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La durata delle indagini preliminari

Gli artt. 22, comma 1, lett. a) e 98, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 150/2022 hanno rimodulato i termini di durata delle indagini preliminari, riformando l’art. 405 c.p.p., secondo le puntuali indicazioni contenute nell’art. 1, comma 9, lett. c), L. n. 134/2021.

In particolare, l’art. 405, comma 1, c.p.p. è stato soppresso, in modo da concentrare in tale norma la sola disciplina dei “Termini per la conclusione delle indagini preliminari”. Il contenuto dell’originario art. 405, comma 1, c.p.p., che disciplina l’inizio dell’azione penale, però, è stato riproposto nel nuovo art. 407-bis c.p.p., secondo cui “Il pubblico ministero, quando non deve richiedere l’archiviazione, esercita l’azione penale, formulando l’imputazione, nei casi previsti nei titoli II, III, IV, V e V- bis del libro VI ovvero con richiesta di rinvio a giudizio”.

L’art. 405, comma 2, c.p.p. è stato riformulato, recependo la disciplina dei nuovi termini delle indagini preliminari come fissati dalla legge delega in funzione della gravità dei reati per cui si procede: un anno per la generalità dei reati; sei mesi per le contravvenzioni; un anno e sei mesi per i delitti indicati nell’art. 407, comma 2, c.p.p.

La durata delle indagini, che decorre dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato, pertanto, è stata allungata ad un anno. Questo tempo è stato ridotto a sei mesi per le contravvenzioni ed è stato aumentato ad un anno e sei mesi, quando si procede per “taluno dei delitti indicati nell’art. 407, comma 2, c.p.p.”.

A tale ultimo riguardo, il legislatore delegato ha adoperato la stessa formula contenuta nell’art 1, comma 9, lett. c) della L. n. 134/2021, ritenendo che essa implicasse il rinvio all’intera elencazione di reati contenuti nella disposizione richiamata, senza permettere distinzioni nell’ambito della stessa. L’art. 407, comma 2, c.p.p., tuttavia, regola anche alcune ipotesi in cui la maggiore durata delle indagini non deriva dalla gravità in astratto del titolo di reato, ma dalla complessità di accertamento della notizia di reato (art. 407, comma 2, lett. b), c.p.p.) ovvero dalla necessità di compiere atti d’indagine all’estero (art. 407, comma 2, lett. c), c.p.p.) o, ancora, dall’indispensabilità di attivare indagini collegate tra più uffici del pubblico ministero (art. 407, comma 2, lett. d), c.p.p.).

Considerato che la proroga del termine delle indagini è ormai possibile, ai sensi dell’art. 406, comma 1, c.p.p., solo “quando le indagini sono complesse” e che i casi disciplinati dall’art. 407, comma 2, lett. b), c) e d), c.p.p. appena illustrati costituiscono sintomatiche situazioni di complessità delle indagini, deve ritenersi che il rinvio operato dall’art. 405, comma 2, c.p.p. sia riferito solo ai delitti nominativamente indicati nella lett. a) dell’art. 407, comma 2, c.p.p. Le ipotesi di complessità delle indagini contemplate nella restante parte di tale norma, invece, possono rappresentare esempi di indagini complesse, utili per riempire di contenuto la disposizione sulla proroga delle investigazioni (cfr. A. Sanna, Cronometria delle indagini e rimedi alle stasi procedimentali, in Proc. pen. giust., 2022, 45).

Rimane pienamente attuale l’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui, se il pubblico ministero acquisisce nel corso delle indagini preliminari elementi in ordine ad ulteriori fatti costituenti reato, nei confronti della stessa persona già iscritta nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., deve procedere a nuova iscrizione ed il termine per le indagini preliminari, previsto dall’art. 405 c.p.p., decorre in modo autonomo per ciascuna successiva iscrizione nell’apposito registro, senza che possa essere posto alcun limite all’utilizzazione di elementi emersi prima della detta iscrizione nel corso di accertamenti relativi ad altri fatti (Cass. pen. 18/03/2015, n. 32998; più recentemente Cass. pen. 06/03/2019, n. 22016).

L’art. 22, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 150/2022, infine, ha riformulato l’art. 407, comma 3, c.p.p., senza peraltro mutarne il significato. È stata infatti ribadita la sanzione di inutilizzabilità per gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine per la conclusione delle indagini preliminari stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, salvo quanto previsto dall’art. 415-bis c.p.p.

Appare opportuno segnalare al riguardo che, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti oltre il termine delle indagini preliminari ha natura fisiologica e, pertanto, non rileva nel giudizio abbreviato (Cass. pen. 21/05/2019, n. 22128; Cass. pen. 31/01/2018, n. 4694).

Al fine di verificare il rispetto dei termini delle indagini preliminari, inoltre, deve farsi riferimento alla data in cui i singoli atti di indagine sono compiuti e non a quella del deposito della informativa che li riassume (Cass. pen. 05/03/2020, n. 12104; Cass. pen. 25/03/2014, n. 19553; Cass. pen. 08/10/2008, n. 40409).

