Il contratto preliminare è l’accordo con il quale le parti si obbligano a concludere entro un dato termine un successivo contratto definitivo, il cui contenuto essenziale è già stato concordato nel preliminare.
Si tratta di uno schema contrattuale molto usato nell’ambito degli acquisti immobiliari. Infatti, è prassi molto diffusa far precedere il rogito per l’acquisto di un immobile da un preliminare di vendita, in cui vengono messi nero su bianco i punti principali dell’affare.
In questo contesto, la Corte di Cassazione (sentenza n. 7612 del 9 marzo 2022) ha recentemente ribadito che il promissario acquirente può rifiutare la stipula del definitivo se scopre successivamente che l’immobile da acquistare è pignorato. Più precisamente: quando nel preliminare l’immobile viene garantito libero da ipoteche, spetta al venditore procedere alla cancellazione prima della data fissata per la stipula della vendita definitiva.
Casa garantita “senza vincoli”
Nella fattispecie, era stato sottoscritto un contratto preliminare di vendita nel quale i promittenti venditori aveva garantito al promissario acquirente che l’immobile in vendita era libero da ipoteche e da altri trascrizioni pregiudizievoli il diritto di proprietà.
Prima
della scadenza del termine per la stipula della vendita definitiva, però,
l’acquirente aveva scoperto che l’immobile, contrariamente a quanto garantito
dal venditore, era gravato da ipoteca. Ragion per cui, si era rifiutato di
sottoscrivere il rogito.
Risoluzione contrattuale
Il giudice di merito hanno ritenuto che la condotta del compratore – che aveva lasciato decorrere il termine fissato per la stipula del rogito – fosse del tutto giustificata. L’acquirente peraltro aveva contestato la presenza dell’ipoteca ai venditori e questi, senza avere mai risposto alla comunicazione, gli avevano notificato, dopo un anno, una diffida a recarsi presso un notaio per il rogito. Da qui la decisione di dichiarare la risoluzione del contratto preliminare di vendita per inadempimento dei venditori, ai sensi dell’art. 1453 del codice civile.
I
venditori hanno però proposto ricorso in cassazione, ritenendo di essere dalla
parte della ragione. Anche perché – sostengono – alla data fissata per la
stipula, la banca aveva dato l’assenso alla cancellazione dell’ipoteca e del
pignoramento sul bene. Nessun pregiudizio sarebbe dunque derivato – a loro dire
– al compratore con la stipula della vendita definitiva.
La Suprema
corte, nel respingere la domanda, ha evidenziato che, pur a fronte della
clausola in forza della quale i promittenti venditori avevano garantito che i
beni promessi in vendita erano liberi da ipoteche e da trascrizioni
pregiudizievoli, il compendio immobiliare oggetto del preliminare era risultato
invece gravato da ipoteca e da pignoramento. Circostanza che era stata
contestata dall’acquirente ai promittenti venditori.
Il principio
Il promissario acquirente di un immobile, garantito libero da ipoteche ma, in realtà, da esse gravato, può legittimamente rifiutare di stipulare il contratto definitivo se, come accertato nel caso in esame, alla data fissata per la relativa stipula, tali formalità pregiudizievoli non siano cancellate dal promittente venditore.
Buona fede contrattuale
Sullo sfondo della vicenda presa in esame, trovano applicazione diversi princìpi generali. Tra questi, anzitutto, la buona fede contrattuale. L’art. 1176 del codice civile dispone che “nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia”. Ed ancora, l’art. 1375 del codice civile ci dice che “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”. La norme impone a ciascuna parte l’adozione di comportamenti che – anche a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi negoziali – siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte.
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