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D’accordo che nessuno può essere considerato colpevole fino a una sentenza definitiva, però avere la prescrizione che gioca nel proprio campo è oggettivamente un bel vantaggio di partenza. La storia delle intricate vicende giudiziarie susseguitesi al crac delle ex Popolari venete, Bpvi e Veneto Banca, ci lascia per l’appunto questa lezione: più della fondatezza delle accuse mosse dalle Procure di Vicenza e Treviso a coloro che ricoprivano ruoli di primo piano nella gestione delle due banche, fin qui ha contato lo scorrere inesorabile del tempo a favore dei vari imputati.
Volete alcuni esempi? Eccoli, risalendo dal più recente a quelli precedenti. Veneto Banca: nei giorni scorsi è stata celebrata la prima udienza del processo per le presunte truffe commesse nella vendita delle azioni dell’istituto di credito montebellunese (imputati l’ex ad Vincenzo Consoli con i manager Mosè Fagiani e Renato Merlo), durante la quale si è appreso che, il 14 dicembre prossimo, il procedimento verrà inevitabilmente chiuso per prescrizione del reato.

Veneto Banca e la falce della prescrizione

Un processo nato morto, come tutti gli attori in causa sapevano fin dall’inizio. Questo esito, per quanto scontato, ha suscitato la vibrante indignazione del presidente del consiglio regionale veneto, Roberto Ciambetti: «Indegno di una nazione civile: la prescrizione sulla truffa delle azioni al processo di Veneto Banca segna una sconfitta inaccettabile dello Stato di diritto». Ancora Veneto Banca: dell’inchiesta-madre, quella contro il solo Vincenzo Consoli, è rimasta a oggi una condanna in Appello a 3 anni e con la revoca di tutte le confische, poiché nel tempo trascorso tra il primo (concluso con una sentenza di colpevolezza per 4 anni di pena) e secondo grado di giudizio, sono cadute per la solita prescrizione le imputazioni di aggiotaggio e falso in prospetto, rimanendo in vita soltanto quella per ostacolo alla vigilanza.

Vicenza, confische revocate

Passiamo a Vicenza. Qui un’inchiesta per truffa non l’hanno nemmeno iniziata, sapendo di andare a sbattere contro il muro del tempo. Ma la falce della prescrizione, anche in questo caso, è passata implacabile sulle condanne comminate in primo grado nel processo-madre, dimezzandole letteralmente in Appello (e le confische dei beni sono state revocate): l’ex presidente Gianni Zonin, giudicato responsabile del reato di ostacolo alla vigilanza, è sceso così da 6 anni e mezzo a 3 anni e 11 mesi, così come gli ex vicedirettori Andrea Piazzetta e Massimiliano Pellegrini; l’altro ex vicedirettore, Emanuele Giustini (autore di un memoriale in cui riconosceva le proprie responsabilità nella mala gestio della banca) ha visto la condanna ridursi a 2 anni e 7 mesi.

L’attesa della Cassazione

Ora si attende, come anche per Consoli, il pronunciamento definitivo della Corte di Cassazione, davanti alla quale si aprirà la discussione del ricorso proprio il fatidico 14 dicembre. Sempre a Vicenza, è un passo più indietro il procedimento parallelo contro l’ex direttore generale Samuele Sorato, giudicato a parte e dopo i suoi colleghi a causa delle precarie condizioni di salute: per lui, in primo grado è arrivata la condanna più pesante di tutte, 7 anni di reclusione e confisca dei beni fino a 963mila euro. Ma, anche nel caso dell’ex top manager di Bpvi, il tempo gioca a favore.

Le speranze dei risparmiatori

Le residue speranze delle migliaia di risparmiatori che si erano costituiti parte civile nei vari processi rimangono appese adesso all’ulteriore filone di inchiesta per bancarotta, reato che ha il pregio, rispetto a tutti gli altri capi d’accusa via via contestati, di prescriversi più lentamente. Entrambe le Procure di Treviso e Vicenza hanno coltivato questa ipotesi accusatoria, ancora in uno stadio preliminare. L’inchiesta trevigiana, comunque, è già arrivata a conclusione nei confronti di Vicenzo Consoli e altri 11 indagati tra manager ed ex amministratori di Veneto Banca, con riferimenti molto precisi a numerosi episodi di dissipazione delle risorse della Popolare montebellunese. Per i più ottimisti, inoltre, sempre nel filone Veneto Banca ci sarebbe anche il processo contro la società di revisione Pwc, che si svolge però a Roma: qui le accuse sono di ostacolo alle attività di vigilanza e falsità nelle relazioni di revisione, ma quest’ultimo reato, indovinate un po’, di fatto è già prescritto.

Lo Stato «tappa» i buchi fatti dal privato

All’atto pratico, per la sterminata platea di quanti ci hanno rimesso in parte o in toto i risparmi di una vita, bisogna ammettere un dato di fatto: gli unici, e sono più di 140 mila, che finora hanno recuperato qualcosa (il 30% più un ulteriore 10% a partire da lunedì prossimo, con un massimale di 100mila euro), sono stati gli ex azionisti che hanno percorso la strada dei rimborsi erogati dal Fir, il Fondo di indennizzo messo in piedi dal governo. Morale: le banche private hanno dissipato e la mano pubblica risarcisce.

 

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