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Progetto Phoebe:la costruzione degli adeguati assetti* #finsubito prestito immediato


Dall’analisi dei risultati della ricerca è possibile trarre degli spunti di riflessione che non necessariamente debbono portare a una valutazione negativa dello stato dell’arte, ma piuttosto suggerire una presa di coscienza dello spazio di intervento possibile nell’area delle PMI[7], tenendo sempre in considerazione l’imprescindibilità del principio della proporzionalità dei presidi da adottare in relazione alle dimensioni ed alla complessità dell’impresa[8].
In tal senso, posto che in questo elaborato il focus è proprio su realtà di minori dimensioni, si proverà a declinare concetti tendenzialmente applicati alle grandi organizzazioni cercando di offrire suggerimenti che possano rivelarsi utili a strutturare un assetto al contempo efficiente ed efficace in considerazione delle realtà sulle quali si è concentrata la ricerca. Infatti, la valutazione di adeguatezza di per sé non può non tenere in considerazione le dimensioni dell’impresa oggetto di analisi e la variabilità degli scenari che la stessa si trova ad affrontare nel corso della propria attività, suggerendo che non esiste una soluzione univoca e rigida che possa fare al caso di ogni entità.
Inoltre, l’evoluzione delle teorie aziendalistiche ha dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, che la norma contenuta nell’art. 2214 c.c., che, riferendosi ai soli assetti contabili, esonera il piccolo imprenditore dalla tenuta delle scritture contabili, è ormai “insignificante e inapplicabile”: in quanto la produzione dei flussi informativi che derivano dalle registrazioni contabili degli eventi di gestione, costituisce elemento essenziale all’attività produttiva anche di piccole dimensioni[9]. Ciò che certamente emerge e viene confermato dall’art. 3 CCII è la necessità che, indipendentemente dalla struttura dimensionale, vi sia l’obbligo di dotarsi di misure idonee al rilievo tempestivo dello stato di crisi, ovvero che sia disegnato, strutturato e continuamente monitorato un modello di gestione che contempli precisi e tempestivi flussi informativi che consentano una reazione senza indugio allorquando vi siano all’orizzonte situazioni di squilibrio economico-finanziario.
Ciò che evidentemente potrà differenziare un assetto organizzativo di una grande impresa rispetto ad una di dimensioni minori è il grado di formalizzazione dell’organizzazione, in particolare in merito a rigidità dei flussi informativi o flessibilità con la quale vengono distribuite le mansioni ai vari soggetti facenti parte la catena informativa[10]. Oltretutto, la costruzione di un assetto organizzativo non potrà mai prescindere da una approfondita analisi di costi/benefici, ovvero di efficienza dell’assetto rispetto alla struttura da tenere sotto controllo: in tal senso, “risulterà efficiente un presidio che consente di raggiungere l’obiettivo con l’impiego minimo delle risorse indispensabili[11]”, pur avendo sempre come riferimento l’obiettivo minimo accettabile che, come detto, dovrà sempre tener conto del principio di proporzionalità.
Non è un caso, infatti, che il legislatore abbia optato per la clausola generale di “adeguatezza” dell’assetto organizzativo, in quanto tale concetto ‘relazionale’ indica proporzione, congruenza, convenienza ed opportunità rispetto anche al modello di business dell’attività: quest’ultimo, pur mantenendo certe peculiarità, tende, nel corso dell’attività d’impresa, a mutare ed evolversi a seconda dell’andamento del mercato e perciò anche un assetto organizzativo potrà risultare oggetto di sviluppo a seconda dei rischi che l’impresa corre, nell’ottica di un approccio votato all’early warning e ad intercettare i possibili segnali di squilibrio.
Perciò in un certo senso appariva condivisibile l’orientamento giurisprudenziale[12] che si era in un primo momento formato in merito alla discrezionalità da parte degli amministratori in relazione alla scelta di soluzioni diverse nella creazione di assetti organizzativi, privilegiando il principio della business judgement rule: non veniva messo in dubbio che vi potesse essere libero arbitrio in relazione alla scelta di dotarsi o meno di un adeguato controllo di gestione, ma piuttosto, come poc’anzi evidenziato, fornire l’occasione di determinare autonomamente quale possa essere l’organizzazione maggiormente funzionale a rispettare quanto richiesto dalla normativa. Quindi, stante il principio secondo il quale la valutazione di adeguatezza per ritenere congruo o meno l’operato degli amministratori deve necessariamente essere condotta ex ante, ovvero non in considerazione del risultato di un eventuale percorso di risanamento intrapreso, ma prendendo in esame la struttura organizzativa che era presente nel momento in cui si è manifestato uno squilibrio economico-patrimoniale, risultava comunque imprescindibile – quale condizione necessaria ma non sufficiente – l’adozione di strumenti di monitoraggio c.d. “manifesto” che possano evidenziare la presenza di pianificazione economico-finanziaria[13],  di un adeguato sistema contabile, di una ben definita struttura organizzativa e di un efficace sistema di reporting.
Con l’entrata in vigore del CCII però, e in particolare tenendo in considerazione quanto previsto dall’art.3, l’orientamento giurisprudenziale in merito alla dotazione di adeguati assetti organizzativi sembra aver subito una metamorfosi in senso restrittivo rispetto alla business judgement rule e, anzi, si nota in più casi che l’approccio dei tribunali tende a valorizzare l’importanza di indagare all’interno delle aziende oggetto del contendere la concreta sussistenza e lo stato effettivo degli assetti organizzativi. In tal senso, recenti provvedimenti sono contraddistinti da una più marcata intenzione da parte del Tribunale di far luce sull’effettivo stato degli assetti nel momento in cui avviene la segnalazione, tipicamente da parte del collegio sindacale, per tramite delle analisi svolte da parte di ispettori giudiziari. Ad esempio, l’irregolarità gestionale, nonostante l’attività non si trovasse in crisi, è stata accertata dal Tribunale di Cagliari[14], che ha evidenziato l’assenza di adeguati presidi gestionali, fornendo anche spunti operativi attraverso un dettaglio delle carenze organizzative riscontrate, riportate nella tabella di seguito riportata: 

