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Cresce la spesa per il welfare ma calano i contribuenti: il difficile finanziamento dello stato sociale secondo l’analisi di Itinerari Previdenziali e Cida #finsubito prestito immediato


Continua a crescere la spesa per il welfare ma resta invariata la quota di contribuenti che effettivamente partecipano al mantenimento dello stato sociale. È quanto emerge dall’ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate di Itinerari Previdenziali, realizzato in collaborazione con Cida. Infatti solo 32,373 milioni di cittadini su 59 milioni presentano una dichiarazione dei redditi positiva, significa che il 45% degli italiani non ha redditi e, quindi, vive a carico di qualcuno.

Su 42 milioni di dichiaranti, poi, il 75,57% dell’intera Irpef è pagato da circa 10 milioni di milioni di contribuenti, mentre i restanti 32 ne pagano solo il 24,43%. Si pone dunque un serio problema di sostenibilità del nostro welfare, che rimane uno dei più generosi al mondo in termini di servizi erogati alle collettività. I dati, che si basano sulle dichiarazioni dei redditi del 2022 presentate nel 2023 ed elaborate nel maggio di quest’anno, spieganoche il gettito Irpef si è attestato a quasi 190 miliardi di euro. C’è poi uno slittamento dei redditi verso l’alto: diminuisce il numero di contribuenti di tutte le fasce fino a 20mila euro, che passa da 23,133 milioni nel 2021 a 22,355 milioni. Ma costoro, per effetto delle agevolazioni, contribuiscono solo per il 6,31% del gettito totale. Parallelamente aumenta la percentuale di contribuenti che guadagnano più di 20mila euro, che passano dal 44,25% al 46,81%. 19,669 milioni di contribuenti pagano il 93,7% di tutta l’Irpef.

Dunque una delle domande che si pone il rapporto è se e per quanto ancora 19 milioni di cittadini potranno mantenerne 22 milioni. Venendo poi alla composizione di chi paga l’Irpef, il 40,35% dei contribuenti, ossia quasi 17 milioni, versa solo l’1,28% dell’imposta, ossia si tratta di quella fascia di popolazione che non dichiara nessun reddito o che arriva fino a 15mila euro lordi all’anno. Se guardiamo agli scaglioni più alti, che partano dai 35mila euro fino a superare i 300mila, i numeri ci dicono che questi contribuenti, che sono il 15,26% del totale, finanziano il 63,39% dell’Irpef. In sintesi, considerate tutte le varie soglie di reddito, il 46,81% paga il 93,7% dell’Irpef, mentre il restante 53,19% solo il 6,31%. Se guardiamo alla tipologia del contribuente, in testa troviamo i dipendenti, che sono più di 22milioni, quasi il 53% del totale, che sulle loro spalle portano il peso di oltre metà dell’Irpef che entra nelle casse dello stato.  L’analisi riporta anche profonde disparità territoriali. Il nord si fa carico del 57,22% dell’Irpef, il centro del 21,8% e il sud del 20,97%. Squilibri che si ritrovano anche nell’Iva, con le regioni del nord che hanno un gettito pro capite di 3.377 euro, il centro di poco meno di 3mila euro, mentre al mezzogiorno si scende a 751 euro.

Emerge molto forte, dall’analisi fatta del prof. Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali, il tema della sostenibilità del nostro stato sociale. Infatti la spesa per sanità, assistenza e servizi forniti dagli enti locali è in continua crescita, e nel 2023 ha raggiunto i 318 miliardi di euro. C’è poi, denuncia Brambilla, un serio problema di controlli nel nostro paese, sul quale pesa anche l’assenza di un’anagrafe e una banca dati per l’assistenza. Tra le proposte avanzate c’è una riduzione e una razionalizzazione dei bonus, un calcolo delle agevolazioni che no avvenga sul lordo ma sul netto percepito, evitare decontribuzioni che, alla fine, non creano posti di lavoro e convocare dopo una certa età, intorno ai 35 come avviene in altri paesi europei, chi non ha mai presentato una dichiarazione.

Per Stefano Cuzzilla, presidente Cida, “le dichiarazioni Irpef fotografano una positiva tendenza dell’occupazione, che è tornata a crescere, e questo non può che farci piacere. Se aumenta il numero di contribuenti relativamente alle fasce medie significa che abbiamo maggiori speranze di garantire sostenibilità al welfare pubblico in futuro. Ecco perché è importante non tradire il ceto medio. Tassarlo oltre a quanto già non si faccia, proprio ora che inizia a rinfoltirsi, potrebbe avere effetti recessivi sull’intera dinamica”.

Tommaso Nutarelli

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