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La testimonianza è un dovere per il cittadino, tuttavia, alcuni soggetti possono astenersi, in virtù del particolare ruolo che ricoprono. Tra questi v’è l’avvocato, il quale non può essere obbligato a deporre su quanto conosce in ragione del proprio ufficio (art. 249 c.p.c. che richiama l’art. 200 c.p.p.).

L’avvocato, esercitando la facoltà di astensione, tutela il segreto professionale. Il giudice ha il potere di sindacare l’opposizione del segreto e, qualora la giudichi infondata, può ordinare al teste di deporre.

Il codice deontologico forense prevede un dovere (e non una mera facoltà) di astensione e riguarda il caso in cui il legale sia chiamato a testimoniare su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività professionale e ad essa inerenti.

Pertanto, l’avvocato può astenersi dal testimoniare anche in relazione a fatti appresi durante l’esercizio di attività stragiudiziale.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza del 3 dicembre 2020 n. 27703 (testo in calce).

La vicenda

Durante il giudizio di primo grado, due avvocati, citati come testi, esercitano la facoltà di astenersi ai sensi del combinato disposto degli artt. 249 c.p.c. e 200 c.p.p. I legali, infatti, avevano svolto, in epoca antecedente al giudizio, attività professionale a favore della parte in causa, durante la quale avevano appreso i fatti su cui avrebbero dovuto testimoniare. Il giudice ritiene legittima l’astensione e su questo punto viene interposto appello. La Corte d’Appello dichiara inammissibile il gravame proposto dall’appellante ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. ritenendo insussistenti ragionevoli probabilità di accoglimento. In buona sostanza, l’appello non supera il cosiddetto “filtro”. L’appellante ricorre in Cassazione avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. per violazione dell’art. 111 c. 7 Cost. Inoltre, propone ricorso ordinario avverso la sentenza di primo grado. La Suprema Corte interviene, quindi, sul tema principale del ricorso, ossia sulla facoltà per l’avvocato di astenersi dal deporre come testimone. Prima di analizzare la questione, ricordiamo brevemente le regole sulla ricorribilità in Cassazione contro l’ordinanza filtro.

Ordinanza filtro e ricorso in Cassazione

L’ordinanza di inammissibilità dell’appello (ex art. 348 bis c.p.c.) non è impugnabile con ricorso per Cassazione, quando ha confermato le statuizioni di primo grado, benché seguendo un percorso argomentativo parzialmente diverso da quello operato dalla sentenza gravata. Infatti, in tale circostanza, non si configura una decisione fondata su una ratio decidendi autonoma e diversa (Cass. 23334/2019). Viceversa, è ammissibile il ricorso in Cassazione in caso di vizi processuali propri dell’ordinanza filtro (Cass. S.U. 1914/2016; Cass. 15/2017).

Per completezza, si ricorda che l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. fornisce una valutazione prognostica circa la non ragionevole probabilità di accoglimento del gravame e si tratta di una valutazione di merito.

Ricorso in Cassazione contro la sentenza di primo grado

Il ricorrente ha proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza di primo grado. Infatti, nel caso in cui l’appello sia stato dichiarato inammissibile (ex art. 348 ter c.p.c.), il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado può essere proposto, purché nei limiti delle questioni già sollevate con l’atto di appello e di quelle riproposte ex art. 346 c.p.c. La circostanza che, nel ricorso, i motivi siano diversamente formulati è irrilevante e trova giustificazione nella natura del ricorso per cassazione, quale mezzo di impugnazione a critica vincolata. La dichiarazione di inammissibilità dell’appello non comporta «sostanziali modificazioni nel giudizio di legittimità, fatta eccezione per la necessità che l’impugnazione sia rivolta direttamente contro la sentenza di primo grado e per l’esclusione della deducibilità del vizio di motivazione» (Cass. 23320/2018).

Avvocato e facoltà di astensione dalla testimonianza

Il ricorrente ritiene che gli avvocati non potessero avvalersi della facoltà di astensione dalla testimonianza. Infatti, nessuno dei due legali era stato difensore delle parti nel giudizio in cui erano stati chiamati come testi. Inoltre, le circostanze su cui avrebbero dovuto deporre non erano state apprese nel corso di una difesa tecnica. La Suprema Corte rigetta la doglianza ripercorrendo, prima, la natura della testimonianza per poi arrivare all’art. 200 c.p.p. Tale disposizione, rubricata segreto professionale, contiene una deroga al dovere di testimoniare. Infatti, alcune categorie professionali, tra cui gli avvocati, non possono essere obbligati a deporre. Tuttavia, spetta al giudice il potere di sindacare l’opposizione del segreto professionale da parte del testimone e, qualora la giudichi infondata, può ordinare allo stesso di deporre (Cass. Pen. 7440/2017; Cass. Pen. 13369/2011). L’art. 200 c.p.p. è richiamato dall’art. 249 c.p.c. che riconosce a taluni soggetti, tra cui l’avvocato, la “facoltà di astenersi” dal rendere testimonianza.

La facoltà di astensione e la tutela del segreto professionale

Sulla facoltà di astensione dell’avvocato si è pronunciata anche la Corte Costituzionale (sent. 87/1987), illustrando, tra le altre cose, anche la finalità dell’istituto.

