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Della riforma della legge fallimentare attuata dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e degli effetti per banche e imprese parleremo nel Convegno del 13 e 14 febbraio. Per maggiori informazioni vedasi la pagina dell’evento indicata tra i contenuti correlati.

La Corte di Cassazione conferma, nella sentenza che si massima, il consolidato principio di diritto dalla stessa espresso in relazione alla sussistenza della colpa grave necessaria per l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 217, comma 1, n. 4, l. fall. In particolare, la Corte afferma che “l’omissione della tempestiva richiesta di dichiarazione del proprio fallimento, causa di aggravamento del dissesto, deve essere sorretta dal coefficiente psicologico della colpa grave, che non è presunta ex lege”. Alla stregua di quanto sopra, nessuna presunzione di colpa grave può essere dedotta dal dato oggettivo del ritardo nella presentazione della dichiarazione di fallimento, in quanto la sussistenza dell’elemento soggettivo dipende in massima parte dalle scelte che hanno determinato il ritardo stesso.

Fermo quanto sopra, la Corte di Cassazione torna inoltre sulla dibattuta questione della qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento nel contesto dei reati di bancarotta e delle relative conseguenze in punto di verifica della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

La Corte, nello specifico, esclude in radice la ricostruzione offerta da una isolata pronuncia di legittimità (Cass. 47102/2012, Corvetta), che qualificava la dichiarazione di fallimento come elemento essenziale del reato (e pertanto da accertare in punto rapporto di causalità rispetto alla condotta del soggetto agente e sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo), affermando per contro che “in tema di elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è sufficiente la consapevole volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte”.

A tale stregua pertanto, indipendentemente dalla qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento come evento del reato o, come sostiene in obiter dictum la Corte, quale condizione obiettiva di punibilità, con riferimento a tale fattispecie “non è … necessario che il fuoco della volontà investa anche lo stato di insolvenza e il dissesto economico dell’impresa, essendo sufficiente la consapevolezza che la condotta distrattiva metta a rischio la patrimoniale apprestata a favore dei creditori”.

 

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