Utilizza la funzionalità di ricerca interna #finsubito.

Agevolazioni - Finanziamenti - Ricerca immobili

Puoi trovare una risposta alle tue domande.

 

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito
#finsubito news video
#finsubitoagevolazioni
Agevolazioni
Post dalla rete
Vendita Immobili
Zes agevolazioni
   


La presente trattazione riguarda un istituto poco conosciuto in ambito di espropriazione immobiliare, l’assegnazione dell’immobile allo Stato, sul quale la dottrina (v. BURANA, in “Commentario breve alle leggi del processo tributario”, 2008, pag. 1059) e la giurisprudenza (cfr. Tribunale di Forlì, ordinanza 02.08.2010; Tribunale di Torino, ordinanza 31.05.2011) avevano già da tempo rilevato profili di incostituzionalità.

In particolare l’art. 85, primo comma, del D.P.R. n. 602/1973, prima dell’intervento della Consulta, stabiliva che, «se il terzo incanto ha dato esito negativo, il concessionario, nei dieci giorni successivi, chiede al giudice dell’esecuzione l’assegnazione dell’immobile allo Stato per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede, depositando nella cancelleria del giudice dell’esecuzione gli atti del procedimento».

Tale disposizione, introdotta dall’art. 16 del D.L.gs. n. 46/1999, sostituisce il precedente art. 87 del D.P.R. n. 602/1973 – che disciplinava l’istituto della devoluzione di diritto del bene allo Stato quando il terzo incanto non era autorizzato ovvero aveva avuto esito negativo – e si caratterizza per la riconduzione del processo esecutivo esattoriale nella sfera del controllo del giudice dell’esecuzione cui tale processo è ormai in larga misura estraneo, tanto da essere stato qualificato alla stregua di un procedimento amministrativo speciale, lontano dall’ordinario processo esecutivo (cfr. Cassazione civ., sez. III, sentenza 19.07.2005, n. 15201).

Con sentenza del 28.10.2011 n. 281, la Corte Costituzionale ha affermato l’illegittimità costituzionale della versione previgente dell’art. 85, comma 1, del D.P.R. n. 602 cit. per violazione del principio di eguaglianza sub. specie del criterio di ragionevolezza, posto che con l’assegnazione dell’immobile allo Stato per la somma per cui si procede si giungeva a fissare un prezzo del bene privo di “qualsiasi collegamento con il valore del bene e che può essere ance irrisorio; e ciò nonostante che il trasferimento immobiliare abbia la finalità di trasformare il bene in denaro per il soddisfacimento dei creditori e non certo di infliggere una sanzione atipica al debitore inadempiente”.  Di qui la sentenza additiva della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità della disposizione “nella parte in cui prevede che, se il terzo incanto ha esito negativo, l’assegnazione dell’immobile allo Stato ha luogo per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede, anziché per il prezzo base del terzo incanto”.

La sentenza della Corte, in ragione dei riscontrati profili di illegittimità della norma impugnata, ha eliminato quindi la possibilità che l’immobile esecutato sia assegnato allo Stato al prezzo corrispondente alla somma per la quale si procede, facendo venire meno il cosiddetto «criterio del minor prezzo» e, per conseguenza, assumendo come parametro economico per l’assegnazione del bene allo Stato l’altro termine di confronto, segnatamente, il prezzo del terzo incanto, valore, quest’ultimo, che, tenuto conto dell’esito negativo dei tre esperimenti d’asta, «si pone in rapporto non irragionevole con il valore dell’immobile» (sul tema, PICIOCCHI, in “Il <<giusto prezzo>> per l’assegnazione dei beni allo Stato”, Giurisprudenza Costituzionale n. 3/2012, pag. 198 e ss.).

Tuttavia, autorevole dottrina ha rilevato un vizio logico nell’iter argomentativo della Consulta: la Corte ritiene il legislatore legittimato a fissare qualsiasi criterio di determinazione del prezzo di assegnazione, purché in ragionevole rapporto col valore del bene pignorato e proprio per questo annulla il parametro dell’ammontare del credito tributario messo in esecuzione, ma salva l’art. 85 cit. nel riferimento al valore della terza asta andata deserta che pure sarà estremamente più basso del valore reale del bene, sia per l’originaria quantificazione in funzione della rendita anche se rivalutata (art. 79 D.P.R. n. 602 cit.), sia per effetto dei due ribassi del trenta per cento conseguenti alle due aste andate deserte (così, PRINCIPATO, in Giustizia Costituzionale, 2011, pag. 3670).

E’ opinione diffusa che la nuova disciplina (v. anche le modifiche introdotte dall’art. 3, comma 40, del D.L. n. 203/2005), come meglio si dirà in seguito, contenga novità di grande importanza. A prima lettura, però, chi avesse seguito gli accesi dibattiti ed i vivaci commenti che avevano accompagnato l’emanazione del nuovo testo potrebbe essere indotto a pensare che la normativa in esame non ha poi una portata così rilevante. Certo, a differenza del procedimento previgente, ora l’assegnazione avviene nella sede giurisdizionale, ossia innanzi al Giudice dell’Esecuzione. In questo caso, abbiamo, quindi, la presenza di un organo al di sopra delle parti che istruisce il procedimento di attribuzione del bene.

Ciò nondimeno, si potrebbe essere tentati di osservare (forse non del tutto a torto) che, in definitiva, la montagna ha partorito un topolino. 

