L’AQUILA – Sono passati anni dalla prima volta in cui si è parlato di mafia dei pascoli in Abruzzo, e forse la primogenitura ce l’ha proprio questo giornale. Oggi, dopo sollecitazioni arrivate da più parti – a partire proprio dai media – il complesso fenomeno che porta personaggi spesso di fuori regione ad acquisire terreni per avere accesso a fondi comunitari pur senza essere in possesso del bestiame, viene preso in esame dalla magistratura e fa il suo primo ingresso in un’aula di tribunale.
Dopo la richiesta di rinvio a giudizio depositata dal pm Simonetta Ciccarelli il 13 settembre scorso, infatti, il gup Marco Billi ha fissato per il 25 febbraio prossimo l’udienza preliminare a carico di ben 44 persone e 31 società e cooperative agricole ritenuti a vario titolo responsabili di aver frodato l’Unione europea proprio per accaparrarsi fiumi di denaro pubblico destinato agli allevatori.
Tra le persone offese, risultano infatti, tra gli altri, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), lo stesso Stato e l’Ue.
Agli imputati viene contestato di “essersi stabilmente associati tra loro allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti contro il patrimonio, tra cui le numerose truffe aggravate perpetrate, anche mediante l’utilizzo di imprese fittizie intestate a prestanome, a danno dell’Ue, dell’Agea e degli organismi pagatori, autoriciclaggio, reimpiego di proventi illeciti e ricettazione”.
Tra le accuse più pesanti c’è quella di associazione per delinquere: secondo i pm, infatti, quella che aveva messo le mani sui pascoli abruzzesi sarebbe una vera e propria organizzazione verticistica, ben organizzata e gerarchica, al cui vertice figura un 61enne di Bleggio Superiore (Trento) già sottoposto alla misura dell’obbligo di dimora nel comune di Trento e già noto alle cronache, e che si intreccia con la mafia foggiana.
L’inchiesta, chiamata “Transumanza”, portata avanti dalla Guardia di finanza di Pescara per circa due anni, attraverso 100mila intercettazioni, 8mila interrogazioni alle banche dati e accertamenti bancari su più di 270 conti correnti aveva permesso di ricostruire un giro di 5 milioni di euro di contributi irregolari che si muoveva tra Abruzzo, Puglia, Lazio, Campania, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Veneto, Piemonte, Lombardia e Liguria.
Insieme al trentino, al vertice c’era suo fratello e un gruppo di altre 11 persone tra cui due esperti proprio di Politica agricola comune (Pac) e dei meccanismi che le ruotano attorno, come quello del Sian (Sistema informativo agricolo nazionale) e della Banca dati nazionale.
Il sistema
Il fenomeno ruota attorno al cosiddetto sistema dei titoli. Lo ha spiegato meglio di altri proprio in un’intervista a Virtù Quotidiane la professoressa Lina Calandra, geografa dell’Università dell’Aquila, che proprio consultando la banca dati del Sian e incrociando i dati ha costruito delle mappe da cui si evince come ci sia una costellazione di società che aprono e chiudono solo per accaparrarsi i cosiddetti titoli Pac, diritti che permettono alle aziende agricole di accedere ai finanziamenti dell’Unione europea.
I contributi da parte dell’Ue vengono assegnati tramite i titoli Pac (Politica Agricola Comune), dei diritti legati, tra le altre cose, agli ettari di terra utilizzati che permettono all’agricoltore o all’allevatore di ricevere degli aiuti. I titoli sono riconosciuti anche in base alla superficie di pascolo che si possiede o a cui si ha accesso, per questo il meccanismo criminoso che si è generato ruoterebbe anche attorno all’assegnazione delle superfici, considerando che queste spesso sono di uso civico e dunque gestite dagli enti locali. (m.sig.)
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