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Il CdS traccia un identikit per la distinzione tra tettoia e porticato: la prima di solito copre uno spazio isolato, il secondo potrebbe impattare sulla sagoma dell’edificio a cui si appoggia

Tettoia e porticato, di primo acchito potrebbero sembrare due termini interscambiabili per individuare la stessa tipologia di struttura, ma con una enfasi (sottesa alle dimensioni e consequenziali effetti giuridici) diversa. In verità le cose non stanno proprio così: la differenza architettonica tra le due strutture può essere accomunata dall’impatto urbanistico che una tettoia può avere al pari di un portico. La distinzione tra i due manufatti è operata dal Consiglio di Stato nella medesima sentenza n. 3645/2024 che abbiamo già affrontato nel caso del garage con bagno e cambio di destinazione d’uso.

La raccomandazione, in ogni caso, è sempre la stessa al fine di evitare un abuso edilizio: tenere sott’occhio non solo materiali, tecniche costruttive e dimensioni, ma soprattutto modo d’uso più o meno prolungato nel tempo ed impatto sull’ambiente circostante del manufatto, per non rischiare di sbagliare la scelta del giusto titolo edilizio che dovrà accompagnare la realizzazione del nostro progetto. Ecco che può esserci di grande aiuto anche l’utilizzo di un software per i titoli abilitativi in edilizia per rendere il lavoro più veloce e senza errori, grazie ad una procedura guidata che mette a disposizione tutti i modelli unici (compreso il modello CILA Superbonus) per l’edilizia sempre aggiornati e a portata di mano.

Tettoia e porticato in edilizia non sono la stessa cosa. Ma possiamo dire lo stesso in ambito giuridico?

Nella richiesta di accertamento di conformità (art. 36 D.P.R 380/2001) presentata da un privato per alcuni lavori eseguiti tramite una non appropriata CILA, poi negata dal Comune per mancata doppia conformità urbanistica, c’era anche la creazione di un porticato dalle seguenti caratteristiche costruttive:

  • copertura in tavolato e sovrastante manto di tegole, sostenuta da piedritti in un lato e ancorata a parte muraria dell’abitazione per un lato;
  • con un perimetro sostanzialmente rettangolare con il lato parallelo alla strada d 6,15 m e quello ad essa ortogonale di 3,1 m, per una superficie totale di 19,06 m2.

Il Comune, indicando il manufatto descritto come “porticato” (al contrario del proprietario che lo definiva “tettoia”), sottolineava che si trattava di costruzione accessoria realizzata in dispregio delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del piano particolareggiato esecutivo (PPE) del Piano regolatore generale (PRG) riferito al quartiere dove insisteva la proprietà immobiliare.

Di diverso parere il proprietario, che nel ricorso al Tar rivendicava invece:

  • la compatibilità urbanistica della “tettoia/porticato”, poiché data la sua esigua consistenza non sarebbe andata in contrasto con le NTA al PPE;
  • l’utilizzo del termine “tettoia” in luogo di quello “porticato”, cui invece si riferivano gli atti comunali, più consono a renderne percepibile (secondo il proprietario) la mancanza di impatto in termini urbanistici.

Per il Tar Lombardia “tettoia” e “porticato” costituiscono due strutture differenti ma che hanno le stesse implicazioni giuridiche

Il Collegio ha notato che le diverse denominazioni degli elementi architettonici, come “porticato” o “tettoia”, sono state dettagliatamente definite nel Regolamento edilizio-tipo. Questo regolamento, approvato in sede di Intesa Stato-Regioni (siglata in attuazione dell’art. 4, comma 1-sexies del D.P.R. 380/2001), mira a standardizzare i termini utilizzati negli uffici e nei regolamenti comunali.

Per i giudici, anche se queste definizioni aiutano a descrivere l’intervento architettonico, lo stesso:

non ne consente anche la diversificazione di regime giuridico, a parità di risultato finale

tali definizioni, insomma, non comportano una differenza nel regime giuridico. Secondo il regolamento:

  • una “tettoia” è una struttura di copertura per spazi aperti sostenuta da una struttura discontinua;
  • mentre un “porticato” è un’area coperta al piano terreno degli edifici, aperta su uno o più lati verso l’esterno.

Essi, in proposito, chiariscono che nel caso in esame:

Quand’anche ciò non basti a qualificare l’opera in concreto come “porticato”, piuttosto che “tettoia”, sia per la presenza dei pilastri o piedritti, sia per l’ubicazione in sviluppo del fronte del villino, ne è chiaro l’impatto sulla sagoma dello stesso.

In conclusione, su tutto resta palese che il manufatto in questione non solo costituisce una “nuova opera” per la quale l’appellante ha chiesto il permesso in sanatoria, ma, oltretutto, rientra nella più generica dizione di “costruzione accessoria”, vietata dalle N.T.A. del piano particolareggiato operante nella zona.

Il ricorso non è, quindi, accolto.

 

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