La concreta possibilità di risanamento è il presupposto per l’avvio della composizione negoziata e per la conferma delle misure protettive. Il tribunale di Lecco, con un provvedimento del 2 gennaio scorso, si è espresso rigettando l’istanza di una società che chiedeva la protezione prevista dall’articolo 18 del Codice della crisi ed ha preso posizione sui requisiti necessari per concedere tali misure, funzionali ad una continuità che deve già essere verosimile e documentata al momento di accesso a tale istituto.
La composizione può infatti essere un’opzione anche per l’impresa insolvente, purché il piano proposto – sottoposto al vaglio dell’esperto – dia sufficienti garanzie per il superamento di tale stato, sulla base di prospettive realistiche e proiezioni fondate su dati attendibili.
Il provvedimento in esame si concentra proprio sulla profondità delle verifiche giudiziali circa le prospettive di risanamento, in un contesto come quello della richiesta di conferma delle misure protettive innescato in un ambito stragiudiziale – quale quello della composizione negoziata – in cui le tutele per i creditori da eventuali abusi sono ridotte rispetto a contesti garantiti dalla presenza di un commissario giudiziale.
I giudici di Lecco non condividono l’impostazione per cui, nella fase di conferma delle misure protettive, il tribunale debba solo valutare che il tentativo di risanamento non sia manifestamente irrealizzabile, ovvero che l’alternativa liquidatoria sia deteriore per i creditori.
Ciò in quanto la richiesta va corredata da una serie di documenti da produrre insieme al ricorso (articolo 19 del Codice della crisi), che i giudici dovranno esaminare unitamente al parere dell’esperto: il progetto del piano di risanamento, il piano finanziario e le azioni che l’impresa intende adottare per affrontare la crisi.
Tale documentazione è funzionale all’espressione da parte del tribunale di un giudizio ragionato e basato sulla dimostrabilità e serietà del tentativo di risoluzione della crisi. Un percorso seguito empiricamente dai giudici di Lecco, con la constatazione che l’impresa ha avuto un utile 2021 basato sul solo incremento delle rimanenze, che ha iscritto immobilizzazioni immateriali in assenza delle quali il patrimonio netto sarebbe negativo, con una liquidità quasi nulla ed una gestione economica in sostanziale pareggio, a fronte di un indebitamento erariale, previdenziale e verso fornitori che non è in grado di pagare regolarmente.
Tutti elementi che hanno già da soli destato molte perplessità. Inoltre, nel caso in esame, l’esperto ha espresso l’impossibilità di esprimere un giudizio sulle prospettive di risanamento, non avendo elementi sufficienti ad una valutazione prognostica; oltre a ciò, non è stato effettuato il test di risanamento, vi è stato l’avvio delle trattative unicamente con un creditore ed i soci non hanno manifestato la disponibilità a sostenere finanziariamente l’impresa.
Da ultimo, la società ricorrente si è impegnata a liberare a breve i capannoni dove oggi opera, ma non ha quantificato i (tutt’altro che irrilevanti) oneri di trasferimento dell’attività.
Tutti elementi che confermano come il piano sia incompleto e scarsamente affidabile circa le concrete prospettive di risanamento, circostanza da cui discende il rigetto della conferma di misure protettive.
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