Il Tribunale, in tale fattispecie, ha perciò ordinato all’organo amministrativo di adottare gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati, nominando un amministratore giudiziario, ai sensi dell’art. 2409 c.c., nell’ottica di verificare in un secondo momento l’adeguatezza degli interventi messi in atto. Non solo, in siffatta situazione il Tribunale ha voluto specificare che “una volta manifestatasi la crisi, sfuma la gravità dell’adozione di adeguati assetti e viene in massimo rilievo, invece, la mancata adozione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per fronteggiarla” e in tal senso “la violazione dell’obbligazione di predisporre adeguati assetti è più grave quando la società non si trova in crisi, anche perché, del resto, proprio in tale fase essa ha le risorse anche economiche per predisporre con efficacia le misure organizzative, contabili e amministrative”.
Un altro caso in cui si è assistito ad un simile approccio, è riferibile al provvedimento con il quale il Tribunale di Catania[15], a seguito di verifiche di un professionista indipendente, ha concluso che “il rispetto degli obblighi imposti dall’art. 2086, comma 2, c.c., non può limitarsi alla distribuzione delle deleghe agli amministratori, ma impone un precisa individuazione ed indicazione di tutti gli altri aspetti organizzativi, amministrativi e contabili, che, nel caso di specie, risultano del tutto assenti.”, ritenendo che non potesse neanche essere tenuto in considerazione il principio della business judgement rule in quanto “E’ evidente che nella specie, in carenza di assetti organizzativi ex art. 2086, comma 2, c.c., che non risultano essere mai stati sollecitati neppure dal collegio sindacale, non si pone alcun problema di limiti di sindacabilità delle scelte operate dal CdA, configurandosi, di contro, un grave inadempimento degli obblighi gravanti sull’organo gestorio.”.
L’orientamento giurisprudenziale restrittivo non è però del tutto consolidato in quanto esito opposto è rinvenibile in un altro provvedimento del Tribunale di Bologna[16], successivo ad un ricorso da parte del socio di minoranza che denunziava gravi irregolarità nella gestione dell’attività da parte dell’amministratore unico: provando a sintetizzare quanto emerso in sede giudiziale, l’iniziativa successiva a contestazioni perlopiù generiche sull’inidoneità degli assetti organizzativi, amministrativi, contabili, è stata rigettata dal Tribunale di Bologna anche tenendo conto che i dati economico-finanziari, non confutati dalle analisi del professionista incaricato, attestavano una equilibrata e proficua operatività dell’impresa. Inoltre, è stata rilevata l’assenza di alcun segnale di crisi, né presente, né potenziale, e/o di perdita della continuità aziendale ragionevolmente suscettibile di rilevazione. Perciò, il Tribunale ha concluso che l’inidoneità dell’assetto adottato dagli amministratori deve essere provata da parte ricorrente con motivazioni sostanziali a supporto di una potenzialità lesiva della condotta omissiva degli amministratori e che quindi non sia sufficiente una astratta inadeguatezza (ovvero in mancanza di segnali di crisi) per portare alla rimozione dell’amministratore.
Orbene, esulando per un attimo da principi tradizionalmente aziendalistici, occorre tener conto anche della rilevazione e la gestione dei rischi di sostenibilità, in considerazione dei presidi di governance e controllo proposti alla sfera ESG, nonché dell’impatto che eventualmente i rischi di sostenibilità possano avere sugli equilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario dell’azienda[17]. Inoltre, di medesima importanza, risulterà l’adeguamento ai contenuti del D.Lgs. n. 81/2008 in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso formazione specifica, investimenti e manutenzioni e il continuo aggiornamento del DVR (“Documento di valutazione dei rischi”). Fermo resta anche l’obbligo di dotarsi del Modello 231 (“Modello di organizzazione e gestione”) nell’ottica di garantire la prevenzione della commissione di reati attraverso una serie di procedure aziendali. 
In merito alla struttura organizzativa da un punto di vista aziendalistico, può essere utile far riferimento alle Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate che, sebbene in fase di aggiornamento, evidenziano che un assetto organizzativo può definirsi adeguato quando: 