1) L’assegnazione del bene allo Stato tra vecchia e nuova disciplina

Ai sensi dell’art. 85 del D.P.R. n. 602/1973 : << 1. Se il terzo incanto ha esito negativo, il concessionario, nei dieci giorni successivi, chiede al giudice dell’esecuzione l’assegnazione dell’immobile allo Stato per il prezzo base del terzo incanto, depositando nella cancelleria del giudice dell’esecuzione gli atti del procedimento. 2. Il giudice dell’esecuzione dispone l’assegnazione, secondo la procedura prevista dall’articolo 590 del codice di procedura civile. Il termine per il versamento del prezzo per il quale è stata disposta l’assegnazione non può essere inferiore a sei mesi. 3. In caso di mancato versamento del prezzo di assegnazione nel termine, il processo esecutivo si estingue se il concessionario, nei trenta giorni successivi alla scadenza di tale termine, non dichiara, su indicazione dell’ufficio che ha formato il ruolo, di voler procedere a un ulteriore incanto per un prezzo base inferiore di un terzo rispetto a quello dell’ultimo incanto. Il processo esecutivo si estingue comunque se anche tale incanto ha esito negativo>>.

L’art. 85 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come modificato dall’art. 16 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, ha ridisegnato il quadro normativo della riscossione coattiva a mezzo ruolo, ribadendo il concetto di “trasferimento” dell’immobile allo Stato quale possibile esito dell’esecuzione.

La ratio di questa «specialità» risiede nel fatto che «la disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate risponde all’esigenza della pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato ed è, per tale ragione, improntata a criteri di semplicità e speditezza della procedura» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 281/2011).

In particolare, l’art. 85 cit. prevede non più l’automatica devoluzione dell’immobile allo Stato in caso di esito negativo dell’ultimo incanto, piuttosto la sua assegnazione allo Stato, ma dopo apposito provvedimento del Giudice dell’Esecuzione. E’ chiara la diversa filosofia che ispira la norma in questione; infatti, viene meno ogni automatismo, rafforzandosi il carattere giurisdizionale del procedimento, essendo necessario, per ottenere l’attribuzione del bene allo Stato, un provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Ciò posto, occorre sin d’ora rilevare che dal 1° luglio 2017, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 2, del D.L. n. 193/2016, l’esercizio delle funzioni relative alla riscossione nazionale è svolto dall’ente pubblico economico denominato Agenzia delle entrate-Riscossione sottoposto all’indirizzo e alla vigilanza del Ministro dell’economia e delle finanze. Il nuovo ente pubblico è subentrato, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle società del Gruppo Equitalia ed ha assunto la qualifica di agente della riscossione con i poteri e secondo le disposizioni di cui al titolo I, capo II, e al titolo II, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. 

Di conseguenza, qualsiasi riferimento al Concessionario (poi Agente della Riscossione) è ora da intendersi al nuovo ente denominato Agenzia delle entrate-Riscossione. 

Tale situazione, con riferimento alla disposizione in commento, potrebbe ingenerare non pochi problemi applicativi che non è possibile approfondire in questa sede. Basti qui solo rilevare che sarà compito dell’Agenzia delle Entrate provvede a monitorare costantemente l’attività dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, secondo principi di trasparenza e pubblicità.

Come già accennato, l’art. 85 D.P.R. n. 602/1973 prevedeva che nel caso in cui il terzo incanto avesse esito negativo il Concessionario potesse chiedere, entro i dieci giorni successivi, l’assegnazione dell’immobile allo Stato <<…per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede>>. Lo Stato era in tal modo autorizzato a pagare un prezzo anche di gran lunga inferiore rispetto a quello fissato per il terzo incanto, lontano anche dal valore effettivo dell’immobile.

Orbene, la modifica recata dall’art. 85 D.P.R. n. 602/1973 prevede che l’assegnazione dell’immobile allo Stato in caso di esito negativo del terzo incanto avvenga non già al minore tra il prezzo base del terzo incanto e l’ammontare del credito per cui si procede, bensì al prezzo base del terzo incanto; prezzo, quest’ultimo, maggiormente rappresentativo del valore di mercato del bene rispetto all’importo del credito e, in quanto tale, idoneo ad evitare o, quantomeno, a minimizzare possibili lesioni dei diritti proprietari del debitore. Si tratta, in questo senso, di modifiche normative che sono da accogliersi con favore e che, oltre a recepire precise indicazioni della giurisprudenza costituzionale in punto di ragionevolezza della disciplina, evitano possibili censure allo Stato italiano con riferimento ai principi posti dalla CEDU a tutela dei diritti proprietari (v. SOLDI, in “Riflessioni a margine di alcune recenti novità in tema di esecuzione”, Manuale dell’esecuzione forzata, 2015, pag. 1305). 

Il comma 1 dell’art. 85 cit. dispone che, per l’ipotesi di esito negativo del terzo incanto, <<nei dieci giorni successivi>>, l’Agente della Riscossione, oggi Agenzia delle entrate-Riscossione, chieda al giudice dell’esecuzione l’assegnazione dell’immobile allo Stato, là dove invece nel testo previgente D.P.R. n. 602 cit., si parlava di devoluzione “di diritto allo Stato”: sul punto, è stato a suo tempo chiarito che, nella esecuzione esattoriale, la devoluzione a norma dell’art. 87 D.P.R. n. 602 cit. avveniva di diritto, senza bisogno di decreto di trasferimento (necessario, invece, in caso di aggiudicazione), per il verificarsi dell’esito negativo del terzo incanto o per sua mancata autorizzazione, tant’è vero che il verbale che faceva constare questi presupposti costituiva titolo per la trascrizione e la cancellazione delle ipoteche (così, GRECO, in Bollettino tributario, 1985, pag. 1386 ss.); inoltre, il giudice dell’esecuzione, che non doveva pronunciare alcun provvedimento ai fini della devoluzione, non poteva neppure revocare o comunque escludere la devoluzione (nella giurisprudenza di merito, v. Pretura di Avellino, sentenza 07.08.1998).

