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La realizzazione di una veranda chiusa sui 4
lati e coperta, attigua a un immobile già esistente, non può essere
considerata come mera pertinenza ma rappresenta a tutti gli effetti
una nuova costruzione, non condonabile ai sensi
della legge n. 326/2003, se realizzata in area vincolata.

Veranda abusiva in area vincolata: il no del Consiglio di Stato
al condono

Principi granitici in giurisprudenza, ribaditi dal
Consiglio di Stato con la sentenza del
25 gennaio 2024, n. 78
5,
sul ricorso contro il diniego di condono edilizio ex art. 32 d.l.
n. 269/2003 opposto da un’Amministrazione comunale, che ha anche
intimato la demolizione dell’opera abusiva.

Il TAR aveva già respinto il ricorso specificando che:

  • l’intervento aveva portato alla realizzazione di una struttura
    autonoma attigua a quella esistente, ovvero di una nuova opera e
    non di un mero ampliamento di quella esistente;
  • per giurisprudenza costante, la realizzazione di una veranda,
    chiusa sui lati, costituisce una trasformazione
    urbanistico-edilizia
    del preesistente manufatto, che in
    quanto idonea a modificarne la sagoma e creare nuovo volume, non
    può formare oggetto di condono;
  • la zona in cui era stato realizzato l’abuso è soggetta a
    vincolo paesaggistico, per cui l’intervento era insanabile come
    previsto dal c. 27 lett. d) art. 32 D.L. 30.9.2003, n. 269, secondo
    cui le opere abusive non sono suscettibili di sanatoria, qualora
    siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla
    base di leggi statali e regionali, a tutela degli interessi
    idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e
    paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali,
    regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di
    dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo
    edilizio, e non conformi alle norme urbanistiche e alle
    prescrizioni degli strumenti urbanistici;
  • la giurisprudenza ha ritenuto che il condono edilizio di opere
    abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli è
    ammissibile esclusivamente agli interventi di minore
    rilevanza
    indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del
    cit. D.L. 30.9.2003, n. 269 (restauro, risanamento conservativo e
    manutenzione straordinaria), non essendo in alcun modo suscettibili
    di sanatoria le opere abusive se, come avvenuto nel caso di specie,
    l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa;
  • nell’ipotesi di opere abusive realizzate su aree sottoposte a
    vincolo, il silenzio-assenso dell’amministrazione
    comunale può formarsi col decorso del termine di ventiquattro mesi
    dall’emanazione del parere dell’autorità preposta alla tutela del
    vincolo stesso, e soltanto se tale parere è favorevole
    all’istante;
  • affinché si abbia silenzio-assenso è necessario che il
    procedimento sia stato avviato da un’istanza conforme al modello
    legale previsto dalla norma che regola il procedimento di condono,
    e quindi, che la domanda di sanatoria presentata possegga i
    requisiti soggettivi ed oggettivi indicati dalla norma stessa;
  • in base a quanto previsto dall’art. 34, comma 1, del d.P.R. n.
    380/2001, “gli interventi e le opere realizzati in parziale
    difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura
    e spese dei responsabili dell’abuso entro il termine congruo
    fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile
    dell’ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura
    del comune e a spese dei medesimi responsabili dell’abuso”.
    La
    difformità parziale richiamata dalla norma è una categoria
    residuale, e presuppone modificazioni incidano su elementi
    particolari e non essenziali della costruzione, e si concretizzino
    in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle
    strutture essenziali dell’opera;
  • in base a quanto previsto nel comma 2 del citato art.
    34 “quando la demolizione non può avvenire senza
    pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il
    responsabile dell’ufficio applica una sanzione”
    . Tale facoltà
    non è tuttavia invocabile nel caso di specie in cui, come detto, le
    opere realizzate hanno dato luogo ad una nuova costruzione.

Nuove opere in area vincolata: niente condono edilizio

La decisione del TAR è stata confermata anche in appello da
Palazzo Spada: l’Amministrazione aveva
correttamente respinto l’istanza di condono “perché si tratta
di realizzazione dell’opera in contrasto con le norme urbanistiche
(Tip.1) sin dall’epoca della costruzione, sia all’entrata in vigore
della L.R. n. 31/2004, in zona soggetta a vincolo paesaggistico. In
tale contesto essa non è sanabile per il combinato disposto
dell’art. 32 comma 27 lett. d) del D.L. 269/2003 e dell’art. 2,
comma 1 della L.R. 31/2004”
.

