Se il proprietario o esecutore dell’abuso edilizio fornisce prove sufficienti per dimostrare che l’opera risale a prima del 1967 e quindi non necessitava di alcun titolo abilitativo, spetta al comune fornire elementi di prova contraria in mancanza dei quali l’ordinanza di demolizione deve essere annullata per difetto di istruttoria.
Sappiamo che, prima del 1967, non c’era ancora la necessità di munirsi di titolo edilizio per le costruzioni fuori dal centro abitato: la legge 1150/1942 ha previsto che “Chiunque intenda nell’ambito del territorio comunale eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti ovvero procedere all’esecuzione di opere di urbanizzazione del terreno, deve chiedere apposita licenza al sindaco“: con essa, come chiarito in giurisprudenza, è stato introdotto l’obbligo di ottenere una preventiva licenza edilizia con riferimento agli immobili situati nei centri abitati (e ciò vale anche per interventi di ampliamento o modifica), laddove con la successiva L. n. 765/1967 tale obbligo è stato esteso a tutto il territorio comunale, comprese le zone al di fuori del centro abitato.
Ciò premesso, sappiamo anche che le prove della risalenza di un opera edilizia per beneficiare del salvagente ante 1967 ricadono sul privato o su chi ha eseguito gli interventi stessi: ma se tale prova viene fornita, il comune può ‘reagire’ con opposta documentazione per dimostrare la risalenza delle opere a un periodo post 1967, quando cioè era obbligatorio richiedere e ottenere il permesso di costruire? Quali sono le regole di questo ‘ribaltamento improprio’ delle prove?
Di questo – e anche altro – si occupa l’articolata sentenza 8511/2024 del 24 ottobre del Consiglio di Stato, che riguarda lo scontro tra un comune e altre pubbliche amministrazioni in merito ad un condono edilizio e all’ordine di demolizione di una pluralità di manufatti realizzati abusivamente.
Il ricorso: l’inversione dell’onere della prova è inammissibile?
Della pronuncia, esaminiamo il motivo III del ricorso, secondo cui la sentenza di primo grado (del TAR competente) va riformata anche nella parte in cui ha accolto la censura della Città Metropolitana di difetto di istruttoria e di motivazione dell’ordine di demolizione per mancato accertamento della data di realizzazione dei fabbricati, determinando un’inammissibile inversione dell’onere della prova dell’epoca di realizzazione dell’abuso.
L’ordinanza gravata, sempre secondo il comune resistente, non tiene conto, limitatamente alle opere per le quali è stata chiesta la sanatoria, delle ulteriori modifiche realizzate successivamente alla presentazione dell’istanza di condono del 12 aprile 1986, che come tali devono considerarsi in toto abusive.
Il giudice di primo grado avrebbe, infine, ha manifestato totale indifferenza alle istanze di tutela paesaggistica ed ambientale sottese al provvedimento sanzionatorio poiché le opere sono state realizzate anche in presenza di svariati vincoli introdotti tra il 1955 e il 1958 e in totale assenza dei pareri favorevoli delle autorità preposte.
Abusi edilizi ante 1967: il privato può ribaltare l’onere della prova sul comune?
Il privato, su cui grava l’onere della prova in riferimento ad un’opera edilizia realizzata prima del 1967, può ricorrere anche a presunzioni e principi di prova valutabili secondo la regola probatoria del “più probabile che non”, così invertendo il relativo onere in capo alla pubblica amministrazione
Abusi edilizi ante 1967: il comune deve circoscrivere meglio la datazione dei manufatti
Secondo il TAR, il difetto di istruttoria e di motivazione emerge “ictu oculi ” dalla semplice lettura dell’ordinanza impugnata, la quale si limita ad ipotizzare che, tenuto conto della vetustà delle opere, le stesse, con ogni probabilità, sarebbero state realizzate senza titolo “nell’ambito della fluente attività edificatoria prodotta negli anni 60/80 dalla società …”
Come correttamente osservato dal TAR, la datazione dell’attività di edificazione indicata nell’atto impugnato abbraccia un arco temporale considerevole, dal 1960 al 1980, che include anche gli anni nei quali non vi era ancora necessità di munirsi di titolo edilizio per le costruzioni fuori dal centro abitato, circostanza che imponeva all’ente di circoscrivere maggiormente la datazione dei manufatti per i quali si imponeva il rilascio del titolo.
Prove della risalenza degli abusi: se il privato porta dei documenti, il comune deve ‘smentirli’
Tra l’altro, le controparti hanno fornito in giudizio concreti elementi da cui emerge la probabile esistenza di parte dei fabbricati almeno a partire dal 1956.
Queste evidenze probatorie non sono state smentite dal comune appellante che si limita a lamentare la sproporzione determinata dall’integrale annullamento dell’ordinanza e a richiamare quanto dichiarato dalla parte nell’istanza di sanatoria in ordine alla datazione di alcune opere tra il 1972 e il 1978.
Come osservato dalla giurisprudenza, qualora la parte onerata abbia fornito sufficienti elementi probatori a sostegno delle proprie deduzioni, anche laddove non sia raggiunta la certezza processuale sulla datazione delle opere in contestazione, spetta alla parte pubblica fornire elementi di prova contraria – idonei a supportare il proprio assunto, alla base dell’impugnato ordine demolitorio, in merito all’abusività delle opere sanzionate – in mancanza dei quali il provvedimento ripristinatorio deve essere annullato per difetto di istruttoria (risultando carente un adeguato accertamento del presupposto provvedimentale, dato dalla necessità del previo titolo abilitativo a legittimazione dell’intervento edilizio sanzionato), senza che ciò determini alcuna inversione dell’onere probatorio in capo all’amministrazione.
Bisognava operare una distinzione tra fabbricati ante e post 1967
In pratica, il provvedimento impugnato avrebbe dovuto distinguere, per ciascun fabbricato, quanto legittimo, perché costruito ante 1967, da quanto difforme rispetto alla domanda di condono o non condonabile, invitando il responsabile dell’abuso a demolire solo queste ultime opere: di qui l’evidente difetto di istruttoria e di motivazione, rilevato dalla sentenza impugnata.
Quanto, infine, all’omessa considerazione dei plurimi vincoli paesaggistici gravanti sull’area, è sufficiente richiamare, anche sotto tale profilo, le condivisibili conclusioni a cui è pervenuto il giudice di primo grado, il quale ha osservato che l’incertezza della datazione dei manufatti, alcuni dei quali già esistenti nel 1956 (e, quindi, presumibilmente edificati in data antecedente), incide anche sulla possibilità di sanzionarli sotto il profilo paesaggistico con riferimento ai vincoli che il comune assume imposti negli anni 1955 e 1958.
Il comune appellante non ha articolato alcuna specifica critica alla sopra richiama statuizione né ha fornito elementi, quanto meno indiziari, in ordine alla datazione degli interventi, limitandosi a censurare la “totale indifferenza” manifestata dal giudice di primo grado in relazione alle istanze di tutela paesaggistica ed ambientale sottese al provvedimento sanzionatorio.
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