Secondo la dottrina, il termine di dieci giorni per chiedere l’assegnazione non sarebbe perentorio; l’istanza di assegnazione potrebbe quindi essere delibata anche se proposta dopo tale termine temporale, benché comunque non oltre l’udienza di cui all’art. 590 c.p.c. (così CASTORO, in “Il processo di esecuzione e il suo aspetto pratico”, 2002, pag. 618 ss.).  

La precedente versione fissava un termine per effettuare il versamento dell’eventuale conguaglio. Questa disposizione è stata modificata con il D.L. n. 203/2005 ed è stato eliminato ogni riferimento al “conguaglio” (e quindi alla differenza tra il valore del bene e quello del credito), sostituendolo con quello del “prezzo per il quale è stata disposta l’assegnazione”, così fissando la regola in base alla quale l’assegnatario procede al pagamento del prezzo di assegnazione.   

Nella versione attuale, quindi, l’art. 85 cit. esclude sia la possibilità per l’esattore di chiedere l’assegnazione a favore dello Stato a soddisfacimento del credito erariale (c.d. assegnazione satisfattiva o datio in solutum giudiziale) sia la possibilità per lo Stato di limitarsi al versamento del solo eventuale conguaglio tra il prezzo di assegnazione e il credito per cui può utilmente collocarsi in sede di riparto (c.d. assegnazione mista). Ciò tanto è vero che, come detto, l’art. 3 comma 40 del D.L. 30.9.2005 n. 203 (convertito con emendamenti in legge 2.12.2005 n. 248) ha sostituito ai comma 2 e 3 dell’art. 85 cit. le parole “dell’eventuale conguaglio” con le parole “del prezzo per il quale è stata disposta l’assegnazione”.

Ciò che si deduce implicitamente, ma inequivocabilmente, è che tale procedura esclude la possibilità per l’esattore di chiedere l’assegnazione a favore dello Stato, compensando il pagamento dell’immobile con il credito vantato. Infatti, laddove l’immobile dovesse avere un prezzo base d’asta superiore al credito, è esclusa la possibilità per lo Stato di limitarsi al versamento del solo eventuale conguaglio tra il prezzo di assegnazione ed il credito da egli stesso vantato.

Legittimato a proporre l’istanza di assegnazione pare essere il solo Agente della Riscossione, ora Agenzia delle entrate-Riscossione, e non anche l’eventuale creditore intervenuto: se infatti, da un lato, la norma in commento riserva al solo Agente della Riscossione, oggi Agenzia delle entrate-Riscossione, tale iniziativa, dall’altro, l’art. 54 di questo stesso D.P.R. esclude un siffatto potere in capo ai creditori intervenuti, disponendo, in proposito, che, nell’esecuzione coattiva tributaria, l’intervento conferisce ai creditori soltanto il diritto di partecipare alla distribuzione della somma ricavata (così GRASSOTTI, in “Corriere Tributario”, 2003, pag. 3774). 

Nella giurisprudenza più risalente è stato osservato che “affinché il giudice possa disporre l’assegnazione del bene, che è onere del creditore richiedere, è necessario che non vi siano offerte all’incanto, che perciò, per l’espropriazione immobiliare, costituisce un presupposto necessario, al cui espletamento, ancorché infruttuoso, è subordinata la possibilità, per il giudice dell’esecuzione, di disporre il passaggio all’assegnazione del bene pignorato, e perciò i due mezzi di soddisfazione coattiva del credito non sono fin dall’inizio in concorso alternativo, ma successivo, e cioè deve essere tentata la vendita con incanto almeno una volta per poter passare al sussidiario mezzo di realizzazione del credito, costituito dall’assegnazione” (così, Cassazione civ., sez. II, sentenza 20.06.2008, n. 16799).  

Non è dubbio che la principale differenza tra la disposizione pregressa – che disciplinava l’istituto della devoluzione di diritto allo Stato – e la versione attuale consista, segnatamente, nell’aver introdotto il provvedimento del giudice dell’esecuzione ai fini dell’assegnazione, ancorché, rispetto al rito ordinario, con poteri pressoché nulli in fatto di determinazione del prezzo. Sotto quest’ultimo profilo, la dottrina non ha mancato di sottolineare come il giudice dell’esecuzione mantenga poteri limitatissimi, quasi «notarili», non potendo intervenire sulla determinazione del prezzo ovvero, più in generale, governare il processo (cfr. PICCIOCCHI, op. cit., pag. 195). Per questo motivo è stata ritenuta eccessiva la conclusione che si legge nella circolare dell’Agenzia delle entrate 6 ottobre 2003, n. 53/E, secondo cui l’art. 85 del D.P.R. n. 602/1973, come modificato dalla novella del 1999, «ha introdotto nel quadro normativo della riscossione coattiva a mezzo ruolo l’istituto processuale-civilistico dell’assegnazione di immobili».

Se, dunque, nella previgente disciplina, la mancata autorizzazione al terzo incanto da parte degli organi amministrativi chiamati a intervenire nella procedura esecutiva esattoriale implicava, al pari dell’eventuale suo esito negativo, l’acquisizione di diritto dell’immobile al patrimonio dello Stato, oggi ciò non accade più, perché la richiesta dell’agente della riscossione deve essere vagliata dal giudice dell’esecuzione. 

Alla luce delle considerazioni che precedono, quindi, è senz’altro possibile affermare che l’intervenuta modifica del procedimento di assegnazione dell’immobile allo Stato sia di portata significativa (sebbene, attesi i limitati poteri del giudice, non rivoluzionaria), mentre l’unico elemento rimasto in comune con il passato attiene ai criteri, particolarmente favorevoli per l’Agente della Riscossione, ora Agenzia delle entrate-Riscossione, per la determinazione del prezzo di assegnazione.