· dia evidenza dell’organizzazione gerarchica; 

· presenti un organigramma aziendale con chiara identificazione delle funzioni, dei compiti e delle linee di responsabilità; 

· dia evidenza dell’attività decisionale e direttiva della società da parte dell’amministratore delegato nonché dei soggetti ai quali sono attribuiti i relativi poteri;

· includa procedure che assicurino l’efficienza e l’efficacia della gestione dei rischi e del sistema di controllo, nonché la completezza, la tempestività, l’attendibilità e l’efficacia dei flussi informativi anche con riferimento alle società controllate; 

· comprenda procedure che assicurino la presenza di personale con adeguata professionalità e competenza a svolgere le funzioni assegnate e che garantiscano un ordinato e regolare andamento della gestione; 

· preveda chiare direttive e procedure aziendali, loro aggiornamento ed effettiva diffusione.[18] 

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Ciò che però appare il fulcro necessario ai fini di una gestione consapevole dell’attività[19] è un piano d’impresa, ad orizzonte temporale variabile, che deve necessariamente contenere una traduzione numerica delle idee e dei progetti che l’amministratore intende mettere in atto per la propria attività: anche dalle interviste che si è avuto modo di condurre spesso è emerso come, sebbene vi sia una certa prosperità di idee e convincimenti circa la probabile evoluzione della gestione dell’attività, manchino evidentemente le proiezioni economico-finanziarie delle stesse. Un ausilio in questo senso può certamente essere tratto dalla checklist (Lista di controllo) particolareggiata per la redazione del piano di risanamento contenuta nel Decreto dirigenziale 21 marzo 2023: sebbene le indicazioni contenute facciano riferimento ad un piano di risanamento, queste possono proficuamente essere utilizzate anche per la redazione di un piano d’azione che non contempli una situazione già di pre-crisi o crisi. Con particolare riferimento alla prima sezione, quella relativa ai requisiti organizzativi, questa può riuscire a fotografare con precisione la situazione organizzativa in cui un’impresa si ritrova, dando anche suggerimenti in merito a dove porre l’attenzione per un’attenta valutazione della situazione; in particolare, i quesiti sono inerenti: 

a) la presenza o meno di un monitoraggio continuo dell’andamento aziendale che, come detto, presuppone che vi siano adeguati flussi informativi e un sistema di reporting adatto al modello gestionale e di business; 

b) la capacità di stimare l’andamento gestionale ricorrendo anche, come già evidenziato, ad indicatori chiave gestionali (KPIs). L’analisi degli stessi è fondamentale, ma occorre che vi sia una consapevolezza in merito ai risultati ottenuti e alla qualità del dato, cui faremo a breve riferimento; 

c) l’utilizzo o meno di un piano di tesoreria a sei mesi.