La disciplina della proroga delle indagini

L’art. 1, comma 9, lett. d), della legge delega n. 134/2021 ha fissato una direttiva, stringente per il legislatore delegato come quella in precedenza illustrata, con la quale la proroga delle indagini è stata limitata ad una soltanto, per un tempo non superiore a sei mesi, quando sia giustificata dalla complessità delle indagini.

Questa direttiva è stata attuata dall’art. 22 del D.Lgs. n. 150/2022 che ha riformato l’art. 406, commi 1 e 2, c.p.p., prevedendo che il pubblico ministero, prima della scadenza, può richiedere al giudice, quando le indagini sono complesse, la proroga del termine previsto dall’articolo 405. La proroga può essere autorizzata per una sola volta e per un tempo non superiore a sei mesi.

L’art. 98 dello stesso decreto legislativo, poi, ha soppresso i successivi commi 2-bis e 2-ter, non conformi alla nuova disciplina. Il comma 2-ter dell’art. 406 c.p.p., in particolare, era stato introdotto dalla L. n. 102/2006, per limitare ad una soltanto la proroga delle indagini per alcuni particolari delitti (ad esempio, i maltrattamenti, l’omicidio stradale o gli atti persecutori) per velocizzare tali procedimenti. Questa disposizione è stata soppressa a seguito della riforma che ha esteso la regola dell’unica proroga a tutti i procedimenti.

Poiché la durata delle indagini in materia di contravvenzioni è fissata in sei mesi, la previsione di una sola proroga comporta che la durata massima delle indagini per tali reati è stata limitata, con un intervento di adattamento della previsione dell’art. 407, comma 1, c.p.p., ad un anno invece dei diciotto mesi possibili in forza dei cumuli consentiti dalla disciplina previgente. È stato osservato su questo punto che il nuovo termine possa risultare eccessivamente rigoroso per quei reati contravvenzionali (quali, ad esempio, quelli in materia ambientale e di sicurezza sul lavoro) che necessitano di investigazioni particolarmente complesse per la molteplicità dei fatti o per il numero di persone coinvolte.

Il sistema delle proroghe dei termini di durata delle indagini preliminari, come è noto, trova il proprio fondamento nel bilanciamento tra le contrastanti esigenze di non consentire investigazioni sine die e di permettere all’inquirente di ricercare elementi utili per determinarsi in ordine all’esercizio dell’azione penale anche nei casi più complessi. Il legislatore ha inteso razionalizzare un meccanismo ritenuto “farraginoso e poco trasparente” (In questi termini si era espressa la relazione della Commissione “Lattanzi” i cui lavori hanno preceduto l’approvazione della legge delega n. 134/2021), limitando ad una sola la possibilità di proroga e superando il sistema previgente caratterizzato da provvedimenti che si ripetevano ogni sei mesi, fino ai diciotto mesi.

L’allungamento dei termini ordinari di durata delle indagini aumenta il tempo in cui l’indagato, in assenza del compimento di atti garantiti, può rimanere all’oscuro della pendenza di un procedimento a suo carico, con la conseguenza che è stato differito rispetto al passato il momento in cui questi viene posto nelle condizioni di attivarsi per predisporre le proprie difese. Tale allungamento, però, è stato bilanciato con la previsione di una sola proroga.

D’altra parte, il legislatore delegato ha preso atto che la completezza delle indagini preliminari “è divenuta, nel tempo, un architrave anche del processo” (Così la relazione della Commissione “Lattanzi”, nella quale è stato aggiunto che “la (pur elevata) durata delle indagini preliminari deve essere tale da consentire al pubblico ministero, ma anche a tutti gli altri soggetti del possibile processo, di effettuare scelte strategiche fondate”), assicurando un tempo reputato congruo per lo svolgimento delle investigazioni.

La previsione di una sola proroga va nella direzione dell’attuazione dei principi desumibili dall’art. 6 Cedu secondo cui un processo che oltrepassa il tempo ragionevolmente necessario per ricostruire i fatti e le eventuali responsabilità rende non più proficua o del tutto impossibile l’attuazione del diritto di difesa, frustra l’esercizio del diritto alla prova, sterilizza la realizzazione del contraddittorio e, al tempo stesso, lascia che un’eventuale risposta punitiva non soddisfi più la finalità rieducativa costituzionalmente imposta, rendendo così la pena non più socialmente utile (cfr. di recente, con riferimento al delicato tema della tutela dei diritti della persona offesa, CEDU 18/3/2021, P. c. Italia, in Dir. Pen. e Processo, 2021, 6, 841; CEDU 7/12/2017, A. c. Italia).

I presupposti per la proroga delle indagini

Nella disciplina previgente, l’accoglimento della prima richiesta di proroga era subordinato alla presenza di una generica “giusta causa”. L’art. 406 c.p.p., invero, impiegava una formula vaga, verosimilmente per assegnare al giudice per le indagini preliminari una ampia elasticità nell’autorizzare il primo supplemento investigativo. Le eventuali successive proroghe, invece, presupponevano la sussistenza di parametri più rigorosi e, quindi, maggiormente controllabili, come la “particolare complessità delle indagini” e “l’oggettiva impossibilità di concluderle entro il termine”.

