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La presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta, i quali, fino al momento dell’eventuale concessione in sanatoria, restano comunque abusivi. E’ esclusa anche la possibilità di eseguire interventi soggetti a SCIA su manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati: se ciò accade, la domanda di condono decade e scatta la sanzione demolitoria.

Attenzione alle attività sugli abusi edilizi che stanno ‘aspettando’ un condono: un intervento di modifica infatti compromette in maniera definitiva la possibilità di sanatoria straordinaria.

Ce lo ricorda il Tar Campania nella sentenza 2256/2024 dell’8 aprile, inerente il ricorso contro l’ordinanza di demolizione di alcune opere edilizie (scala, terrazzo, locale deposito, finestre), realizzate senza titolo e in zona sottoposta a vincolo, per le quali era stata presentata un’istanza di condono edilizio ai sensi della legge n. 47/85 (Primo condono) nel marzo 1986, poi integrata nel 1997.

Successivamente era stata presentata una SCIA per la realizzazione di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.

 

Condono edilizio: se la realtà è diversa da quanto ‘scritto’ nell’istanza

Al momento del sopralluogo, in particolare, è stato rilevato che lo stato dei luoghi non era corrispondente a quanto rappresentato nella istanza di condono edilizio e della SCIA.

Nello specifico, era emerso che la rampa scala di accesso all’appartamento (situato al 1° piano del fabbricato) risultava “trasformata da n° 2 rampanti ad un solo rampante con creazione di terrazzo a livello il quale costituisce copertura per un locale deposito al piano terra, nonché realizzazione di una finestra ad un solo battente del soggiorno / cucina. Essendo l’abitazione oggetto di istanza di sanatoria ancora pendente, la scala ad un unico rampante, il terrazzo a livello del primo piano, il locale deposito al piano terra e la finestra del locale soggiorno cucina risultano illegittime”.

La ricorrente deduce che lo stato dei luoghi è corrispondente a quello rappresentato nella SCIA del 2015, formalizzata dalla ricorrente per la realizzazione di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria del terrazzo e della scala di accesso all’immobile che versavano in stato di vetustà presentando problemi di stabilità.

Alla istanza sono allegati grafici e fotografie, che però danno una visione molto parziale della scala, tanto che non è possibile accertare se al momento in cui è stata effettuata la SCIA la scala fosse ad unica rampa.

 

Condono edilizio: se lo stato attuale delle opere è difforme a quello dell’istanza, la sanatoria decade

La parte contestata è che lo stato attuale del fabbricato non  corrisponde a quello dichiarato nell’istanza di condono, dove l’accesso al primo piano era garantito da una scala a due rampe.

Tuttavia, sebbene la SCIA potesse aver rappresentato fedelmente lo stato dei luoghi al  momento della segnalazione della ricorrente, ovvero una scala a una sola rampa, è evidente che tra la presentazione dell’istanza di condono nel
1986 e la presentazione della SCIA sono state apportate delle modifiche non autorizzate da permessi edilizi
, soprattutto in una zona soggetta a vincoli paesaggistici.

Ciò significa che in pendenza di condono sono state realizzate opere senza titolo, il che può sintetizzarsi nel rilievo che al momento della presentazione del condono la scala era a due rampe, in un momento successivo la scala è stata modificata in una sola rampa.

In merito, il TAR evidenzia che, secondo costante e condiviso orientamento giurisprudenziale:

