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Benché sia entrato in vigore l’1 aprile 2023 e abbia acquisito
efficacia (in parte) il successivo 1 luglio, c’è una parte del
nuovo D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici) che
continua ancora a dividere sia gli operatori che la critica. Mi
riferisco al Libro I, Titolo I, Parte I che in 12 articoli contiene
i “principi generali” applicabili alla disciplina.

Principi generali: perché e cosa sono?

L’idea di base del tavolo tecnico che ha predisposto il D.Lgs.
n. 36/2023 è stata quella di cambiare paradigma passando da un
codice “guardiano” a un codice “volano”, in cui la concorrenza non
è il fine ultimo ma solo uno strumento funzionale all’obiettivo
finale, ovvero il risultato.

Ed è da questo cambio di filosofia (su cui sono in molti ad
interrogarsi sulla compatibilità con il diritto europeo) che si è
deciso per la prima volta di introdurre le nuove regole sui
contratti pubblici cominciando con la codificazione dei
principi.

Ma cosa sono esattamente questi principi e a cosa servono? Lo ha
spiegato in maniera impeccabile il Consigliere di Stato Gianluca
Rovelli in un contributo pubblicato sul portale della Giustizia
Amministrativa, dal titolo “Introduzione
al nuovo codice dei contratti pubblici. I princìpi nel nuovo codice
degli appalti pubblici e la loro funzione regolatoria
“.

In questo approfondimento, il Consigliere parte da un assunto
assolutamente condivisibile: “La crisi della legge è sotto gli
occhi di tutti. Dalla tutela e disciplina di interessi quanto più
possibile generali, si è passati a una vera e propria
polverizzazione con un legislatore che ormai si prodiga in
interventi di tipo sempre più settoriale e particolaristico. La
tendenza del regolatore a “regolare tutto” porta il giurista a
cercare di orientarsi utilizzando i principi (generali e
costituzionali) per ricomporre l’unità assiologica e la coerenza
del sistema
“.

L’ipertrofia normativa

Quella che il Consigliere Rovelli definisce “tendenza a regolare
tutto”, si può anche chiamare ipertrofia normativa che, soprattutto
in ambito tecnico, finisce spesso per disorientare e svilire il
lavoro dei professionisti che dovrebbe davvero avere come unico
obiettivo il risultato finale (che deve coniugare al meglio il
rapporto qualità/prezzo e la concorrenza).

È da questa evidenza che nasce la necessità dei principi che
hanno lo scopo di “giustificare la prevalenza di una regola
sull’altra
“. Da questa considerazione nasce il “dilemma” della
distinzione tra principi e regole da cui si arriva alla
considerazione che i primi sono norme fondamentali che servono per
dare “fondamento assiologico” ad una molteplicità di altre norme.
Esattamente questo è il ruolo del Titolo I, Parte I del nuovo
Codice dei contratti
“, sostiene Rovelli che definisce
stucchevoli molte discussioni ruotate su questi principi e sulla
loro posizione all’interno del Codice.

Il Consigliere Rovelli sottolinea che “i principi chiedono
di essere applicati nella misura maggiore possibile. Questo è il
disegno del Codice dei contratti, in cui l’individuazione di
disposizioni di principio ha l’effetto di richiedere normalmente
l’interpretazione estensiva e di non tollerare l’interpretazione
restrittiva di quelle stesse disposizioni
“.

I principi nella interpretazione del diritto

Molto interessante è l’esempio relativo all’applicazione di una
delle norme fondamentali in materia di procedimento amministrativo
che la maggior parte dei tecnici che si occupano di edilizia e
lavori pubblici conosce molto bene, l’art. 21-nonies, comma 1 della
Legge n. 241/1990 che dispone:

“1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi
dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo
21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone
le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole,
comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione
dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi
economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai
sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato,
ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le
responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del
provvedimento illegittimo”.

Da qui la domanda che è stata affrontata diverse volte dai
tribunali: il limite temporale dei diciotto mesi si applica
sempre e comunque?