Su Shop.Wki.it è disponibile il volume “Espropriazione immobiliare”, Marini Paolo, ALTALEX EDITORE, 2017.

Check List aggiornata alla nuova procedura esecutiva introdotta dal D.L. n. 59/2016.

Consulta l’indice


2) Modalità procedurali dell’assegnazione 

Come abbiamo visto, in caso di mancata vendita anche al terzo incanto, l’Agente della Riscossione, ora l’Agenzia delle entrate-Riscossione, se procede per entrate tributarie dello Stato, nei 10 giorni successivi, può chiedere al giudice dell’esecuzione l’assegnazione diretta dell’immobile allo Stato per il prezzo base del terzo incanto. 

Con tale procedura l’immobile del contribuente passa in proprietà dello Stato; tuttavia, se il valore del terzo incanto è superiore rispetto al debito maturato dal contribuente, a quest’ultimo sarà dovuto il pagamento della differenza.

Anche la nuova previsione normativa non è immune da problemi applicativi, che devono essere risolti tenendo conto della ripartizione di competenze tra Agenzia delle Entrate ed Agenzia del Demanio. Con la circolare n. 53/E del 6 ottobre 2003, infatti, l’Agenzia delle Entrate ha impartito le istruzioni operative cui gli Uffici, le Filiali e le Sezioni Staccate dell’Agenzia del Demanio devono attenersi in sede di applicazione dell’art. 85 del D.P.R. n. 602/1973.

In buona sostanza, dopo aver chiesto al giudice dell’esecuzione l’assegnazione dell’immobile allo Stato, l’Agente della Riscossione, oggi l’Agenzia delle entrate-Riscossione, è tenuto a seguire le varie fasi del procedimento, per poi trasmettere, con la massima urgenza, al competente ufficio dell’Agenzia del Demanio copia dell’eventuale ordinanza di assegnazione con la quale viene fissato il termine per il versamento del prezzo, unitamente a copia degli atti relativi alla procedura immobiliare.

Il carattere di urgenza della fase di trasmissione dei sopra citati atti è dettato dall’esigenza di abbreviare il più possibile i tempi della fase preliminare del procedimento di assegnazione, e permettere così, da un canto, all’Agenzia del Demanio, di beneficiare del maggior margine di tempo utile a svolgere la valutazione dell’immobile (sono infatti gli uffici preposti che, sulla base della documentazione ricevuta, procedono ad un esame tecnico- economico del bene da acquisire, per decidere in merito all’opportunità dell’acquisto), dall’altro, all’Agenzia delle Entrate, di attivare in maniera tempestiva la procedura di pagamento del prezzo di assegnazione.

Resta ovviamente impregiudicata per lo Stato la facoltà di non acquisire il bene sul presupposto della non convenienza dell’importo da versare: precisazione importante perché esclude che allo Stato sia imposta l’assegnazione del bene per un valore giudicato dal mercato incongruente all’esito dei tre incanti e perché conferma, sia pure indirettamente, la circolare dell’Agenzia delle entrate che ha rimesso all’Agenzia del demanio la valutazione sulla convenienza se acquistare l’immobile.

E questa scelta, in seguito all’entrata in vigore del c.d. federalismo demaniale, dovrebbe dipendere dalla possibilità di destinare l’immobile per finalità istituzionali delle Amministrazioni pubbliche (sul punto, il D.L.gs. n. 85/2010, nel quadro di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, ha previsto la cessione agli enti locali di tutti gli immobili dello Stato non destinati all’esercizio di attività istituzionali).

Del resto, la valutazione per lo Stato di addivenire all’acquisto di un bene (rimasto invenduto per ben 3 aste) è quanto mai opinabile nei tempi attuali in cui la tendenza è quella di ridurre le spese e, quindi, dismettere i beni pubblici.  

La disposizione prevista dall’art. 85 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, riguarda solo i crediti dello Stato e non già i crediti di altre Amministrazioni pubbliche, tra le quali le regioni e gli enti locali, sebbene anche le loro pretese possano confluire in ruoli consegnati all’agente della riscossione.
L’art. 30 del D.L.gs. n. 46/1999 stabilisce, infatti, che la disposizione dell’art. 85 del D.P.R. n. 602/1973 «si applica solo se si procede per entrate tributarie dello Stato». Da qui la necessità di qualificare e distinguere le entrate tributarie dello Stato dalle altre entrate di natura non tributaria (segnatamente, contributi previdenziali ed assistenziali, entrate non tributarie degli enti locali) per la riscossione delle quali è, tuttavia, possibile ricorrere allo strumento del ruolo.

Diversamente opinando si arriverebbe ad eludere proprio ciò che la norma tende ad evitare, ovvero pagare con somme erariali eventuali debiti dell’esecutato verso altre Pubbliche Amministrazioni.

Pertanto, nel caso in cui non si proceda per entrate tributarie dello Stato, qualora il terzo incanto abbia avuto esito negativo, non potrà applicarsi il disposto dell’art. 85 D.P.R. n.  602/1973, sicché ai sensi dell’art. 30 D.l.gs. n. 46/1999, se il terzo incanto ha esito negativo, il procedimento si estingue qualora, nel termine di 60 giorni da tale incanto, il concessionario, ora Agenzia delle entrate-Riscossione, non dichiara, su indicazione dell’ufficio che ha formato il ruolo, di voler procedere ad un ulteriore incanto per un prezzo base inferiore di un terzo rispetto a quello dell’ultimo incanto. Il processo esecutivo si estingue comunque se anche tale incanto ha esito negativo.