In questa sede, però, si vuole porre particolare attenzione alle prime due domande della sezione cui si faceva riferimento, che richiamano le risorse chiave (umane e tecniche) per la conduzione dell’attività e le competenze tecniche occorrenti per le iniziative industriali che si intendono adottare. In tal senso, risulta imprescindibile evidenziare quanto il fattore umano sia decisivo in qualsiasi tipo di organizzazione: si può infatti beneficiare del modello gestionale più evoluto, informatizzato e strutturato, ma vi saranno sempre dei profili di manualità per i quali saranno fondamentali le capacità e le competenze dei soggetti chiamati ad intervenire su di essi. La capacità di lettura dei dati che provengono dai KPIs, una adeguata analisi dei profili di rischio, un attento studio dei documenti contabili, il continuo monitoraggio degli obiettivi di budget e la precisa identificazione di eventuali margini di miglioramento sono tutte azioni che non possono non presupporre una qualità umana che ad oggi risulta complesso reperire sul mercato del lavoro, in quanto solo negli ultimi anni vi è una specifica formazione di figure professionali (i.e. ingegneri gestionali) di questo genere all’interno dei percorsi accademici, e spesso l’effettivo apprendimento avviene direttamente in azienda e tende a essere limitato ai paradigmi che rispecchiano l’attività oggetto di controllo.
Volendo operare un focus sulle realtà di minori dimensioni, a titolo meramente esemplificativo, si richiamano due indicatori di redditività che, grazie all’approccio ‘confidenziale’ delle interviste svolte nel corso della ricerca, è stato possibile riconoscere come tendenzialmente mancanti in siffatte realtà: il margine di contribuzione e il BEP (“Break Even Point”). Questi due parametri sono di fatto la pietra miliare di ogni attività in quanto rappresentano rispettivamente la marginalità del prodotto venduto[20] e il punto di pareggio[21] dell’attività che ne è una derivata. Senza avere a disposizione questo tipo di informazioni, che siano di carattere consuntivo o stimate sulla base di ciò che il management si aspetta di raggiungere, risulta pressoché impossibile governare un’attività con consapevolezza. Non è un caso, infatti, che buona parte delle realtà che hanno confessato di non avere contezza di tali indicatori, riesca ad operare una valutazione giornaliera, settimanale o mensile facendo unicamente riferimento alle risultanze finanziarie, ovvero alla cassa disponibile al termine di tali periodi. Facendo riferimento all’importanza di avere la capacità di stimare quale sia il BEP della propria attività, è capitato che un ristoratore confessasse di non avere idea di quanti coperti fosse per lui necessario occupare per poter valutare positivo o meno l’andamento di una serata: si può immaginare che tipo di conseguenze questo approccio possa portare nel corso del tempo, con ricadute su fornitori, dipendenti e, infine, il sistema che concede credito a questo tipo di attività. Il risultato di fatto è simile a quello di un automobilista che deve raggiungere il traguardo senza sapere quanta benzina ha a disposizione e quanta ne consuma durante il tragitto: nella maggior parte dei casi avendo fatto un pieno riuscirà ad arrivare a destinazione, ma nel momento in cui ciò rischierà di non avverarsi non avrà alcuno strumento per poter comprendere lo stato in cui si trova. Infatti, oltretutto, non conoscere questo tipo di informazioni circa la propria attività, non solo non consente di reagire, ma neanche di costruire piani, budget o stime in quanto non si hanno a disposizione i dati necessari o, se si hanno, nella maggior parte dei casi si tratta di informazioni errate.
Infatti, un altro problema che rischia di incidere sul monitoraggio dei risultati, ma che potrebbe essere intercettato grazie alle competenze cui si faceva riferimento poc’anzi, è la qualità del dato che i responsabili del controllo di gestione sono in grado di ottenere tramite gli strumenti a disposizione della struttura: dovrebbe essere garantito il mantenimento della qualità del dato sia nel momento di estrazione dei risultati (in particolar modo consuntivi, ma anche previsionali) sia nelle successive fasi di condivisione e ciò dovrebbe essere assicurato dalla qualità dei flussi informativi, i quali non basta che siano presenti, ma devono risultare completi e adeguati rispetto ai dati che necessitano di essere trasmessi.
