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Secondo il Codice di Procedura Civile, qualora Caio si reputasse creditore di Tizio, egli dovrebbe ottenere un titolo giudiziale che lo riconosca tale (decreto ingiuntivo, sentenza o un qualunque altro similare provvedimento processuale che condanni Tizio al pagamento di quanto vantato da Caio) o, comunque, essere in possesso di un assegno o una cambiale impagata e, in forza di ciò, notificare al debitore un atto di precetto con esso intimandogli il versamento del dovuto entro dieci giorni, pena, ove ciò disattendesse, l’incardinazione della procedura esecutiva in suo capo, che è esperibile entro i successivi novanta giorni.

Nella ipotesi in cui, dunque Tizio non desse seguito alla notifica dell’atto di precetto, sì inadempiendo il proprio debito, egli sarà a essere oggetto di un pignoramento mobiliare, immobiliare o presso terzi (ossia il pignoramento che si rivolge al debitore di Tizio, come per esempio una Banca in cui costui intrattenesse un conto corrente e con il quale Caio lo invita a saldare direttamente a lui quanto dovuto a Tizio, sì da soddisfare le proprie pretese).

Tutte le suddette forme di pignoramento necessitano dell’intervento di un Giudice che, valutato che effettivamente i titoli vantati da Caio lo qualificano come creditore di Tizio, procede, dopo che i beni pignorati sono stati venduti all’asta o che il terzo abbia dichiarato di essere – si dice – “debitor debitoris”, ad assegnargli il ricavato della vendita o i soldi che il debitore di Tizio deve a quest’ultimo.

Se, però, Caio fosse una Pubblica Amministrazione potrà godere di due forme di pignoramento “speciali”, molto più veloci e snelle e che, addirittura, non abbisognano di un provvedimento giudiziale per essere eseguiti.

Si tratta dei pignoramenti “diretti” regolati dagli art. 72 e 72 bis D.P.R. n. 602/1973.

Cosa permette di usufruire di queste particolari ed esclusive forme di pignoramento. Un Ente che si assuma creditore di Tizio a titolo di entrate (tributarie e non) da lui impagate, invece che addivenire a un titolo giudiziale che lo riconosca tale, può formare il ruolo e trasmetterlo alla Agenzia delle Entrate – Riscossione per la predisposizione della cartella di pagamento oppure emettere la lista di carico e provvedere in proprio o per mezzo di un Concessionario che non sia la ex Equitalia a emettere ingiunzione di pagamento disciplinata dal Regio Decreto n. 639/1910.

La cartella di pagamento e la alternativa ingiunzione di pagamento, dunque, in materia esattoriale rappresentano ciò che nella procedura civile sono il titolo esecutivo e l’atto di precetto.

Una volta notificata la cartella di pagamento o la ingiunzione di pagamento, senza che esse siano saldate dal contribuente o a da lui opposte in sede giudiziale con dichiarazione di sospensione della esecutorietà da parte del Magistrato adito, l’Ente impositore o il suo Agente alla riscossione (come detto a seconda di che procedura di esazione sia perseguita all’origine) hanno diritto a procedere al pignoramento entro il termine di un anno dalla notifica del proprio titolo (art. 50, I Comma, D.P.R. n. 602/1973).

Laddove quanto sopra non venga esperito, i suddetti soggetti possono agire in via esecutiva verso il debitore notificandogli previamente un avviso di intimazione con il quale il contribuente viene invitato al saldo della propria morosità entro cinque giorni dalla notifica di questo atto, espressamente avvertendolo che, qualora ciò disattendesse, potrà essere incardinata l’esecuzione che sarà esperibile entro il successivo ulteriore termine annuale (art. 50, II e III Comma, D.P.R. n. 602/1973).

Il pignoramento ex art. 72 D.P.R. n. 602/1973. Nel caso in cui il debitore non saldi nei termini suddetti la cartella di pagamento o la ingiunzione di pagamento ovvero non adempia il successivo avviso di intimazione, l’Ente creditore o il proprio Agente possono esperire il pignoramento ex art. 72 D.P.R. n. 602/1973, detto anche “pignoramento di fitti e pigioni”.

Trattasi di un invito che il creditore rivolge a chi detenga a titolo di locazione un immobile del debitore, affinchè proceda a versare i canoni locativi direttamente alla Amministrazione, fino a concorrenza del credito escusso.

Il pignoramento ex art. 72 bis D.P.R. n. 602/1973. Sempre nella ipotesi in cui il contribuente sia debitore della P.A. a titolo di cartelle di pagamento o ingiunzioni di pagamento inevase o di avvisi di intimazione inadempiuti, costui potrà subire un pignoramento ex art. 72 bis D.P.R. n. 602/1973 con cui l’Ente impositore o il proprio Concessionario alla riscossione si rivolge al debitor debitoris (ossia, come si è detto in precedenza, a chi sia a sua volta debitore del cittadino inadempiente, dunque, per esempio, una Banca) invitandolo a riversare direttamente a lui ciò che presso di sé sia intestato al contribuente (per esempio la provvista di un conto corrente), sempre fino a concorrenza dell’importo del credito per cui si è proceduto.

