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Cina latitante

Oltre agli Stati Uniti latita anche la Cina: l’altra pesante assenza di questa COP è infatti quella del Presidente cinese Xi Jinping. Al suo posto, il Vice Premier e inviato speciale Xuexiang Ding ha ribadito il dovere dei Paesi storicamente più responsabili delle emissioni globali di aumentare il proprio sostegno finanziario ai Paesi emergenti. Il primo Paese al mondo per emissioni ritiene, dunque, che i Paesi che hanno cominciato prima a industrializzarsi debbano guidare gli sforzi sia di mitigazione – quindi riduzione delle emissioni – che di aiuti finanziari.

La spaccatura tra Nord e Sud globale

Il sostegno finanziario finora carente per aiutare i Paesi emergenti è proprio alla fonte della sfiducia del cosiddetto Sud globale (termine che individua i paesi in via di sviluppo, in contrapposizione al Nord globale che invece individua i più ricchi). Sfiducia che ha creato una frattura sempre più evidente ai negoziati. I Paesi industrializzati sono accusati di un’azione climatica poco ambiziosa alla luce delle responsabilità storiche e delle risorse a loro disposizione.

Critiche aspre ai Paesi occidentali sono arrivate dal presidente brasiliano Inácio Lula da Silva, che ha sottolineato l’abisso tra i finanziamenti per l’azione climatica e le spese militari. Lula ha, inoltre, ribadito l’impegno di fermare la deforestazione in Amazzonia entro il 2030. Questa critica ha trovato eco nell’intervento del premier indiano Narendra Modi, che ha sottolineato come il livello di ambizione dei Paesi emergenti superi quello dei più ricchi. L’India, come la Cina, spinge infatti per un riconoscimento maggiore delle responsabilità dei Paesi occidentali. Per esempio, gli Stati Uniti superano la Cina ed eclissano l’India se si parla di emissioni storiche o di emissioni pro capite. Per confermare la propria ambizione, l’India ha annunciato la volontà di ospitare COP33 nel 2028.

Il messaggio di Papa Francesco

Un’altra voce di denuncia è giunta da Papa Francesco, che ha dovuto rinunciare alla partecipazione su raccomandazione dei medici e ha incaricato il Segretario di Stato del Vaticano, il Cardinale Pietro Parolin, di trasmettere il suo messaggio. Il Pontefice ha lanciato un appello a favore del condono del debito dei Paesi vulnerabili: essi pagano le conseguenze delle azioni dei più ricchi e maggiori responsabili delle emissioni, che hanno un “debito ecologico” nei loro confronti. Ha, inoltre, ribadito la necessità dell’abbandono repentino dei combustibili fossili.

Nonostante la decisione storica sul Fondo perdite e danni,  le prospettive non sono dunque delle migliori per affrontare “l’elefante nella stanza” presente in tutte le conferenze sul clima: l’abbandono dei combustibili fossili pare destinato a restare un tabù e sulla questione probabilmente non si troverà risoluzione neppure a questa conferenza. Gli interessi della stessa Presidenza della COP28 sembrano chiari: puntare sull’espansione delle energie rinnovabili e sullo sviluppo di tecnologie ancora sperimentali, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio, evitando di affrontare il problema delle emissioni alla fonte.

La doccia fredda

Nel pomeriggio di domenica, poi, a peggiorare la situazione è arrivato il video in cui Sultan (Ahmed) Al Jaber, presidente della COP28 e amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company, ha dichiarato che “Non esiste scienza” che dimostri “che è necessario eliminare i combustibili fossili per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi”. E ancora: “L’addio a carbone, petrolio e gas ci riporterebbe alle caverne”.

Le parole di Al Jaber hanno scatenato le proteste dei climatologi, e provocato la risentita reazione del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. Si vedrà con il prosieguo dei lavori, ma è già chiaro che con queste premesse la COP28 non potrà segnare la svolta necessaria per la mitigazione del cambiamento climatico.

 

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