Secondo la Corte costituzionale, i tributi come l’IRAP o l’ICI, essendo interamente disciplinati dallo Stato, ancorché il loro gettito sia devoluto, rispettivamente, a regioni e Comuni, continuano a considerarsi a tutti gli effetti entrate tributarie dello Stato per la riscossione coattiva delle quali le quali potrà trovare applicazione la procedura in commento (tra le tante, cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 296/2003; n. 297/2003; n. 37/2004).

A seguito del versamento del prezzo di assegnazione, ai sensi dell’art. 586 c.p.c., il giudice pronuncerà il decreto di trasferimento dell’immobile allo Stato. Al versamento segue dunque l’acquisizione del prezzo alla massa attiva (art. 509 c.c.) e la sua assegnazione all’esattore se non vi sono altri creditori concorrenti (artt. 84 DPR e 510 c.p.c.). 

Nel caso di intervento di altri creditori, deve procedersi alla distribuzione in ragione delle rispettive cause di prelazione tra esattore e altri concorrenti, secondo quanto previsto dagli artt. 84 DPR e 596 c.p.c..

Il secondo comma della disposizione in commento prevede poi che il termine per il pagamento del prezzo non sia più di tre giorni, come stabilito nel vecchio testo dell’art. 88 D.P.R. n. 602 cit., ma di sei mesi. Secondo la previgente disciplina (v. art. 89 D.P.R. n. 602 cit.), il prezzo base del nuovo incanto era stabilito in misura pari a quello della precedente aggiudicazione e se il prezzo che se ne ricavava unito alla cauzione confiscata risultava inferiore, l’aggiudicatario inadempiente era tenuto al pagamento della differenza.  

Il termine si ritiene perentorio e, di conseguenza, non è ammesso un versamento tardivo, pur se legittimato dall’accordo dei creditori. Di recente, la giurisprudenza di merito ha ribadito che i termini per il versamento del prezzo sono perentori ai sensi dell’art. 153 c.p.c., non potendo essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti (sul punto, Tribunale Civile di Catania, sez. VI, ordinanza 29.11.2016).  

Nella versione attuale deve ritenersi che il titolo per la trascrizione sia formato dal decreto di trasferimento emesso dal giudice che segue il provvedimento di assegnazione e il versamento del prezzo, secondo il paradigma tipico dell’espropriazione immobiliare ordinaria di cui all’art. 590 c.p.c..

Ci si interroga se il “chiede” di cui al comma 1 della norma in esame vada inteso come “può chiedere” o come “deve chiedere”: muovendo dal presupposto che il legislatore ha voluto sostituire la devoluzione con l’assegnazione e ricordando che l’assegnazione presenta la caratteristica di essere volontaria, si sarebbe indotti a ritenere che il “chiede” debba essere inteso come “può chiedere”; tuttavia, viene interpretato dalla dottrina prevalente come un vero e proprio dovere dell’Agente della Riscossione, ora Agenzia delle entrate-Riscossione, di chiedere l’assegnazione. In quest’ottica, il giudice non ha potere discrezionale (“Il giudice dell’esecuzione dispone l’assegnazione” e non “può disporre”; non rientra nei poteri del giudice disporre lo svolgimento di un ulteriore incanto): deve far luogo all’assegnazione allo Stato se il terzo incanto deserto e vi è istanza dell’esattore; deve emettere il decreto di trasferimento quando lo Stato ha versato il prezzo nel termine assegnato.

Tale ultima convinzione nasce dal fatto che l’assimilazione della assegnazione esattoriale a quella del codice di rito attiene solo alla emanazione del provvedimento di assegnazione da parte del giudice dell’esecuzione, mentre la via della identità tra le due assegnazioni non è facilmente percorribile.

Invero, la disciplina esattoriale diverge, in modo sensibile, da quella civilistica. Le principali differenze possono essere così riassunte: a) nel caso in cui sia in corso un pignoramento immobiliare e il creditore sia lo Stato, l’Agente della Riscossione, ora l’Agenzia delle entrate-Riscossione, può procedere direttamente alla vendita dell’immobile pignorato attraverso la procedura del “pubblico incanto” e, peraltro, senza alcuna necessità che intervenga l’autorizzazione di un giudice; b) l’incanto è tenuto e verbalizzato direttamente dall’ufficiale della riscossione (c.d. procedimento interno); c) nell’esecuzione esattoriale non viene nominato alcun  CTU per determinare il valore dell’immobile, sicché il prezzo base dell’immobile viene determinato, in caso di fabbricati, in base al valore automatico determinato attraverso i dati catastali (l’obbligo di perizia resta solo in caso di vendita di terreni edificabili). 

E ancora, la natura giudiziale dell’esecuzione ordinaria contrapposta a quella essenzialmente stragiudiziale ed amministrativa dell’esecuzione esattoriale non consentono la riunione delle due procedure, anche per l’oggettiva irriducibilità ad unum delle rispettive discipline (così, MAGGI, in “L’esecuzione esattoriale: aspetti processuali e sostanziali”, Convegno del 22 gennaio 2008). 

Con particolare riferimento alla determinazione del prezzo di acquisizione, il codice di rito civile, agli artt. 15, 506 e 568, stabilisce che il valore dell’immobile viene determinato moltiplicando per i coefficienti di legge per il reddito dominicale, per il terreno, e rendita catastale, per i fabbricati; se poi il valore è ritenuto manifestamente inadeguato, oppure l’immobile non è soggetto a tributo diretto verso lo Stato, lo stesso giudice dell’esecuzione civile ordinaria ne determina il valore, in base agli altri elementi forniti dalle parti o da un esperto da lui nominato; nell’ambito del procedimento esecutivo civile, il valore dell’immobile da assegnare non può mai essere inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti assistiti da prelazione rispetto a quelli dell’offerente, se del caso poi assegnatario.

