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All’ospedale degli sparati, i medici in trincea #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


(di Francesco Tedesco) (ANSA)  A Napoli lo chiamano “l’ospedale degli sparati” e già questo è tutto un programma. Il Vecchio Pellegrini, alla Pignasecca, nel cuore della città, è un porto di mare. La notte, poi, è li che portano tutte le vittime degli incidenti, o delle violenze, che avvengono in centro storico e zone limitrofe. E’ un via vai di ambulanze che a sirene spiegate portano in questo ‘fortino’ persone ferite in rapine, risse, giovani accoltellati e spesso ‘sparati’, appunto. Come Arcangelo Correra, il diciottenne arrivato moribondo con un proiettile in testa. Per lui non c’è stato niente da fare. Per far fronte a tutto questo c’è un manipolo di medici e infermieri che il responsabile del pronto soccorso, Emilio Bellenfante, non esita a definire “eroi”. “La violenza tra i giovani è aumentata in maniera esponenziale ultimamente a Napoli”, racconta Bellenfante all’ANSA. “Nel 2022 feci una ricerca da cui emersero, da gennaio a luglio, circa 900 arrivi in emergenza riferibili ad aggressioni di baby gang. Non ebbero clamore perché non ci furono morti, ma ora osserviamo che c’è un peggioramento di questi dati. Non più solo risse, ma accoltellamenti e spesso spari”. Il Vecchio Pellegrini è l’unico ospedale con reparto di emergenza del centro storico di Napoli ed è costantemente esposto ad un maxi-lavoro: “prima – spiega Bellenfante – arrivavano in emergenza i giovanissimi delle gang, da piazza Bellini, dal centro storico. Oggi questi arrivano sempre, ma sono aumentati gli accoltellamenti e i ferimenti che vedono coinvolti immigrati e che si inseriscono nelle lotte tra clan. E, soprattutto, adesso si spara”. In questo contesto, Bellenfante si danna per garantire comunque la migliore assistenza possibile, col personale – scarso – a disposizione: “Abbiamo una carenza di medici e ogni mese ho difficoltà serie per fare i turni. Ci sono nove medici, molti di età avanzata; ce n’erano 11 fino a maggio, ma due sono andati in pensione e nei prossimi due anni ne perderò almeno altri 5. I nostri medici vivono da eroi il loro lavoro e per fortuna siamo anche aiutati dalla chirurgia per gli interventi di urgenza. In media arrivano al pronto soccorso 250 persone al giorno e abbiamo 20 posti letto: ci vorrebbero più spazi e più medici”. Ma ai concorsi per quei posti non partecipa mai nessuno. Al Pellegrini, al pari degli altri ospedali napoletani, il personale deve fare spesso i conti anche con le rimostranze e le aggressioni di pazienti e familiari esagitati. Momenti di forte tensione ci sono stati anche l’altro giorno, all’alba, quando è arrivato in fin di vita Arcangelo Correra. “Si sono presentate circa 300 persone tra amici parenti e amici, che urlavano e gridavano il loro dolore”, racconta il direttore dell’ospedale, Alfonso Basso. “Sono subito corso e ho trovato già polizia e carabinieri che stavano mantenendo la calma. Il clima era pesante. Saremmo voluti uscire per parlare con la famiglia, ma ci hanno fermato. Non era sicuro. Poi non so cos’è successo, all’improvviso sono andati via tutti. E quando alle 11 c’era da comunicare il decesso del giovane, è stata inviata un’auto della polizia a casa dei genitori”. I medici del Pellegrini vivono sulla loro pelle una città che cambia. E, da questo punto di vista, non in meglio. “Ci sono tanti ragazzi che girano armati e c’è ansia per una città che si percepisce non sicura”, dice da cittadino oltre che da primario Bellenfante. “Io ho due figli e ammetto che spesso sono preoccupato per loro quando escono di sera. A volte penso che in questa recrudescenza di violenza giovanile – aggiunge – abbiano un ruolo anche quello che passa su internet e alcune serie televisive. Prima non era così”. Tornando all’ “ospedale degli sparati”, la necessità principale resta quella del personale. Gli specializzandi al pronto soccorso sono pochissimi, ma Bellenfante, nonostante tutto, li incoraggia: “Ai giovani laureati in medicina dico che la branca di emergenza è la più bella, non c’è soddisfazione più grande di ‘risuscitare’ in qualche modo pazienti gravi. E’ faticoso ma è l’essenza vera della medicina”. (ANSA).

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