Oltre al D.L. n. 269/2003, anche l’art. 2 della legge regionale
Lombardia n. 31/2004 esclude dal condono “le opere abusive
relative a nuove costruzioni, residenziali e non, qualora
realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e non
conformi agli strumenti urbanistici generali vigenti alla data di
entrata in vigore della presente legge”. È
vero che – prosegue
la norma – “L’esclusione non opera per le strutture
pertinenziali degli edifici prive di funzionalità
autonoma”, 
ma l’intervento in questione, per cui è causa,
stante le dimensioni e la natura, non rientra nel concetto di
struttura pertinenziale.

Infatti, per giurisprudenza costante, non può ritenersi
meramente pertinenziale un abuso che occupa un’area diversa e
ulteriore rispetto a quella già occupata dal preesistente edificio
principale. Pertanto, in materia edilizia la natura pertinenziale è
riferibile soltanto ad opere di modesta entità ed accessorie
rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il
contenimento di impianti tecnologici e simili ma non anche a opere
che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si
connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata
principale e non siano coessenziali alla stessa.

Terzo condono edilizio e vincolo di inedificabilità

Smentita anche la tesi dell’appellante sulla condonabilità
dell’opera, preclusa solo in caso di vincolo di inedificabilità
assoluta. Sul punto, il Consiglio ha spiegato che la
dimensione e la consistenza dell’opera realizzata, correttamente
inquadrata quale nuova costruzione, non consente la riconducibilità
della fattispecie al c.d. terzo condono in presenza di vincolo
paesaggistico ed idrogeologico e, contrariamente alla tesi della
parte appellante, non può nemmeno essere sanato previa
l’acquisizione dell’autorizzazione di cui all’art. 146 D.Lgs. n.
42/2004.

Infatti, l’applicabilità del terzo condono in riferimento alle
opere realizzate in zona vincolata è limitata alle sole
opere di restauro e risanamento conservativo o di
manutenzione straordinaria
, su immobili già
esistenti
, se e in quanto conformi alle norme urbanistiche
e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Con riferimento al c.d. “terzo condono”, l’art. 32 del d.l. n.
269/2003, convertito con modificazioni dalla l. n. 326/2003, fissa
limiti più stringenti rispetto ai precedenti “primo” e “secondo”
condono (leggi nn. 47/1985 e 724/1994), escludendo la possibilità
di conseguire il condono nelle zone sottoposte a vincolo
paesaggistico qualora sussistano congiuntamente due condizioni
ostative:

  • a) il vincolo di inedificabilità sia preesistente
    all’esecuzione delle opere abusive;
  • b) le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo
    abilitativo non siano conformi alle norme e alle prescrizioni degli
    strumenti urbanistici.

In tal caso l’incondonabilità non è superabile nemmeno con il
parere positivo dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.
Inoltre le opere soggette a vincolo idrogeologico non sono
condonabili ove siano in contrasto con il suddetto vincolo, anche
se questo sia stato apposto successivamente alla presentazione
dell’istanza di condono.

Pertanto, essendo l’applicabilità del condono in oggetto
limitata alle sole opere di restauro e risanamento conservativo o
di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti –
fattispecie che non sussiste nel caso concreto ove si tratta della
realizzazione di una nuova struttura coperta, chiusa su quattro
lati – è del tutto irrilevante, con riferimento al vincolo
paesaggistico esistente sull’immobile, la distinzione tra
inedificabilità assoluta e relativa.

Ordine di demolizione e fiscalizzazione dell’abuso

Per quanto riguarda la mancata applicazione dell’art. 34 del
d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), ovvero
della sanzione pecuniaria al posto di quella demolitoria (c.d.
fiscalizzazione dell’abuso“) ricorda il Consiglio
che in presenza della realizzazione di opere edilizie abusive, il
rimedio “ordinario” è quello dell’ordine di ripristino dello status
quo ante.

In presenza di un atto vincolato, qual è l’ordine di
demolizione, non è richiesta una specifica motivazione delle
ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo
con gli interessi privati coinvolti. Come costantemente confermato
dalla giurisprudenza, l’attività di repressione degli abusi edilizi
non è attività discrezionale, ma del tutto vincolata; ne consegue
che l’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e
rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde
per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato
dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è
già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente
nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della
loro abusività.

Per quanto attiene la possibilità di procedere alla demolizione
delle parti abusivamente costruite senza arrecare danno ad
eventuali parti correttamente costruite, questa attività
riguarda la fase esecutiva dell’ordinanza di
demolizione
. La costante giurisprudenza ritiene che non
sia l’amministrazione a dover valutare, prima di emettere l’ordine
di demolizione dell’abuso, se essa possa essere applicata, ma è il
privato interessato a dover dimostrare, in modo rigoroso, nella
fase esecutiva, l’obiettiva impossibilità di ottemperare all’ordine
stesso senza pregiudizio per la parte conforme.

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