Alla Centrale dell’Acqua di piazza Diocleziano la mostra «Dal progetto alla città: 1964-2024, 60 anni di M1»
Una cartella esattoriale di 670 mila lire, pari all’epoca a circa 8 mesi di stipendio di un operaio, recapitata da Palazzo Marino a una coppia che abitava in un palazzo in via Correggio. Era il 1966 e da due anni nel quartiere era arrivata la prima linea metropolitana, la M1, in piazza Buonarroti. Da un calcolo degli uffici comunali, il valore dell’abitazione, che si trovava a meno di 500 metri dal metrò, aveva già subito una rivalutazione. E quindi tutti i residenti dovevano versare una tassa per aiutare a finanziare la nuova opera che aveva rivoluzionato la vita cittadina. Questa cartella esattoriale è solo uno dei tanti documenti inediti che, insieme ai progetti originali, foto e filmati d’epoca, oggetti e reperti, si ammirano nella mostra che celebra il 60° anniversario dell’apertura della linea rossa. La rassegna «Dal progetto alla città: 1964-2024, 60 anni di M1», è aperta gratuitamente fino alla fine dell’anno alla Centrale dell’Acqua di piazza Diocleziano 5.
Il 1° novembre 1964 alle 10.40 la M1 fu inaugurata. Con 21 stazioni, da Sesto Marelli a Lotto, copriva 12,5 chilometri. Alle 17.03 aprì al pubblico e 200 mila persone si misero in coda per il primo viaggio. Oggi è ancora la linea più utilizzata tra le cinque. Allora fu pagata dal Comune, usando fondi a bilancio, ma anche obbligazioni sottoscritte da molti cittadini e la già citata tassa per i residenti vicini alle stazioni. Anche oggi l’arrivo del metrò in zona fa schizzare le quotazioni delle case, ma i proprietari non devono «restituire il favore».
La mostra è una miniera di racconti e aneddoti. Perché serviva un metrò? Perché il traffico già negli anni 50 era caotico. Inoltre, gli stabilimenti a Nord di Milano (dalla Pirelli alla Breda, l’Ansaldo, Marelli, Falck) richiamavano migliaia di lavoratori che si spostavano da tutta la città. I due primi capolinea della Rossa collegavano due zone allora industriali: Sesto e piazzale Lotto. Il Comune deliberò il progetto nel 1954 e nel 1955 fu costituita la Mm. Sette anni dopo l’avvio dei cantieri, l’opera era pronta. «Un tempo record se si considera che non esistevano mezzi come le «talpe» e che certe strutture come le carpenterie di sostegno degli scavi venivano fatte a mano» racconta Massimo Guzzi (direttore Sistemi per la Mobilità di Mm).
«Il problema principale degli scavi era la deviazione del traffico, impossibile in alcuni punti. In piazza San Babila e in piazza Wagner vennero quindi costruiti ponti sopra il cantiere. E poi c’era il problema delle fognature, manufatti grossi e profondi che andavano spostati, incastrati nello spazio disponibile».
Essendo la rossa la prima metropolitana italiana (un piccolo tratto aperto a Roma poi era stato chiuso), c’era tutto da inventare e definire, dalla grandezza del treno al tipo di veicolo: se su gomma o su rotaia. «Bisognava decidere come dargli tensione, con la linea aerea o con quella che noi chiamiamo “terza rotaia”: quella sorta di guardrail che oggi corre al lato del binario». E poi nelle stazioni serviva un capostazione? Si decise di no. I primi convogli avevano come oggi sedute longitudinali, ma con sedili imbottiti.
La mostra è anche un viaggio nel design di Franco Albini e Bob Noorda, che disegnarono la segnaletica, le finiture, come i caratteristici corrimano, la pavimentazione nera antiscivolo… Le stazioni più iconiche? «Cadorna, dove i binari della M1 e M2 corrono allo stesso livello e poi Amendola Fiera con la lunga scala che dai binari sale al mezzanino: era la porta d’ingresso alla fiera» conclude Guzzi. Mentre la rossa veniva inaugurata, i lavori continuavano e da lì a poco la linea aprì fino a Gambara. Oggi le fermate sono 38 e i capolinea 3.
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