Il predetto limite non opera, invece, nella procedura esattoriale, la quale indica in misura speciale e rigida il prezzo dell’offerta per l’acquisizione in assegnazione dell’immobile pignorato, a prescindere dal grado satisfattivo delle spese procedurali  o dei crediti aventi prelazione (sul tema, GRASSOTTI, cit., 3774).

Ai sensi del comma 3 dell’art. 85 del D.P.R. n. 602 cit., se il prezzo non è versato e il concessionario non dichiara di voler procedere ad altro incanto, il processo si estingue; in passato, parte della dottrina ha ritenuto che, ove l’assegnatario non versi il conguaglio di cui all’art. 590 c.p.c., troverebbero applicazione le norme relative all’inadempienza dell’aggiudicatario (art. 587 c.p.c.): il giudice, non sollecitato da alcuna istanza, previa dichiarazione della decadenza, dispone un nuovo incanto (così, MONTEDORO, in “Guida al diritto”, 1999, pag. 123). 

Nel caso di mancato versamento del prezzo nel termine fissato, si innesca un meccanismo diretto alla definizione, comunque, del processo esecutivo. Il concessionario, infatti, ha la possibilità, nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine per il versamento del prezzo, di dichiarare la volontà di porre in essere, su indicazione dell’ufficio che ha formato il ruolo, un ulteriore incanto per un prezzo base inferiore di un terzo rispetto a quello dell’ultimo incanto; diversamente il processo si estingue, come pure si estingue ove anche tale ultimo incanto non abbia esito (art. 85 comma 3). Trattandosi di un’estinzione per inattività del concessionario, deve ritenersi applicabile l’art. 630 c.p.c. (operatività dell’estinzione di diritto, ma ormai rilevabile anche d’ufficio, e dichiarazione con ordinanza del giudice dell’esecuzione, reclamabile al Collegio).

Il problema del versamento del prezzo dell’immobile in ipotesi assegnato è, quindi, risolto facendo capo all’art. 590 c.p.c.: il giudice fissa un termine entro cui l’assegnatario deve versare il prezzo, termine che, giusta il 2° comma della norma, non può essere inferiore a sei mesi; se avviene il versamento, il giudice pronuncia il decreto di trasferimento a norma dell’art. 586 c.p.c.; diversamente, il processo esecutivo si estingue, a meno che l’Agente della Riscossione, ora l’Agenzia delle entrate-Riscossione, nei trenta giorni, non dichiari di volere procedere ad un quarto incanto: in quest’ultima eventualità, l’esito negativo comporta la definitiva estinzione dell’esecuzione ex 3° comma.

L’estinzione dell’intero procedimento esecutivo, comunque, non fa venir meno la validità del precetto, ergo della cartella di pagamento che ha rappresentato il titolo della procedura esecutiva.


Su Shop.Altalex è disponile il Corso avanzato il custode e il delegato alla vendita. Ruolo, compiti e responsabilità, 2 incontri, 14 ore in aula.

Leggi il programma completo dell’evento


3) Opposizioni esperibili 

In merito alle opposizioni esperibili, va esclusa la ricorribilità per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. quale rimedio per contrastare il decreto di trasferimento, in quanto il decreto risulta privo di contenuto decisorio, non essendo pronunciato all’esito di un contraddittorio per la composizioni di situazioni soggettive in conflitto e non rivestendo la forma della sentenza; deve sicuramente ammettersi, invece, il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi.

Come osservato dalla Corte di Cassazione con riferimento alla vecchia norma, contro il provvedimento adottato dal giudice dell’esecuzione, di devoluzione allo Stato dell’immobile sottoposto ad esecuzione esattoriale, i creditori intervenuti potevano avvalersi dello strumento dell’opposizione agli atti esecutivi, di cui all’art. 617 c.p.c., con la conseguenza che il provvedimento, mancando del connotato della definitività, non era impugnabile da parte di quei creditori con ricorso per cassazione, ex art. 111, comma 2, Cost. (così, Cassazione civ., sez. I, sentenza 20.02.1998, n. 1858). Orbene, le medesime soluzioni rimangono oggi ferme anche rispetto all’assegnazione disciplinata dalla norma vigente.   

Pertanto, contro il provvedimento del giudice dell’esecuzione che dispone l’assegnazione del bene allo Stato è ammessa opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., mentre non è ammissibile ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di ordinanza non definitiva, «soggetta a riesame in forma contenziosa attraverso l’opposizione agli atti esecutivi» (v. Cassazione civ.,  sez. III, sentenza 19.07. 2005, n. 15201).

In pratica, il debitore ha l’onere di attivarsi per rilevare la nullità della procedura entro i termini fissati dall’art. 617 c.p.c. (20 giorni dalla conoscenza dell’atto).

Ultime riflessioni, quanto alla disciplina in commento, vorrei dedicare alla eventuale possibilità per il G.E. di sospendere la vendita immobiliare quando il prezzo sia notevolmente inferiore a quello giusto.

In primo luogo, siccome i valori catastali degli immobili non rispecchiano mai il loro effettivo valore di mercato, il prezzo di base dell’asta (operata in automatico secondo i dati catastali) parte già ridotto rispetto a quello effettivo del bene. Se poi si sommano i due successivi ribassi di 1/3, lo Stato ha così la possibilità di acquisire  un immobile a “buon mercato“.

