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La Corte di cassazione, con ordinanza n. 10485 depositata il 17 aprile 2024, dando seguito ad un orientamento consolidato della giurisprudenza e confermando la sentenza di merito, ha affermato che la sottoscrizione di un contratto, che abbia per oggetto lavori su di un immobile condominiale, produce effetti nella sfera giuridica di colui che non ha partecipato al negozio a condizione che questi, con atti univoci e concludenti, manifesti all’altro contraente di voler essere parte del contratto stesso.

In questo modo viene sanata l’originaria inefficacia del contratto stipulato dal falso rappresentante.

Respinta l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall’appaltatore nei confronti di un condomino. Fatto e decisione

Per un immobile condominiale i proprietari, ad eccezione di uno, stipulavano un contratto per l’effettuazione di lavori con una società.

I sottoscrittori, tuttavia, indicavano come committente delle opere anche colui che si era opposto e nei cui confronti l’appaltatrice aveva preteso, per la quota ad esso relativa, il pagamento del corrispettivo.

Una volta ottenuto il decreto ingiuntivo, l’impresa lo notificava al condomino e questi proponeva opposizione, asserendo che alcun contratto fosse stato concluso tra le parti. La sentenza di accoglimento, tuttavia, veniva riformata dalla Corte di appello ad avviso della quale se gli altri comproprietari avevano agito senza rappresentanza, colui che si era inizialmente opposto ai lavori (al quale era subentrata la figlia, nella qualità di erede), con il pagamento degli stati di avanzamento dei lavori, salvo un residuo rimasto inadempiuto, aveva sostanzialmente ratificato l’altrui operato.

Avverso tale decisione la soccombente ha proposto ricorso per cassazione formulando più motivi che si possono sintetizzare nei seguenti:

  • asserita violazione, da parte del Collegio, degli artt. 1398 e 1399 c.c., in quanto i condomini erano stati configurati come attori in rappresentanza altrui senza averne il potere, mentre il nome del suo dante causa non era stato mai speso dagli stessi e, peraltro, non vi era stata, da parte di questi, alcuna dichiarazione in questo senso;
  • errata decisione di ritenere il contratto concluso da falso rappresentante e poi ratificato, per fatti concludenti, là dove mancava la prova – che era a carico della società creditrice – dell’intervenuta ratifica nel senso dalla stessa indicato.

La Corte ha rigettato il ricorso per infondatezza.

Brevi osservazioni

Che il contratto de quo fosse da inquadrare nell’ambito della rappresentanza senza potere risulta dalla motivazione della decisione in esame, confermativa di quella di merito e rispetto alla quale la ricorrente aveva chiesto un riesame di un fatto, quale la ratifica del contratto, accertato dal giudice dell’appello sulla base degli elementi tratti dalla documentazione depositata agli atti del giudizio. Riesame estraneo alla competenza dei giudici di legittimità.

Secondo il combinato disposto degli artt. 1398 e 1399 c.c. è da considerarsi rappresentante privo di poteri colui che si comporta come falsus procurator rispetto all’effettivo contraente, nel cui nome agisce.

Il contratto così sottoscritto è privo di efficacia nei confronti di quest’ultimo fino al momento in cui non intervenga ratifica.

Si parla, in questo caso, non di negozio invalido ma solo “in itinere”, ovvero . formazione successiva, sicché il dominus può ratificare a fare propri gli effetti del negozio concluso in suo nome con effetti retroattivi. La ratifica è una dichiarazione di volontà unilaterale che deve rispettare la forma prescritta per il contratto concluso dal “falsus procurator”, ed ha carattere ricettizio, richiedendo, per produrre effetto, la notifica o la comunicazione all’altro contraente” (Cass. 28 dicembre 2009, n. 27399).

Queste norme, ed in particolare l’art. 1399 c.c., devono essere lette alla luce della fattispecie in esame per la quale la Corte suprema, al pari del giudice dell’appello, ha ritenuto che il comportamento tenuto dal dante causa dell’odierna ricorrente (e non solo) fosse stato tale da costituire una tacita ratifica del contratto avvenuta, in sostanza, per facta concludentia.

Questa, in via generale, consiste in una manifestazione di volontà del soggetto interessato di aderire al contratto già concluso dal falso rappresentante, che prende corpo attraverso comportamenti inequivoci, chiari e incompatibili con la diversa e contraria volontà di non riconoscere l’accordo negoziale.

Con riferimento ai fatti di causa gli elementi che avevano configurato tale volontà erano plurimi e riferibili sia all’originario attore, sia alla figlia, sua erede. In effetti, entrambi avevano proceduto ad effettuare i pagamenti relativi al contratto concluso con l’impresa appaltatrice in corrispondenza degli stati di avanzamento dei lavori, il ché era avvenuto tramite il rilascio di assegni corrispondenti alle somme via via richieste.

Tale comportamento, quindi, era indubbiamente concludente ai fini dell’accettazione postuma di un contratto inizialmente non voluto.

Del resto, se andiamo a ben vedere in ambito condominiale la ratifica tacita o per facta concludentia di singoli atti non è poi così rara. Ad esempio, è stato affermato che “é configurabile la ratifica del contratto di assicurazione dello stabile condominiale stipulato dall’amministratore non investito del relativo potere dall’assemblea, qualora il premio sia stato periodicamente pagato all’assicuratore mediante approvazione annuale da parte dell’assemblea dei rendiconti di spesa, non occorrendo a tal fine che l’argomento sia stato espressamente posto come tale all’ordine del giorno dell’assemblea poiché si verte in ipotesi di ratifica tacita” (Cass. 6 luglio 2010, n. 15872).

Si parla ancora di comportamento univoco con riferimento alle prescrizioni del regolamento aventi natura solo organizzativa, come quelle che disciplinano le modalità d’uso delle parti comuni, [che] possono essere interpretate, giusta l’art. 1362, co. 2, c.c., altresì alla luce della condotta tenuta dai comproprietari posteriormente alla relativa approvazione ed anche “per facta concludentia” (Cass. 8 aprile 2022, n. 11502).

Mentre la giurisprudenza, rispetto al passato, ha decisamente mutato orientamento con riferimento all’approvazione delle tabelle millesimali per facta concludentia, da identificarsi nel comportamento di coloro che per anni avessero effettuato i versamenti sulla base di tabelle che non rispettavano i valori delle relative quote (da ultimo Cass. 25 gennaio 2024, n. 2406).

 

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