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“Cancellati gli incentivi auto? Era tutto previsto, ora pensiamo a quello che vogliono i c #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


Gli Ecobonus spariscono dal mercato, ma restano le incertezze sull’auto elettrica e sull’uso intelligente dei fondi pubblici. “Serve che l‘Europa prosegua nel tutelare gli interessi della sua industria”, insiste il vicepresidente di Anfia, Marco Stella: “Per non lasciare il mercato alla Cina servono auto interessanti”

Gianluigi Giannetti

Come dovevasi dimostrare. “Noi tagliamo gli incentivi per rottamare e acquistare auto fatte in Cina, questi 700 milioni non ci sono più, ma 800 milioni di residui sono pronti da domattina, chi vuole investire in automotive per produrre è benvenuto”. Dopo l’anticipazione di Gazzetta Motori del 29 ottobre, il 7 novembre arriva comunicazione ufficiale della cancellazione degli Ecobonus per il 2025 e per gli anni a venire. L’annuncio tocca al ministro Economia, Giancarlo Giorgetti, in audizione di fronte alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, mentre nelle stesse ore gli fa eco il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, da Palazzo Madama: “Gli incentivi destinati all’acquisto non hanno avuto effetti positivi sulla produzione. Dobbiamo prenderne atto e concentrare le risorse sugli investimenti”. Tutto chiaro? Nient’affatto. “Casomai la sfida è appena cominciata”, questo il giudizio di un osservatore privilegiato come Marco Stella, vicepresidente e presidente del gruppo componenti di Anfia, l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica con cui il governo collabora nella scrittura di un piano per il settore automotive in Italia. La fine degli Ecobonus auto è solo una cattiva notizia oppure obbliga finalmente a ragionare?

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Marco Stella, valeva la pena rinunciare agli incentivi auto? 
“​Il fondo automotive presentato il 18 febbraio 2022 era dotato di 8,7 miliardi pensando a compensare il Pnrr, cioè lo strumento principale pensato per far evolvere tanti settori ma che non si occupava specificatamente di auto. Serviva aiutare la transizione fino al 2030 e prevedeva che fino al 2024 le somme sarebbero state spese in maniera preponderante nell’incentivo alla domanda, quelli che noi chiamiamo incentivi auto. Dal 2025 in poi l’asticella si sarebbe spostata verso all’incentivo all’offerta, ovvero sul sostegno alla filiera produttiva per trasformare gli stabilimenti e aiutare l’arrivo di nuove tecnologie. Dunque siamo in linea, ora i soldi vanno diretti sulle aziende che devono riorganizzarsi rispetto a tutti i cambiamenti in corso. Nel frattempo però ci siamo accorti dell’arrivo dei cinesi, almeno una generazione e mezza avanti in termini di soluzioni tecnologiche. La delusione è stata casomai veder decurtato questo fondo dell’80% del residuo, con uno spostamento altrove di circa 4,6 miliardi”. 

Ma in cambio degli incentivi, l’Italia cosa ottiene? 
“Abbiamo più di venti proposte da presentare al ministero del Made in Italy, pensate per aumentare la competitività su ricerca e sviluppo, sulle competenze delle persone. Nel 2023 le 2.135 imprese che compongono l’universo della componentistica automotive italiana hanno impiegato nel settore circa 170.000 addetti e generato un fatturato stimato, ad esso direttamente attribuibile, pari a 58,8 miliardi di euro. Dobbiamo mantenere e provare a rilanciare uno dei settori industriali più importanti per l’Italia. L’auto vale il 5 % del nostro Prodotto Interno Lordo ed è strategica più che mai in un momento in cui l’Europa non si sta dimostrando competitiva. Abbiamo bisogno di arginare il trasferimento della produzione all’estero, verso l’Asia. Altrimenti ci ritroveremo solo ad importare auto, lasciando a chi viene la libertà di imporre il prezzo che vuole. Non saremo più autonomi”. 

Basteranno 200 milioni di euro l’anno?
​”Dobbiamo lavorare seriamente sul costo dell’energia per le aziende, che in Italia ora è superiore del 30% alla Spagna, del 50% rispetto agli Stati Uniti. Serve andare verso una competitività seria, sulla ricerca tecnologica, sui costi e sulla velocità con cui le imprese si trasformano. Serve che l‘Europa prosegua nel tutelare gli interessi della sua industria verso il mondo, che rifletta sul concetto di ‘contenuto minimo indispensabile’, ovvero un numero di elementi da fabbricare necessariamente qui, che possa autorizzare a considerare le auto prodotte da costruttori esteri nel nostro continente come europee”. 

Tutto questo perché gli incentivi non hanno funzionato
“Non giriamoci attorno. È chiaro che gli Ecobonus sono nelle esperienze di tutti i Paesi che stanno facendo questo percorso, sono un elemento fondamentale per l’adozione della tecnologia elettrica. Le vendite rallentano ovunque quando calano gli incentivi, perfino in Cina, ma la riflessione è parecchio più ampia. Il Regno Unito ha obiettivi ancora più sfidanti e ravvicinati sulla vendita di auto elettriche rispetto all’Europa. Sta investendo una cifra di denaro pubblico non lontana dai 2,5 miliardi di sterline. Possiamo permetterci investimenti di questa natura per stimolare la domanda? Che succede se il denaro pubblico poi non ritorna sul territorio nazionale? Il rischio è sempre quello di incentivare in prevalenza importazioni dall’Asia. Da cittadino lo troverei giusto? È una riflessione che in Europa fanno tutti da quando abbiamo capito che diventavamo una prateria per i cinesi, che d’altro canto hanno agito da imprenditori, come era logico. L’Europa è l’unico territorio che ha scelto per il 100% elettrico dal 2035, e sono venuti immediatamente qui a vendere i loro prodotti”. 

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Noi nel frattempo ci siamo complicati le cose?
“L’Italia è in prima linea nel capire se le istituzioni comunitarie vorranno rivedere la normativa Cafe, che impone delle multe in rapporto alla Co2 media delle vetture vendute da ogni costruttore in anno. Bisogna capire se Bruxelles è pronta a sospenderne l’applicazione perlomeno per un paio d’anni, altrimenti i costruttori pagherebbero due volte le multe, perché hanno venduto troppe poche auto elettriche e troppe con motore a combustione interna. Soprattutto, verrebbe penalizzato il cittadino europeo. I costruttori, invece che affrontare 15 o 16 miliardi di euro di multe preferirebbero produrre e mettere sul mercato 2,5 milioni di auto in meno. In un mercato che ha già perso il 30% quest’anno, sarebbe una mazzata altrettanto importante”.

Non le sembra un modo per guadagnare tempo? 
“La trasformazione verso l’elettrico è proprio una questione di tempo. Ci vogliamo ricordare che uno dei problemi principali sono le infrastrutture e i tempi di ricarica? I costruttori si stanno occupando di avere un prodotto appetibile al di là dei Bonus. Sono finiti gli incentivi? Non è meglio riflettere su cosa serve al consumatore per acquistare le auto? Sono anni che raccontiamo che conta la mobilità e l’auto è morta, che vale solo la tecnologia a bordo e serve comprendere la complessità delle reti di ricarica e delle app. Lo smartphone si è imposto perché portava nuove funzioni in semplicità, ma ora oggi l’auto non lo è. Non sembra comprensibile. Abbiamo delegato la relazione con i clienti a chi si occupa di energia e di infrastruttura di ricarica. Ci dobbiamo occupare del consumatore solo con gli incentivi o anche quando pensiamo a quanto è profonda la trasformazione che stiamo chiedendo alle sue abitudini?”.





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