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La Cortedi Cassazione, con la pronuncia in esame, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione con cui il ricorrente, condannato per il reato di bancarotta fraudolenta documentale nella sua qualità di legale rappresentante di una S.r.l., deduceva tra i vari motivi di doglianza la violazione della legge penale per avere il giudice di seconde cure omesso di valutare l’elemento soggettivo della fattispecie ascritta; in base a quanto evidenziato nel ricorso, i giudici d’appello, preso atto della mancanza di volontà in capo al soggetto di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, avrebbero infatti dovuto annullare la sentenza di primo grado e disporre la restituzione degli atti al Pubblico Ministero affinché procedesse per la diversa e meno grave fattispecie di bancarotta semplice, non caratterizzata dal dolo specifico, tipico – secondo la ricostruzione prospettata – di quella fraudolenta.

Nell’esaminare la questione sottoposta, i giudici della V Sezione puntualizzano preliminarmente come il reato di bancarotta fraudolenta documentale non richieda il dolo specifico, essendo sufficiente ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo quello generico, rappresentato dalla consapevolezza dell’agente che una tenuta della contabilità confusa potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, ma senza necessità che vi sia una volontà specifica di impedire tale ricostruzione. La locuzione “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari” – viene anzi precisato – è da riferire alla condotta e non alla volontà, dovendosi pertanto escludere, come peraltro già ribadito in occasione del precedente giurisprudenziale Manfredini (Sentenza n. 5264 del 2013), il dolo specifico.

La Suprema Corteritiene poi opportuno soffermarsi sulle ipotesi criminose di bancarotta documentale fraudolenta e semplice, mettendo in luce un particolare elemento strutturale che consente di operare tra di esse una distinzione. Tale elemento è da rintracciare nella condotta del soggetto fallito, rilevando nella bancarotta semplice“l’aspetto meramente formale” dell’omessa o irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili obbligatorie per legge, mentre in quella fraudolenta “un profilo sostanziale” che riguarda tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi (e non solo di quelle scritture la cui tenuta è imposta ex lege) e che richiede per la sua configurabilità l’ulteriore requisito dell’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito.

Pertanto, statuiscono i giudici di legittimità, l’imprenditore fallito che abbia omesso di tenere o abbia tenuto in modo irregolare o incompleto, anche solo negligentemente, sotto il profilo formale, le scritture contabili obbligatorie per legge ma che abbia tuttavia lasciato una traccia di tutte le sue operazioni gestorie ricavabile da documenti contabili seppur non regolarmente tenuti e tale da permettere in un momento successivo la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, non risponde del reato di bancarotta fraudolenta ma di quello meno grave di bancarotta semplice; l’imprenditore che, invece, “non solo non tenga o tenga irregolarmente i libri contabili obbligatori per legge, ma che non lasci anche alcuna traccia documentale delle operazioni gestorie compiute o conservi comunque documentazione contabile inidonea a ricostruire il patrimonio ed i movimenti contabili dell’impresa, risponde, ricorrendo l’elemento soggettivo del dolo generico, del delitto di bancarotta fraudolenta documentale”.

 

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