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Nella sentenza in esame la Suprema Corte chiarisce la questione di diritto se le somme sottoposte a sequestro conservativo (art. 671 c.p.c.) producano interessi ai sensi dell’art. 1282 c.p.c.. La questione si estende alle somme pignorate, posto che il sequestro conservativo su crediti si effettua nelle forme del pignoramento presso terzi (art. 678 c.p.c., comma 1) e si converte in pignoramento al momento in cui il creditore sequestrante ottiene la sentenza di condanna esecutiva (art. 685 c.p.c.).

La Corte evidenzia innanzitutto che è venuto meno il principio di esclusività degli uffici postali come gestori dei relativi depositi giudiziari e che risulta superata anche la regola della natura non fruttifera del deposito giudiziario. Pertanto, il denaro contante pignorato presso il debitore produce interessi per tutto il tempo che dura la custodia, nella misura fissata dalla banca, dall’ufficio postale o dagli altri enti abilitati ad aprire un libretto di deposito o un conto corrente nel contratto, dagli usi ovvero, in mancanza, in quella legale (art. 1825 c.c.). Gli interessi così maturati si accrescono al compendio sequestrato o pignorato ai sensi dell’art. 2912 c.c., secondo cui il pignoramento comprende i frutti (anche civili) della cosa pignorata.

Nel caso in cui il denaro di spettanza del debitore costituisca oggetto di una prestazione che in suo favore deve essere seguita da un terzo, l’oggetto del pignoramento non è il denaro contante, bensì il credito, come testualmente chiarito dall’art. 543 c.p.c., comma 1. A tal riguardo, il giudice di legittimità chiarisce il concetto di “somma” di cui all’art. 547 c.p.c., a mente del quale, nella dichiarazione c.d. “di quantità” resa dal terzo pignorato, questi deve specificare “di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso”: il concetto di “somma” indica, infatti, il solo ammontare nominale del debito, non l’individuazione specifica del denaro destinato al suo soddisfacimento.

Dunque, chiarito che il pignoramento presso terzi ha ad oggetto un diritto di credito, consegue che lo stesso va assegnato in pagamento (ovvero venduto, nell’ipotesi prevista dall’art. 553 c.p.c.,comma 2) con tutte le caratteristiche degli accessori che derivano dalla sua fonte. Pertanto, qualora il credito pignorato tragga origine da una fonte che prevede il decorso degli interessi, anche questi devono intendersi inclusi nell’oggetto del pignoramento.

Statuisce la Corte che anche per il pignoramento di crediti deve trovare applicazione il disposto di cui all’art. 2912 c.c., secondo cui il pignoramento comprende gli accessori, le pertinenze e i frutti della cosa pignorata. Perciò, qualora il terzo pignorato sia tenuto a corrispondere gli interessi al debitore esecutato, gli stessi vanno riconosciuti anche a vantaggio del creditore pignorante. La debenza degli interessi, pertanto, dipende dai criteri fissati dall’art. 1282 c.c., e la loro misura è stabilita nel titolo del credito pignorato.

Se, come nel giudizio qui in esame, costituisce oggetto di pignoramento (o di sequestro) il denaro giacente su un conto bancario, l’istituto di credito, costituito custode in quanto terzo pignorato (art. 546 c.p.c.), sarà tenuto a corrispondere al creditore assegnatario non soltanto l’importo disponibile alla data di notifica dell’atto, ma anche gli interessi nel frattempo maturati, nella misura stabilita nel contratto bancario.

In conclusione la Suprema Corte afferma ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3 – il principio di diritto secondo cui “in caso di sequestro conservativo o di pignoramento di crediti, il terzo sequestratario o pignorato, costituito ex lege custode delle somme pignorate, è tenuto alla corresponsione degli interessi nella misura prevista dal rapporto da cui origina il credito pignorato e con le decorrenze ivi previste. Tali frutti civili si accrescono al compendio sequestrato o pignorato ai sensi dell’art. 2912 c.c.”.

 

 

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