Virginia Pigato lavora in Techstars, tra i più importanti acceleratori al mondo. Nuova storia per la rubrica Unstoppable Women che parte da Torino per tornarci, dopo un giro del mondo. «L’esperienza sul campo? Tutta in Australia. In Italia il talento non manca, ma c’è tantissimo da fare nella fase seed»
C’è chi dice a sproposito parto e me ne vado in Australia, il Paese che un po’ pigramente posizioniamo sul mappamondo come il più lontano dall’Italia. E poi c’è chi in realtà si fa coraggio e prova davvero a cimentarsi con l’ignoto. Virginia Pigato, classe 1992, è oggi un investor presso Techstars, uno dei più noti acceleratori a livello internazionale che punta su diverse startup per farle crescere.
Questa è la sua storia, partita a Torino, dove è nata da padre italiano e madre domenicana, e proseguita in più di una città australiana per fare mille lavori ed esperienze. Laggiù è inciampata nell’ecosistema dell’innovazione locale. In questa nuova puntata di Unstoppable Women scopriamo che cosa l’ha riportata a casa, lei che dopo aver girato il mondo mai si sarebbe immaginata di tornare alla casella di partenza.
Lontano da casa
«Il mio obiettivo era fare investment banking – ci racconta Pigato -. Nessuno parlava inglese in casa, o di finanza. Erano tutte cose fra l’altro di cui mi piaceva occuparmi». Il contatto con l’Australia, dove è scattato qualcosa, risale ai tempi delle scuole superiori quando è andata là per frequentare una vacanza studio. «Sono arrivata in Australia, ovviamente da sola, e come immigrata ho capito quanto fosse difficile. Sono stata a Perth e mi sono detta: vediamo dove posso arrivare. L’ho vista come un’opportunità».
La seconda volta in Australia è stata quella che l’ha spinta a rimanere. «Sono stata a Brisbane per frequentare l’università di economia e finanza. Era il 2011». Di quel periodo ricorda un grande fermento che proprio l’ateneo e la mentalità universitaria australiana le hanno trasmesso. «Quel che ti colpisce è l’approccio anglosassone: pratico, fatto di molto lavoro di gruppo. E in più ti spinge ad avere un approccio imprenditoriale». Oltre allo studio bisogna anche fare. «Dava la possibilità di aver più lavori contemporaneamente. Da questa esperienza ho scoperto il mondo delle startup».
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Virginia Pigato ha anche lanciato una startup, basata su un ecommerce sostenibile. «Creavo magliette green per potenziare il brand: l’iniziativa si chiamava Vixi Clothing» L’esperienza non è andata avanti ma come tante altre attività è finita in quel bagaglio chiamato esperienza. Più pesante è, più significa che non si è rimasti con le mani in mano. «In Australia ho fatto di tutto, dall’attivista per il clima alla free lance». Per questioni di visti è stata costretta a rientrare in Italia, ma aveva comunque in mente di ritornare in Oriente.
Un ritorno inaspettato
«Mai mi sarei immaginata di tornare in Italia, ma vedevo che intanto nel settore delle startup iniziavano a succedere cose. C’era l’incubatore del Politecnico di Torino e i primi passi di Techstars in città». A questo punto della storia emerge un altro lato di Virginia Pigato che l’avrebbe condotta proprio verso la tecnologia.
«Fin da piccola sono sempre stata appassionata di letteratura e collegamenti con la tecnologia. Avevo un progetto creativo personale, un romanzo nel cassetto». Per quello, chissà, ci sarà tempo. Intanto ci presenta una breve sinossi: «Quando ho fatto la mia startup mi sono resa conto che mi piaceva l’aspetto industriale e la robotica. Nel mio libro racconto una storia non distopica: la trama è sul rapporto tra persone e robot, principalmente tra donne e robot».
Da Torino, pensava, avrebbe di nuovo preso un aereo direzione Israele, o magari Shenzhen, in Cina. «Ma in realtà mi hanno offerto di gestire la parte finanziaria dei progetti per la Carlo Ratti Associati, avevano bisogno di una persona sulla parte finance. Durante il processo per il fundraising ho scoperto il mondo degli investimenti». Dalla passione per il mondo banking il passaggio alle startup ha richiesto dunque un giro del mondo, con tante lezioni imparate.
Nelle sue esperienze come investor ha avuto modo di lavorare con Plug and Play, un altro importante brand internazionale verticale sulla fase seed. «Per loro sono stata a Valencia e Amsterdam e lavoravo molto con gli USA». Non sempre tutto rosa e fiori. «Ero una delle poche donne in un gruppo di ingegneri. A dirla tutta sono spesso stata l’unica donna nella stanza e per di più sono italo domenicana. Non è stato semplice soprattutto per il mio background. Ho dovuto trovare un modo per farmi notare e l’ho trovato: ho lavorato con molte startup».
L’opportunità di volare negli USA l’avrebbe anche avuto, ma tutto portava a Torino, una città dove è lei stessa a dire che il capitale umano e le aziende innovative non mancano. «In Italia su deeptech, hardware, robotica e aerospace abbiamo molto da mostrare. Quel che manca spesso sono gli strumenti per riuscire a commercializzare. C’è tantissimo lavora da fare sulla fase seed». Uno dei modi che ha per trovare nuove startup interessanti è, come ha insegnato l’Australia, non rimanere mai ferma. «Studio tantissimo le scaleup: cerco e monitoro i talenti che sono all’interno e che stanno per andare via. Consulto cosa succede su gruppi e community Discord e poi mi leggo qualcosa come 15 newsletter».
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