  • a) “In pendenza del procedimento di sanatoria, l’istante non è legittimato a modificare il manufatto abusivo potendo eseguire sul medesimo opere di completamento solo utilizzando la specifica procedura dell’art. 35, l. n. 47/1985 (che prevede che sia preventivamente eseguito un rilievo dell’opera in modo da farne constatare l’esatta consistenza e che dei lavori venga dato preventivo avviso al Comune in modo che esso possa eseguire le necessarie verifiche); in difetto di questa procedura trova applicazione l’orientamento ormai consolidato secondo cui la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta, i quali, fino al momento dell’eventuale concessione in sanatoria, restano comunque abusivi. Qualora ciò dovesse accadere, il Comune non può pronunciarsi sulla domanda di condono, ma è tenuto a sanzionare le opere con l’ordinanza di demolizione. Pertanto, sui manufatti non sanati non è comunque consentita la realizzazione di interventi ulteriori che, sebbene per ipotesi riconducibili nella loro individuale oggettività a categorie che non richiedono il permesso di costruire, assumono le caratteristiche di illiceità dell’abuso principale. Infatti, l’art. 35, comma 4, l. n. 47/1985, regolante le modalità e le condizioni in base alle quali è consentito al richiedente la sanatoria di completare, sotto la propria responsabilità, le opere abusive oggetto della domanda, dimostra semmai che, in linea di principio, è tassativamente impedita la prosecuzione dei lavori e la modificazione dello stato dei luoghi, se non con l’osservanza delle cautele previste dalla legge” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 22/09/2022, n.5885);
  • b) ne consegue che “Va esclusa la possibilità di eseguire interventi soggetti a s.c.i.a. su manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati, chiarendosi che non è applicabile il regime della s.c.i.a. a lavori edilizi che interessino detti manufatti, in quanto gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente” (Cassazione penale, sez. III, 24/05/2017, n. 30168);
  • c) “sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 10/01/2014, n. 166);
  • d) conseguentemente, “in pendenza di una domanda di sanatoria edilizia è preclusa agli interessati l’esecuzione di interventi modificativi della consistenza materiale del manufatto che ne forma oggetto, a partire dalla sua demolizione e ricostruzione con caratteristiche dimensionali diverse o con diversa destinazione”.

 

Manufatti non sanati ne condonati: gli interventi ulteriori sono abusivi di conseguenza

Il TAR continua sulla stessa linea ricordando che in presenza di manufatti abusivi non sanati, né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.

In questi casi la misura repressiva (demolizione) costituisce atto dovuto, che non può essere evitata nell’assunto che per le opere realizzate non fosse necessario il permesso di costruire o che avessero natura pertinenziale; ciò perché, in caso di prosecuzione di lavori di un immobile già oggetto di domanda di condono, vale il diverso principio in forza del quale è la prosecuzione in sé dei lavori ad essere preclusa, senza che sia possibile distinguere tra opere pertinenziali e non, tra opere soggette al permesso di costruire ed opere realizzabili con DIA (oggi SCIA).

 

Condono edilizio: no alla realizzazione di opere aggiuntive in pendenza di sanatoria

La normativa sul condono richiede la permanenza dell’immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento di condono, la realizzazione di opere aggiuntive venendo meno l’attuale riconoscibilità del manufatto originario oggetto dell’istanza di sanatoria.

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Fiscalizzazione dell’abuso edilizio: i requisiti

Infine, merita di essere evidenziato il passaggio che iin questo caso ‘esclude’ la possibilità di ricorrere alla cd. fiscalizzazione dell’abuso (sanzione pecuniaria in luogo della demolizione).

Secondo il TAR non è condivisibile la prospettazione difensiva secondo cui dalla eliminazione della scala e del deposito conseguirebbe un irreversibile pregiudizio alla proprietà della ricorrente: l’appartamento potrà essere comunque occupato, salvo il minimo disagio temporale rappresentato dal rifacimento della detta scala.

Nell’ambito dell’articolo 33 del dpr 380/2001, imnfatti, la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con una pecuniaria è una fase successiva all’ordine di demolizione.

Prima dell’applicazione della sanzione pecuniaria, l’amministrazione deve ordinare il ripristino dello stato dei luoghi. La sanzione pecuniaria può essere considerata solo se dimostrato l’impossibilità oggettiva di procedere alla demolizione senza compromettere la stabilità dell’edificio. Tale valutazione può essere fatta solo nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione, non prima, e deve essere supportata da una valutazione tecnica motivata.

In breve, la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria come alternativa alla demolizione deve essere valutata durante la fase esecutiva, su segnalazione della parte privata, e non durante l’adozione del provvedimento sanzionatorio da parte dell’amministrazione.


LA SENTENZA INTEGRALE E’ SCARICABILE IN ALLEGATO PREVIA REGISTRAZIONE AL PORTALE.

 

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