Sotto tale profilo occorre evidenziare che, quando il prezzo di vendita del bene pignorato da un creditore subisce un eccessivo ribasso rispetto all’effettivo valore dell’immobile a causa di una serie di aste andate deserte, il Giudice può sospendere l’esecuzione immobiliare o estinguerla, restituendo il bene nella piena disponibilità del debitore pignorato.

In secondo luogo, in un periodo di crisi del mercato come quello odierno, non è raro che le aste anche esattoriali vadano “deserte”, cioè restino senza la formulazione di alcuna offerta d’acquisto dopo 3 tentativi di vendita, con la conseguenza che il bene immobile inizialmente determinato ai sensi dell’art. 79 del D.P.R. n. 602/1973 viene offerto in vendita a meno di un terzo del valore che lo stesso avrebbe in condizioni normali di mercato, tenuto conto che nessun perito viene incaricato dal Giudice per redigere una relazione di stima del bene. 

Secondo una parte della giurisprudenza di merito, la conseguenza sopra descritta deve ritenersi iniqua per il debitore sottoposto a pignoramento, il quale si vedrebbe vendere il proprio immobile ad un prezzo vile. Per porre rimedio a tale situazione, detto orientamento ha fatto ricorso al codice di procedura civile (v. art. 586 c.p.c.) il quale prevede la possibilità per il G.E. di sospendere la vendita immobiliare quando il prezzo sia notevolmente inferiore a quello giusto, chiarendo che la sproporzione tra il giusto prezzo e quello offerto, affinché si realizzi la condizione richiesta dalla legge per la sospensione della vendita, ben può discendere da fattori del tutto fisiologici, come appunto quello di eccessivi ribassi conseguenza di una serie di aste deserte (così, Tribunale Vicenza, sentenza 18.07.2011; sul tema, v. anche Tribunale Roma, sez. Ostia, ordinanza 09.05.2013). Del resto, sarebbe una punizione ingiusta per il debitore proseguire un’azione che ha già dimostrato di essere infruttuosa, poiché in tal modo si verrebbero a frustrare gli interessi economici sia del debitore che del creditore. In tal senso, l’estinzione della procedura appare conforme al principio costituzionale della ragionevole durata del processo ed a quello per cui la procedura esecutiva stessa deve essere giustificata da un effettivo interesse economico, che sarebbe per contro vanificato da un’azione infruttuosa, inutilmente dispendiosa, antieconomica e, pertanto, ingiustificata (su tale aspetto, v. Tribunale Napoli, ordinanza 23.01.2014; Tribunale Belluno, ordinanza 03.06.2013).

Secondo altra parte della giurisprudenza, invece, la nozione di giusto prezzo deve essere intesa in chiave “procedimentale”, nel senso di prezzo giustamente determinato ossia di prezzo determinato in esito all’operatività di fattori che siano valsi ad assicurare all’iniziativa liquidatoria la massima conoscibilità da parte dei potenziali interessati (così, Tribunale Napoli, sez. V, ordinanza 22.11.2007). 

Anche la Suprema Corte di legittimità ha implicitamente ribadito i predetti principi, stabilendo che vadano applicati anche alla riscossione esattoriale, nella quale il Giudice, al pari dell’esecuzione ordinaria, deve valutare l’adeguatezza del prezzo di trasferimento (così, Cassazione civ., sentenza 18.01.2012, n. 692: “Anche in una procedimento di esecuzione esattoriale, trovano applicazione le norme ordinarie che regolano il processo di esecuzione – fra cui l’art.586 cpc, circa il potere di sospendere la vendita quando il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, e l’art.600 cpc, circa l’obbligo di procedere dalla divisione, qualora l’esecuzione sulla quota di un bene indiviso pregiudichi la possibilità di realizzarne il valore effettivo. Va specificato che l’applicazione dell’art. 586 c.p.c. non è subordinata all’accertamento di una qualche irregolarità nella procedura tramite la quale si è pervenuti alla fissazione del prezzo; infatti, eventuali irregolarità o inadempienze sarebbero rilevanti di per sè al fine di impedire che venisse emesso il decreto di trasferimento, in mancanza di preventiva regolarizzazione”; nel caso di specie, la Corte ha respinto il ricorso avverso la sentenza del Tribunale che aveva disposto la sospensione della vendita per inadeguatezza del prezzo, ai sensi dell’art.586 cpc, della quota di comproprietà del 50% di un immobile facente capo al debitore, aggiudicata al prezzo, corrispondente al valore catastale).

L’espropriazione, infatti, ha l’obiettivo di trasformare il bene in denaro per il soddisfacimento dei creditori e non quella d’infliggere una sanzione atipica al debitore inadempiente. 

A ben vedere, per quanto concerne l’assegnazione dell’immobile allo Stato, il D.P.R. n. 602 cit., art. 85 co. 1, nel contesto della disciplina della riscossione coattiva delle imposte sul reddito effettuata mediante espropriazione immobiliare, ammette che il bene assoggettato ad esecuzione possa essere espropriato anche per un valore irrisorio. 

La citata norma dispone infatti che il concessionario della riscossione, nei dieci giorni successivi all’esito negativo del terzo incanto, possa chiedere al giudice dell’esecuzione l’assegnazione dell’immobile allo Stato per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede.

Le evidenziate criticità hanno imposto una complessiva rilettura dell’intero istituto, operata dalla Suprema Corte di legittimità nella citata sentenza n. 692/2012: “Ed è indubbio che la disposizione sia incompatibile con l’art.586 cpc, comma 1, circa il potere del giudice di valutare la congruità del prezzo e di sospendere la vendita quando lo ritenga notevolmente inferiore a quello giusto. Ma in primo luogo l’art.85 è applicabile solo qualora assegnatario dell’immobile sia lo Stato, non un qualunque privato aggiudicatario; sicché l’interesse del debitore alla realizzazione dell’effettivo valore del bene viene sacrificato solo a quello dello Stato procedente.