Il Consiglio di Stato ha risposto affermando che:

“In base ad una lettura costituzionalmente orientata
dell’art. 21-nonies, comma 1, l. 241/1990, deve ritenersi che il
limite temporale dei 18 mesi, introdotto nel 2015, in ossequio al
principio del legittimo affidamento, trova applicazione solo se il
comportamento della parte interessata, nel corso del procedimento o
successivamente all’adozione dell’atto, non abbia indotto in errore
l’amministrazione distorcendo la realtà fattuale oppure
determinando una non veritiera percezione della realtà o della
sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge e se grazie a
tale comportamento l’amministrazione si sia erroneamente
determinata (a suo tempo) a rilasciare il provvedimento favorevole.
Nel caso contrario, non potendo l’ordinamento tollerare lo
sviamento del pubblico interesse imputabile alla prospettazione
della parte interessata, non può trovare applicazione il limite
temporale di 18 mesi oltre il quale è impedita la rimozione
dell’atto ampliativo della sfera giuridica del
destinatario
”.

Un chiarimento che ha preso in considerazione sia l’art.
21-nonies, comma 1, della Legge n. 241/1990 che gli artt. 3 e 97
della Costituzione italiana.

Argomentare per principi

A questo punto il Consigliere Rovelli arriva al punto cruciale
del suo approfondimento ammettendo che “In generale, in sede di
interpretazione, argomentare per principi consiste nel fare appello
ad una norma (espressa o inespressa), di cui si assume la
“superiorità” — secondo i casi: materiale o meramente assiologica —
rispetto alla disposizione da interpretare, onde adeguare a quella
il significato di questa. E trattare una norma come principio
significa appunto assumerne la superiorità—quanto meno la
superiorità assiologica — rispetto ad un’altra
“.

I principi contribuirebbero, quindi, alla coerentizzazione del
sistema in tre modi diversi:

  • in quanto rationes legis, offrono una giustificazione unitaria
    di un insieme di norme di dettaglio o di principi più
    specifici;
  • in quanto rendono defettibili le norme che contrastano il
    principio;
  • in quanto richiedono l’interpretazione conforme al principio
    (essendo le norme di principio gerarchicamente sovraordinate, in
    senso assiologico, alle norme di dettaglio).

Il peso dei principi del Codice dei contratti pubblici

In definitiva, gli articoli da 1 a 12 del nuovo Codice dei
contratti dovranno avere un “peso” particolare soprattutto dal
punto di vista pratico e, quindi, ai fini della decisione di un
caso o nell’influenza che quella norma esercita
sull’interpretazione o sull’applicazione di altre norme.

Prendiamo – continua Rovelli – l’art. 2 del Codice
dei contratti, il tanto discusso e spesso travisato “principio
della fiducia”. Si tratta di un esempio lampante di meta principio
cioè uno di quei principi che riguardano, in senso lato, il
funzionamento della “macchina del diritto”, per usare una
espressione cara al realismo giuridico
“.

Per comprendere meglio il significato di questa affermazione,
Rovelli parla dell’art. 101 del D.Lgs. 36/2023 relativo al soccorso
istruttorio, affrontato

recentemente dal Consiglio di Stato
con la sentenza n.
7870/2023
che ha suddiviso questo istituto tra:

  • soccorso integrativo o completivo;
  • soccorso sanante;
  • soccorso istruttorio in senso stretto;
  • soccorso correttivo.

Secondo Rovelli “Il soccorso correttivo è un esempio
lampante di concretizzazione del principio della fiducia. A essere
rigorosi, il comma 4 dell’art. 101 avrebbe anche potuto non esserci
nel Codice perché uno dei contesti più frequenti di applicazione di
un principio è conseguente all’individuazione – per via di
abduzione – di un principio come giustificazione di un insieme di
altre norme. Una volta individuato, il principio giustificativo
retroagisce sulle norme giustificate, richiedendo che esse siano
interpretate in maniera conforme al principio stesso, eventualmente
rendendole defettibili, integrando alla luce del principio
eventuali lacune di disciplina, e così via. In altre parole, il
principio non si limita a fornire una spiegazione del complesso di
norme di partenza, ma ne orienta l’interpretazione e
l’integrazione
“.

Conclusioni

Concludendo il suo ragionamento, il Consigliere Rovelli ammette
che la funzione dei principi nel nuovo Codice dei contratti
discende da considerazioni su cui bisognerebbe convergere:

  • che principi e regole sono due tipi di norme;
  • che sono norme che esibiscono in misura diversa certe
    caratteristiche;
  • che la qualificazione di una norma come regola o come principio
    dipende talora da operazioni interpretative, altre volte dalla
    stessa qualificazione fatta dalla legge;
  • che, una volta qualificata una norma come principio, seguono
    determinate conseguenze sul piano dell’argomentazione – in altre
    parole, si faranno certe cose con regole, e certe altre con
    principi.

Questo, secondo Rovelli, è il senso e il ruolo degli articoli da
1 a 12 del Codice dei contratti pubblici.

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