La peculiarità dei suddetti pignoramenti e la ipotesi in cui il terzo non adempia all’invito al pagamento. Come è facilmente desumibile, i pignoramenti normati dagli art. 72 e 72 bis D.P.R. n. 602/1973 assicurano alla Pubblica Amministrazione la possibilità di avvalersi di procedure esecutive privilegiate e non riconosciute in godimento al cittadino, essi permettendo agli Enti pubblici di perseguire le proprie ragioni creditorie direttamente nei confronti dei soggetti terzi (che non sono ovviamente debitori della P.A. ma solo destinatari di un invito al pagamento) senza la necessità di rivolgersi all’Autorità giudiziaria che autorizzi il pagamento al creditore e, altresì e ovviamente, senza dover attendere le lungaggini della Giustizia italiana.

I pignoramenti oggetto di questo approfondimento, quindi, sono anche detti “diretti” e sono caratterizzati da una evidente celerità poiché i terzi che li ricevono e ove siano effettivamente debitori del contribuente devono adempiere all’ordine di adempimento immediatamente e, comunque, non oltre il termine di sessanta giorni dalla notifica.

Nella ipotesi, però, in cui il terzo non esegua il proprio obbligo ovvero costui si dichiari estraneo da ogni rapporto con il debitore, la Amministrazione o il proprio Concessionario altra soluzione non avranno che agire ai sensi dell’art. 543 c.p.c., dunque incardinando un pignoramento presso terzi “ordinario” dinanzi al Tribunale del luogo ove è residente il contribuente anche al fine, se del caso, di richiedere in detto procedimento l’accertamento dell’obbligo del terzo affinchè si possa definire giudizialmente se detto soggetto sia effettivamente debitor debitoris.

Le modalità di opposizione dei pignoramenti “diretti” – L’ipotesi del pignoramento tributario. Qualora il contribuente reputasse che non debba essere assoggettato a pignoramento, può impugnarlo in sede processuale.

La opposizione è, dunque, l’unico momento in cui un pignoramento ex art. 72 o 72 bis D.P.R. n. 602/1973 perviene innanzi a un Magistrato.

La impugnazione a un pignoramento “diretto” deve essere eseguita, innanzitutto, in ordine alla natura del credito escusso.

Se, infatti, il pignoramento è stato attivato per crediti di natura tributaria, il debitore dovrà esperire presso la competente Commissione Tributaria Provinciale una opposizione agli atti esecutivi qualora contesti che non sia mai avvenuta la notifica del titolo esecutivo oppure un ricorso ordinario ai sensi dell’art. 18 D. Lgs. n. 546/1992 (che può qualificarsi in senso atecnico come opposizione all’esecuzione) al fine di eccepire che il creditore non abbia diritto ad agire in via esecutiva verso di lui (per esempio in caso di prescrizione della pretesa creditoria).

In una sola ipotesi un pignoramento avanzato per crediti tributari può essere opposto dinanzi al Giudice Ordinario, ossia in Tribunale ed è la casistica prevista dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 7822/2020, qualora – ossia – le eccezioni solevate in ordine alla imperseguibilità dell’azione esecutiva attengono a fatti successivi alla notifica del titolo.

In sostanza, dunque, se – assumendo sempre come esempio la prescrizione – l’opponente evincesse che essa fosse intervenuta in epoca precedente alla notifica della cartella di pagamento, della ingiunzione di pagamento o dell’avviso di intimazione, egli dovrà rivolgersi alla Commissione Tributaria, mentre se tale fattispecie fosse invalsa successivamente a tale evento, la competenza è del Tribunale.

Attenzione, però, che in materia tributaria vige il principio della autonomia degli atti fiscali per cui, ai sensi dell’art. 19, III Comma, D. Lgs. n. 546/1992, un provvedimento tributario, ritualmente notificato e non opposto o adempiuto, non può essere più contestato nel suo merito, sicchè, al ricevimento di un pignoramento “diretto” emesso in forza di un credito di natura fiscale, il ricorrente sarà considerato decaduto dalle proprie difese e, in uno, la sua domanda sarà dichiarata inammissibile qualora sollevasse contestazioni relative a fatti precedenti alla notifica della cartella di pagamento o della ingiunzione di pagamento o, ancora, dell’avviso di intimazione e tali atti fossero stati portati correttamente alla sua conoscenza, ciò perché esse eccezioni sarebbero state da sollevare proprio al momento della notifica di tali provvedimenti.