La facoltà di astensione deriva dalla disciplina sul segreto professionale che consente all’avvocato di non testimoniare su quanto appreso nell’esercizio della professione. Tale disciplina risponde all’esigenza di assicurare una difesa tecnica:

  • basata sulla conoscenza di fatti e situazioni,
  • non condizionata dalla obbligatoria trasferibilità di tale conoscenza nel giudizio, attraverso la testimonianza dell’avvocato stesso.

In tal modo, si garantisce la piena esplicazione del diritto di difesa; infatti, il cliente può rendere edotto l’avvocato di tutti i fatti e circostanze che conosce per consentire al suo legale l’esercizio di un efficace ministero difensivo. Quindi, la facoltà di astensione dell’avvocato:

  • non costituisce un’eccezione alla regola generale dell’obbligo di rendere testimonianza,
  • ma è espressione del diverso principio di tutela del segreto professionale.

I presupposti per esercitare la facoltà di astensione

La Consulta ha individuato i presupposti necessari affinché l’avvocato possa legittimamente astenersi dal rendere una testimonianza. Si tratta di due requisiti:

  1. il requisito soggettivo riguarda la condizione dell’avvocato che è chiamato a testimoniare, consiste nell’essere la persona professionalmente abilitata ad assumere la difesa della parte in giudizio;
  2. il requisito oggettivo riguarda l’oggetto della deposizione, che deve concernere circostanze conosciute per ragione del proprio ministero difensivo o dell’attività professionale.

L’avvocato può avvalersi della facoltà di astensione in relazione alle conoscenze acquisite in ogni fase dell’attività professionale:

  • contenziosa,
  • stragiudiziale.

Quindi, il presupposto oggettivo, connesso allo svolgimento dell’attività professionale, non può ritenersi circoscritto alla sola ipotesi in cui il legale abbia assunto la veste di difensore nel processo. Il giudice deve valutare la presenza dei requisiti soggetti e oggettivi suindicati. La scelta dell’avvocato di astenersi «non è sindacabile sotto il profilo dell’interesse del soggetto che ha articolato la prova testimoniale».

Incompatibilità a testimoniare

L’incompatibilità a testimoniare ricorre quando una persona, dotata di capacità di testimoniare nella generalità dei processi penali (art. 196 c.p.p.) e civili, non è legittimata a svolgere la funzione di testimone in un determinato procedimento (cosiddetta capacità specifica). Si tratta di una scelta del legislatore, il quale intende:

  • esonerare alcuni soggetti dall’obbligo di dire la verità (art. 197, c. 1, lett. a, b, c, c.p.p.);
  • escludere tutti quei soggetti che abbiano ricoperto determinate funzioni all’interno dello stesso procedimento (art. 197, c. 1, lett. d, c.p.p.).

Si tratta, in entrambi i casi, di limiti soggettivi alla testimonianza. Orbene, la Cassazione precisa come, nel caso di specie, non si sia applicato il citato art. 197 c.p.p., ma il diverso istituto dell’astensione. Infatti, nella fattispecie scrutinata, non esisteva un divieto legale di rendere testimonianza.

Il codice deontologico forense e il dovere di astensione

Il codice deontologico forense, adottato nel 2014, all’art. 28 dispone che sia “dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto e il massimo riserbo sull’attività prestata e su tutte le informazioni che gli siano fornite dal cliente e dalla parte assistita, nonché su quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato”. Inoltre, in tema di testimonianza dell’avvocato, l’art. 51 prevede che “L’avvocato deve astenersi, salvo casi eccezionali, dal deporre, come persona informata sui fatti o come testimone, su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività professionale e ad essa inerenti”.

Come si evince dalle disposizioni succitate, al legale è fatto dovere di astenersi. Tale astensione non riguarda solo l’avvocato che abbia assunto la veste di difensore del processo. Infatti, l’art. 51 del codice deontologico non menziona tale circostanza.

Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso presentato avverso l’ordinanza filtro (art. 348 ter c.p.c.) e rigetta il ricorso avverso la sentenza di primo grado. Gli Ermellini bocciano l’interpretazione restrittiva propugnata dal ricorrente, secondo cui la facoltà di astensione può essere esercitata solo dall’avvocato che abbia assunto il ruolo di difensore nella causa. Infatti, l’avvocato può astenersi dal testimoniare anche in relazione a fatti appresi durante l’esercizio di attività stragiudiziale.

La Corte richiama, altresì, quanto affermato dalla Consulta in relazione ai presupposti per esercitare la facoltà di astensione:

  • «La facoltà di astensione dalla testimonianza in giudizio presuppone la sussistenza di un requisito soggettivo e di un requisito oggettivo. Il primo, riferito alla condizione di avvocato di chi è chiamato a testimoniare, consiste nell’essere la persona professionalmente abilitata ad assumere la difesa della parte in giudizio. Il secondo requisito è riferito all’oggetto della deposizione, che deve concernere circostanze conosciute per ragione del proprio ministero difensivo o dell’attività professionale, situazione questa che può essere oggetto di verifica da parte del giudice»

CASSAZIONE CIVILE, ORDINANZA N. 27703/2020 >> SCARICA IL PDF

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