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Nell’attesa di un condono edilizio, il manufatto oggetto dell’istanza non può essere manomesso ma solo conservato. Lo ribadisce il Tar Campania

Non dire quattro (o gatto) se non ce l’hai nel sacco!

Che sia un quattro o un gatto, il significato del noto proverbio non cambia! Esso invita a non farsi illusioni sull’ottenimento di uno scopo prima di averlo realmente raggiunto. E questa è un po’ la morale della sentenza del Tar Campania che andremo ad analizzare più innanzi: presentare istanza di condono edilizio non vuol dire aver sanato quell’abuso edilizio prima di una concreta risposta dell’amministrazione competente. Ti ricordo che il condono edilizio (legge speciale) e la sanatoria ordinaria (art. 36 D.P.R. 380/2001) sono pratiche che necessitano di molta attenzione e della competenza, spesso, di più figure professionali, per cui per il loro migliore ottemperamento sarà bene valutare uno strumento di lavoro di condivisione dati come il software di gestione delle pratiche edilizie online da scaricare ed usare gratuitamente fin da subito.

Diamo spazio, quindi, al Tar Campania con la sentenza n. 6573/2023.

Condono edilizio pendente: quale tipologia di lavori si posso effettuare su opere abusive?

Alcuni privati contestavano al Comune, in sede di giudizio del Tar, il titolo edilizio in sanatoria rilasciato ai loro vicini. L’oggetto di condono edilizio (leggi 47/85 e 724/94) era una tettoia. In particolare, venivano contestati alcuni lavori che avevano riguardato la struttura nei tempi di attesa tra l’istanza di condono e il rilascio dello stesso titolo in sanatoria.

Nella fattispecie in questione, i vicini avrebbero provveduto alla demolizione dell’originaria tettoia (oggetto della domanda di condono) per ricostruirne una diversa non solo per tipologia di materiale ma anche per forma e sagoma, prevedendo una diversa e minore inclinazione al fine di recuperare una maggiore volumetria sottostante.

Insomma per i ricorrenti:

  • sarebbe stato alla fine condonato un manufatto totalmente diverso da quello oggetto della domanda;
  • in attesa della definizione del condono edilizio sarebbero potuti essere stati effettuati soltanto interventi finalizzati a garantire la conservazione del manufatto, purché gli stessi non avessero modificato le caratteristiche essenziali e la destinazione d’uso dell’immobile;
  • la sostituzione dei materiali di costruzione impiegati sulle parti oggetto di condono, diversi da quelli originari, avrebbe superato il concetto di conservazione dell’opera ed avrebbe interrotto la continuità tra la situazione oggetto di condono e quella attuale incidendo sulla riconoscibilità del manufatto originario.

Per il Tar Campania, cambiare i materiali di un’opera con condono edilizio pendente, equivale ad operare una sostituzione edilizia

I giudici, innanzitutto, ricordano che per prevalente e condivisa giurisprudenza la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare, né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta, i quali, fino al momento dell’eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi al pari degli ulteriori interventi realizzati sugli stessi.

Essi spiegano che:

Il motivo della immutabilità delle opere risiede da un lato nella esigenza di evitare che le opere abusive vengano portate a ulteriore compimento, e ciò per la ragione che il condono costituisce espressione di una eccezionale rinuncia dello Stato a perseguire gli illeciti edilizi, a determinate condizioni, per cui gli immobili su cui pende il condono non possono costituire la base per successivi ampliamenti o ristrutturazioni, e dall’altro che l’amministrazione deve poter valutare l’effettiva natura e portata dell’intervento da condonare. Di contro, quindi, l’art. 35 comma 14 della legge n. 47 del 1985, che consente, dopo la presentazione della domanda di condono, il “completamento” delle opere alla condizione che l’interessato ne dia avviso all’amministrazione e produca una perizia giurata sullo stato dell’immobile, deve considerarsi norma di stretta interpretazione.

Per costante e condivisa giurisprudenza, pertanto, in attesa della definizione del condono edilizio possono essere effettuati soltanto interventi finalizzati a garantire la conservazione del manufatto, purché gli stessi non modifichino le caratteristiche essenziali e la destinazione d’uso dell’immobile e ciò nel rispetto del procedimento ex art. 35, comma 14, della legge n. 47 del 1985 (cfr. Cons. di Stato sent. n. 470 del 2020, n. 4397 del 2019, n. 5248 del 2018, n. 2738 del 2018).

È stato, infatti, precisato che:

la normativa sul condono postula la permanenza dell’immobile da regolarizzare e non ammette, in pendenza del procedimento, né la demolizione né l’impiego di materiali di costruzione diversi da quelli originari: la diversità del materiale costruttivo impiegato comporta la qualificazione dell’intervento come sostituzione edilizia, mancando la continuità tra vecchia e nuova costruzione, che caratterizza gli interventi di consolidamento, e la attuale riconoscibilità del manufatto originario oggetto dell’istanza di condono, per cui gli unici interventi edilizi consentiti su di esso sono quelli diretti a garantirne l’integrità e la conservazione e non possono spingersi sino alla demolizione e ricostruzione (né totale né parziale), salvo che essi risultino in qualche modo indispensabili, per cui in tal caso è comunque necessaria la preventiva interlocuzione con l’Amministrazione al fine di consentire a quest’ultima di stabilire quali siano i caratteri e le esatte dimensioni del manufatto abusivo per verificarne la condonabilità ed accertare che la successiva ricostruzione sia effettivamente fedele al manufatto abusivo preesistente.

Per tali motivi, il titolo edilizio in sanatoria va annullato.

 

Per maggiore approfondimento, leggi anche questi articoli di BibLus-net:

 

 

 

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