In sede tributaria il pignoramento “diretto” sarà da opporre con gli ordinari mezzi previsti dal D. Lgs. n. 546/1992, dunque con ricorso da presentare entro sessanta giorni dalla notifica dell’atto innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale del luogo ove ha sede la Amministrazione creditrice, ciò in adempimento dell’art. 4 D. Lgs. n. 546/1992.
Posto che la giurisprudenza di legittimità ha ammesso anche in sede tributaria l’esperimento della opposizione agli atti esecutivi (sentenza Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 13913/2017), si potrebbe eccepire che – in detta circostanza – il termine di impugnazione sia quello normato dall’art. 617 c.p.c. pari a 20 giorni dalla notifica del pignoramento e che la competenza sia della Commissione Tributaria Provinciale del luogo ove ha sede il debitore ai sensi dell’art. 27 c.p.c.

La superiore ipotesi non è peregrina, ma, allo stato, non vi sono pronunce assunte a tal uopo.

L’ipotesi del pignoramento “diretto” civilistico. Laddove, invece, un pignoramento ex art. 72 o 72 bis D.P.R. n. 602/1973 sia formato al fine di riscuotere un credito della P.A. di natura civilistica (per esempio una sanzione amministrativa o i contributi previdenziali) la competenza a conoscere della impugnazione è esclusivamente riservata al Giudice Ordinario e, dunque, al Tribunale, a cui sono demandate le cause esecutive e di opposizione ai pignoramenti ai sensi dell’art. 9 c.p.c.

La competenza territoriale del Tribunale è da individuare in ordine alla residenza del debitore (art. 27 c.p.c.).

Le azioni da promuovere, dunque, saranno quelle disciplinate dagli art. 615, II Comma e 617, II Comma, c.p.c. a seconda che sia da esperire una opposizione all’esecuzione (da incardinare quando si contesti il diritto a procedere in executivis, circostanza che attiene, in sostanza, alle ipotesi in cui sia invalsa una causa di estinzione della pretesa creditoria, come la già citata prescrizione) o una opposizione agli atti esecutivi (quando si contesta la regolarità formale del pignoramento o della precedente progressione notificatoria, dunque rilevando di non aver ricevuto il titolo o l’avviso di intimazione).
L’azione di opposizione agli atti esecutivi è da esperire entro 20 giorni dalla notifica del pignoramento, pena la inammissibilità di essa, mentre la impugnazione all’esecuzione è incardinabile in ogni momento, sino a che i beni pignorati non vengano alienati all’asta o assegnati al creditore.

E’ prassi che, in caso di opposizione ai pignoramenti “diretti”, il Giudice, una volta essa ricevuta, sospenda l’esecuzione in attesa della udienza di discussione (si dice che la sospensione è disposta inaudita altera parte) per poi ciò confermare o meno in detta udienza a seguito della valutazione delle difese dell’Ente o del Concessionario.

Al termine della fase oppositiva il Tribunale emetterà, comunque e a prescindere se abbia o meno in precedenza dichiarato quanto sopra, un provvedimento cautelare che disporrà la sospensione o meno dell’esecuzione.

In questo provvedimento, altresì, il Giudice concederà un termine alle parti per agire ai sensi dell’art. 616 c.p.c. (ove sia stata esperita una azione di opposizione all’esecuzione) o ex art. 618 c.p.c. (conseguente alle impugnazioni agli atti esecutivi), qualora esse volessero addivenire in sede di merito e quindi discutere sull’annullamento o meno del pignoramento.
In ambito civile, dunque, la opposizione dei pignoramenti, compresi quelli speciali di cui ci siamo ivi occupati, è caratterizzata da una struttura bifasica eventuale, posto che la prima procedura, quella cautelare, è ineludibile, mentre quella successiva (di cognizione) è eventuale.

In conclusione. I pignoramenti diretti rappresentano un indubbio vantaggio che l’Ordinamento riconosce esclusivamente alle Amministrazioni (che già godono di una procedura favorevole nella formazione dei titoli esecutivi, non dovendo ricorrere, anche in questo caso, all’intervento del Giudice e che, altresì, possono procedere in esecuzione in termini temporali più ampi rispetto a quelli concessi al privato che deve agire – come detto – entro novanta giorni dalla notifica dell’atto di precetto), posto che, essi esperendo, le ragioni creditorie della P.A. possono essere soddisfatte con estrema solerzia.
I diritti difensivi dei debitori, però, non vengono in alcun modo lesi perchè nelle competenti Sedi possono essere esercitate tutte le azioni che il Legislatore ha disciplinato a tutela del debitore nelle ipotesi in cui siano esperiti i pignoramenti “ordinari”.

* A cura dell’avv. Giuseppe Lorè, STUDIO LEGALE LORE’ – PARTNER 24 ORE Avvocati

 

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