge.

La ratio della normativa risiede nella garanzia della libertà di iniziativa economica costituzionalmente tutelata (art. 41 Cost.), nella necessità che l’urgenza di agevolare l’accesso al credito di soggetti pregiudicati dalle conseguenze fortemente negative sul piano economico e sociale della situazione di emergenza dichiarata a seguito della diffusione del virus Covid- 19 sia bilanciata con la necessità che la concessione di garanzie dello Stato avvenga a beneficio di soggetti economici dotati dei necessari requisiti di affidabilità, che quindi appaiano nelle condizioni di poter rimborsare le somme ricevute, e tanto a tutela di altri due principi di rango costituzionale, ovvero l’art. 47 Cost. secondo cui “la Repubblica incoraggio e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito” e l’art. 81 Cost., che sancisce l’obbligo assunto dallo Stato di assicurare “l’equilibrio tra le entrate e le spese del/proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”.

Resta fuori dalla cognizione del giudice, pertanto, la verifica della sussistenza dei presupposti, sotto il profilo contabile, per la concessione del finanziamento da parte della banca, al pari di ogni altra transazione economica fra privati. Il Giudice estensore ha rilevato poi di non ignorare che l’ordinamento riconosca al giudice il potere di sindacare la sussistenza del sinallagma contrattuale, al fine di ristabilire l’equilibrio equitativo del contratto (si pensi al potere di ridurre la clausola penale, al suo sindacato nel caso di esercizio dell’azione di rescissione o di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta). E tuttavia, tale potere equitativo tende ed esplicarsi in ordine al quomodo del regolamento contrattuale, con il limite, in ogni caso, del rispetto della libertà negoziale delle parti; nella fase delle trattative, invece, ovvero in relazione, specificamente, all’an dell’esercizio della libera iniziativa economica nel senso della decisione di operatore economico di stipulare o meno un contratto con un soggetto richiedente, il potere di intervento del giudice appare difficilmente configurabile, se non nelle ipotesi in cui l’operatore che fornisca un prodotto o servizio operi in un regime monopolistico o semi-monopolistico, ipotesi non ricorrente nel caso di specie.

Ciò ritenuto, il reclamo è stato accolto con ordine al ricorrente di restituire quanto mutuato, e con compensazione delle spese di lite di entrambe le fasi del giudizio, in ragione della non particolare facilità di interpretazione della normativa emergenziale emessa dal Governo.

Riferimenti normativi:

D.L. 8 aprile 2020, n. 23 conv. con mod. dalla L. n. 40/2020

 

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