Nessun passo indietro sulla web tax nonostante la stretta finisca per colpire le Pmi. In audizione davanti alle commissioni bilancio di Camera e Senato, ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha aperto ad alcuni emendamenti sui nodi più discussi della Manovra, ma tira dritto sulla tassa pensata per mettere un freno all’elusione fiscale delle Big tech, che nella nuova legge di Bilancio sarebbe estesa anche le imprese italiane, pronte, dal canto loro, a rispondere con lo sciopero fiscale.
La norma in Manovra
Nata nel 2018 per trovare una soluzione al mancato versamento delle tasse in Italia da parte dei colossi americani come Google e Meta, la web tax verrebbe modificata nell’articolo 4 della Manovra 2025, togliendo il limite dei 750 milioni previsto proprio in funzione delle Big tech e allargando così la platea delle aziende interessate a tutte le Pmi italiane che ospitano “pubblicità mirata” su un sito, compresi i giornali online.
Si tratta di un’imposta del 3% che frutta allo Stato quasi 400 milioni di euro soltanto dai giganti digitali, sulla quale gli Usa hanno sempre espresso la loro contrarietà, tanto da minacciare ripercussioni a livello commerciale.
Sulla norma Stati Uniti e Italia avevano stretto nel 2021 un patto bilaterale, in attesa che altri Paesi si accordassero in ambito Ocse sui criteri da adottare per una web tax comune in tutto il mondo. Un’intesa mai raggiunta, tanto da fare scadere anche l’ultima proroga dell’accordo tra Washington e Roma.
Per questo davanti alle commissioni bilancio il ministro Giorgetti parla di eliminare “la caratteristica di ‘discriminazione‘ alla base della contestazione Usa che avevano originato ritorsioni commerciali al momento dell’introduzione”.
“Noi abbiamo fatto una cosa che credo imiteranno anche altri – ha affermato il titolare del Mef – almeno quelli che hanno adottato la web tax in giro per il mondo. L’attuale formulazione della web tax è esattamente quella proposta dall’Ocse qualche anno fa che alla fine la commissione europea non ha recepito. Io ritengo che la tassazione del digitale debba avvenire a livello europeo e questa è la proposta che fa l’Italia”.
“Se si va al contenzioso con gli Usa si arriva poi alle ritorsioni commerciali – ha spiegato Giancarlo Giorgetti – una questione che non è chiusa ma solo sospesa in attesa di decisioni sul Pillar 1 (il “primo pilastro” della riforma della tassazione delle multinazionali, ndr): quello che prevede la redistribuzione del ‘diritto a tassare’ una parte di utili tra tutti i Paesi in cui un gruppo è attivo. E su cui non si riuscirà ad arrivare a una decisione entro fine anno perché gli Stati Uniti e altri Paesi non vogliono sottoscrivere”.
“Siccome non si riesce ad arrivare a quello che dovrebbe essere una decisione a livello internazionale ed europeo – ha avvertito ancora il ministro – ognuno si deve chiedere se è giusto ammazzare di tasse il negoziante di calzature che sta qua sulla Nomentana e invece per internet che non ha costi di struttura” e per cui “non si paga l’affitto, c’è una tassazione diciamo così migliore. È una riflessione che dobbiamo fare qui e che io auspico venga fatta a livello internazionale”.
Le protesta
La spiegazione non sembra essere sufficiente né per le opposizioni né per le pmi e provoca malumori anche all’interno della maggioranza, con Forza Italia che ha parlato di “errore” da correggere nella discussione in Aula sulla Manovra.
Giorgetti ha riconosciuto l’indipendenza del Parlamento, avvertendo però nuovamente sul rischio di ritorsioni commerciali da parte degli Stati Uniti.
L’associazione Confimprenditori, che rappresenta 370mila imprese e partite Iva, non vuole comunque sentire parlare di web tax alle pmi ed è pronta a indire uno sciopero fiscale.
Secondo il presidente Stefano Ruvolo, infatti, le parole di Giorgetti “confermano la scarsa attenzione di questo governo per le piccole e medie imprese, vero e proprio motore trainante della nostra economia”.
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