L’interesse dello Stato, a sua volta, a non conseguire in pagamento un bene di valore oggettivamente inadeguato, è parimenti tutelato dalla possibilità di evitare l’acquisto, omettendo di versare il prezzo di assegnazione nel termine stabilito dalla legge”.

Da ciò discende – secondo la ricostruzione degli Ermellini – che l’espropriazione del debitore per un prezzo vile è prevista solo in favore dello Stato e senza sacrificio del diritto di quest’ultimo di riscuotere il credito di imposta nella misura più ampia e soddisfacente possibile.

In quest’ottica, occorre considerare che la norma dell’art.85, 1 comma, è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, per violazione dell’art.3 Cost., in relazione al principio di ragionevolezza, nella parte in cui prevede che, se il terzo incanto ha esito negativo, l’assegnazione abbia luogo “per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede”, anziché per il prezzo base del terzo incanto. La Corte costituzionale ha motivato la decisione con espresso riferimento al fatto che l’esigenza della pronta realizzazione del credito fiscale, che impone criteri di semplicità e speditezza della procedura, non giustifica che venga fissato un corrispettivo trasferimento immobiliare che prescinda da qualsiasi collegamento con il valore del bene e che possa essere anche irrisorio, poiché l’espropriazione ha la finalità di trasformare il bene in denaro per il soddisfacimento dei creditori e non quella di infliggere una sanzione atipica al debitore inadempiente (v. Corte Costituzionale, sentenza n. 281/2011 cit.; in particolare, ha concluso la Corte che anche nel caso in cui aggiudicatario del bene sia lo Stato, il corrispettivo dell’espropriazione deve porsi in rapporto non irragionevole con il valore dell’immobile).

La norma contiene, piuttosto, una disposizione aggiuntiva ed autonoma rispetto a quelle che regolano la procedura, secondo cui il giudice può impedire che l’espropriazione si perfezioni, qualora ritenga che – nonostante il rispetto delle procedure di legge – il prezzo di aggiudicazione risulti per una qualunque causa inaccettabilmente sperequato.

Fra le circostanze che legittimano una tale decisione assumono particolare rilievo proprio i casi in cui la mancanza di offerte, quindi l’esiguità del prezzo di aggiudicazione, sia determinata dal fatto che il bene – pur se dotato di notevole valore intrinseco – è difficilmente commerciabile, per esempio perché si tratta della quota indivisa di un immobile.

La legge si propone di evitare che, a causa della illiquidità, della difficile commerciabilità o di altra peculiarità del bene da espropriare, od a causa del particolare contesto economico o d’altro genere entro il quale si sia svolta l’esecuzione, l’espropriazione si risolva in una spoliazione del debitore, in termini non giustificati dalla, o comunque sproporzionati alla, misura in cui egli è tenuto a rispondere dei suoi debiti.

Intende altresì evitare che resti contemporaneamente preclusa al creditore (in particolar modo quando tale sia lo Stato) la possibilità di realizzare l’effettivo valore del bene sottoposto ad esecuzione: soprattutto nei casi in cui non vi siano altri beni su cui soddisfare il credito (come è probabile che avvenga quando si è costretti a procedere all’esecuzione su di una quota indivisa).

Se è pur vero che lo Stato ha interesse all’acquisizione sollecita delle risorse economiche, esso ha ancor maggiore interesse a che i suoi crediti vengano soddisfatti nella misura più ampia possibile.

Appunto per questo, nell’esecuzione esattoriale il potere del giudice di valutare l’adeguatezza del prezzo di trasferimento, lungi dal subire eccezione, dovrebbe essere esercitato con particolare oculatezza, sì da valutare se, nel singolo caso, sia più dannoso per lo Stato creditore il protrarsi dei tempi di riscossione o la perdita della possibilità di realizzare gran parte del proprio credito, a causa della sottovalutazione del bene pignorato.

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Informativa sui diritti di autore

La legge sul diritto d’autore art. 70 consente l’utilizzazione libera del materiale laddove ricorrano determinate condizioni:  la citazione o riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta.

Vuoi richiedere la rimozione dell’articolo?

Clicca qui

 

 

 

Prestiti personali immediati

Mutui e prestiti aziendali

Per richiedere la rimozione dell’articolo clicca qui

La rete #dessonews è un aggregatore di news e replica gli articoli senza fini di lucro ma con finalità di critica, discussione od insegnamento,

come previsto dall’art. 70 legge sul diritto d’autore e art. 41 della costituzione Italiana. Al termine di ciascun articolo è indicata la provenienza dell’articolo.

Il presente sito contiene link ad altri siti Internet, che non sono sotto il controllo di #adessonews; la pubblicazione dei suddetti link sul presente sito non comporta l’approvazione o l’avallo da parte di #adessonews dei relativi siti e dei loro contenuti; né implica alcuna forma di garanzia da parte di quest’ultima.

L’utente, quindi, riconosce che #adessonews non è responsabile, a titolo meramente esemplificativo, della veridicità, correttezza, completezza, del rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e/o industriale, della legalità e/o di alcun altro aspetto dei suddetti siti Internet, né risponde della loro eventuale contrarietà all’ordine pubblico, al buon costume e/o comunque alla morale. #adessonews, pertanto, non si assume alcuna responsabilità per i link ad altri siti Internet e/o per i contenuti presenti sul sito e/o nei suddetti siti.

Per richiedere la rimozione dell’articolo clicca qui