L’art. 406, comma 1, c.p.p., come riformato dall’art. 22, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 150/2022, invece, collega la possibilità della richiesta di proroga alla complessità dell’indagine al fine di contenere il ricorso a tale differimento, fissando, in astratto, un parametro idoneo a permettere un controllo da parte del giudice per le indagini preliminari circa l’effettiva necessità di proseguire le investigazioni.

La complessità delle indagini, difatti, non è presupposto derivante dall’astratta fattispecie di reato ipotizzata, ma è requisito da accertare di volta in volta in base alla materia oggetto di investigazione, al numero delle persone coinvolte e alle imprevedibili particolarità della fattispecie concreta.

A seguito dell’eliminazione del presupposto della “giusta causa” per la prima proroga e dell’introduzione del parametro della complessità delle indagini, è stata eliminata la possibilità di richiedere il differimento della durata delle investigazioni anche quando non è stata svolta alcuna attività, motivando la giusta causa con il riferimento al complessivo carico di lavoro del magistrato (cfr. R. Fonti, Strategie e virtuosismi per l’efficienza e la legalità delle indagini preliminari, in A. Marandola (a cura di), Riforma Cartabia e rito penale. La Legge Delega tra impegni europei e scelte valoriali, Milano, 2022, 99).

Nello stesso tempo, pare difficile ricondurre alla complessità delle indagini – e ciò manifesta un profilo di particolare criticità della nuova disciplina – tutti quei casi, invero assai ricorrenti, in cui il mancato completamento delle investigazioni non dipende dalla volontà del pubblico ministero o dalle difficoltà oggettive, ma per esempio dalla condotta della polizia giudiziaria (cfr. A Bassi, C. Parodi, La riforma del sistema penale l. n. 134/2021: la delega e le norme immediatamente applicabili, Milano, 2021).

Nell’autorizzare la proroga, però, al fine di poter svolgere un più incisivo controllo ed anche per verificare i concreti spazi per la prosecuzione delle indagini, il GIP dovrebbe poter esaminare tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero. L’art. 406, comma 1, c.p.p., invece, continua a prevedere che la richiesta di proroga debba contenere solo l’indicazione della notizia di reato e l’esposizione dei motivi che la giustificano, limitando in tal modo la “base conoscitiva” del Gip.

Il requisito necessario per l’adozione dell’atto, del resto, avendo una natura oggettiva, sarebbe tale da permette un contraddittorio sulla sua sussistenza con la difesa, da realizzare, evidentemente, per mezzo del meccanismo della notificazione di cui all’art. 406, comma 3, c.p.p. Detto contraddittorio, però, è rimasto cartolare, essendo ancora realizzato per mezzo della presentazione di memorie scritte e, soprattutto, si svolge “al buio” nel senso che l’indagato ed il suo difensore non possono conoscere i risultati delle investigazioni, accedendo agli atti.

È opportuno segnalare, inoltre, che, secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, l’ordinanza del GIP che decide sulla richiesta di proroga del termine per la conclusione delle indagini preliminari non è impugnabile, neppure per mezzo del ricorso per cassazione (Cass. pen. 31/05/2017; Cass. pen. 08/05/2012).

La disciplina transitoria

L’art. 5-sexies della L. n. 199/2022 di conversione del D.L. 31/10/2022, n. 162 ha inserito nel D.Lgs. n. 150/2022 il nuovo art. 88-bis, recante “Disposizioni transitorie in materia di indagini preliminari”.

Secondo il comma secondo di questa norma, nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2022 – cioè alla data del 30/12/2022 – in relazione alle notizie di reato delle quali il pubblico ministero ha già disposto l’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. nonché in relazione alle notizie di reato iscritte successivamente, quando ricorrono le condizioni previste dall’art. 12 c.p.p. e, se si procede per taluno dei delitti indicati nell’art. 407, comma 2, c.p.p., anche quando ricorrono le condizioni previste dall’art. 371, comma 2, lett. b) e c), del medesimo codice, continuano ad applicarsi le disposizioni degli artt. 405, 406, 407, 412 e 415-bis c.p.p. e dell’art. 127 disp. att. c.p.p., nel testo vigente prima della data di entrata in vigore del presente decreto (art. 88-bis, comma 2).

Con riguardo ai termini delle indagini preliminari e alla connessa disciplina della proroga, pertanto, la previsione di cui all’art. 88-bis, comma 2, D.Lgs. n. 150/2022 pare escludere che per i procedimenti pendenti prima della data di entrata in vigore della riforma, per i quali i termini di indagine non fossero ancora scaduti, possa essere automaticamente riconosciuto il termine annuale di durata delle indagini divenuto ormai regola generale.

La disciplina della durata delle indagini e della proroga delle stesse come riformata dal D.Lgs. n. 150/2022, invece, trova applicazione nei procedimenti penali iscritti a partire dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo.

Riferimenti normativi:

Art. 405 c.p.p.

Art. 406 c.p.p.

Art. 407 c.p.p.

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