Tale impostazione non può in alcun modo prescindere, ed essere ulteriormente potenziata, dalle capacità del management: questi dovrebbe ritenere fondamentale strutturare un meccanismo virtuoso che gli consenta di avere sempre a disposizione dati aggiornati, precisi e veritieri. La capacità di valutazione della bontà di tali parametri da parte dei soggetti apicali, anche nelle società di minori dimensioni, risulta fondamentale nell’ottica di strutturare un efficace sistema di controllo facendo sì che lo stesso sistema, oltre ai dati ottenuti, sia continuamente oggetto di analisi volta ad approfondire le dinamiche aziendali e intercettare le aree migliorabili.
È in merito a ciò, più che in considerazione dell’adozione di adeguati assetti organizzativi tout court, che le nuove frontiere informatiche possono effettivamente agevolare l’ottenimento di risultati affidabili e migliorare con continuità la qualità dei dati ottenuti. Nei paragrafi precedenti si è anticipato che non si ritiene che le nuove frontiere informatiche siano la soluzione ai problemi che stiamo analizzando in quanto non consentirebbero una gestione consapevole dell’attività, ma anzi potrebbero tendere ad operare una sostituzione del management limitando ancor di più le capacità di gestione. Al contempo, però, l’intelligenza artificiale, che ha il pregio di poter essere in qualche modo allenata da chi la possiede, nei prossimi decenni potrebbe divenire in grado di agevolare notevolmente l’estrazione di dati qualitativi in merito allo svolgimento dell’attività, sia in relazione ai risultati consuntivi che l’IA sarà in grado di analizzare autonomamente, sia per quanto concerne la rapidità di valutazione del risultato prognostico che l’impresa si aspetta di ottenere. 
In ultimo, occorre evidenziare che il fatto che il legislatore abbia inteso prevedere obbligatorio dotarsi di adeguati assetti organizzativi non dovrebbe essere inteso soltanto come un dovere dall’imprenditoria italiana, ma piuttosto come un’opportunità di rendere maggiormente virtuosa la gestione della propria attività; nel corso di alcune delle interviste che si è avuto modo di condurre è emersa esattamente questa considerazione da parte degli intervistati, alcuni tra i quali si sono mostrati interessati a capire con maggiore chiarezza i vantaggi di cui avrebbero potuto beneficiare attraverso la costruzione di un assetto organizzativo. La volontaria omissione di “adeguato” a corredo della frase appena conclusa intende sottolineare come, allo stato, molti degli intervistati non siano dotati di alcun assetto organizzativo, come dimostra la quantità di soggetti che hanno evidenziato una gestione basata sulla propria sensibilità e su una totale ignoranza in merito all’utilizzo di strumenti previsionali, primo tra i quali un piano di azione che contempli una declinazione numerica dell’evoluzione attesa dell’attività. 
In conclusione, appare evidente quanto in questa fase di globalizzazione estrema e continua metamorfosi dei mercati, risulti di fondamentale importanza il supporto dei professionisti di fiducia alle attività che seguono: non può certamente più bastare un servizio che presupponga la sola consulenza fiscale senza che, nella maggior parte dei casi, vi sia un adeguato controllo in continuum, anziché interventi sporadici su richiesta dell’imprenditore per singoli adempimenti. Le peculiarità tecniche della scienza aziendale, accompagnate dalla capacità di bilanciare la necessità di adeguati assetti organizzativi alle effettive dimensioni e risorse delle realtà, saranno nei prossimi anni caratteristiche imprescindibili per i professionisti del domani: in tal senso, non occorre necessariamente avere come focus la crisi d’impresa e le ristrutturazioni aziendali per comprendere l’importanza rivestita dalla capacità di prendere coscienza di quale sia la condizione reale nella quale l’impresa si trova e, di conseguenza, assumere le iniziative più corrette ed adeguate. 

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