Da una parte il Nord, rappresentato da Veneto Lombardia e Piemonte, dall’altra il Sud, rappresentato da Puglia Sardegna e Campania. Se non ci fosse anche la “rossa” Toscana, che si è unita alle altre regioni governate dal centrosinistra contro la legge Calderoli, l’udienza pubblica a Palazzo della Consulta che andrà in scena oggi sarebbe una perfetta raffigurazione del rischio spaccatura del Paese in due in vista del referendum sull’autonomia differenziata targata Lega.
Le due decisioni: giudizio di costituzionalità e ammissibilità dei quesiti referendari
Certo, le due questioni all’attenzione dei giudici costituzionali relative all’autonomia differenziata – che discende, val la pena ricordare, dalla riforma del Titolo V voluta nel 2001 dall’allora centrosinistra – sono diverse: un conto sono le questioni di costituzionalità riguardanti la legge Calderoli per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario sollevate dalle quattro regioni di centrosinistra sui cui la Corte si esprimerà nelle prossime ore (dopo l’udienza pubblica i giudici si riuniranno in camera di consiglio e le previsioni sono quelle di una discussione lunga, che prenderà qualche giorno); un altro conto è il giudizio di ammissibilità dei referendum abrogativi, uno parziale e uno totale, depositati in Cassazione. Ma è certo che la prima sentenza influirà sulla seconda, fino alla possibilità di bloccare del tutto il processo referendario: anche per questo la Corte presieduta da Augusto Barbera, il cui mandato scadrà a fine anno, ha deciso di procedere con il giudizio di costituzionalità prima di affrontare la questione dell’ammissibilità dei referendum.
I tre scenari e il possibile stop della Cassazione al voto popolare del giugno 2025
Gli scenari possibili sono tre: se i ricorsi delle quattro regioni dovessero essere accolti (ma è l’ipotesi considerata meno probabile dagli esperti) non ci sarebbe più l’oggetto dei quesiti referendari. Se invece i ricorsi dovessero essere respinti la legge Calderoli resterebbe in piedi e con essa anche la possibilità di celebrare il referendum: anche se i giudici non dovessero ritenere illegittima la legge contestata, infatti, a gennaio i due quesiti potrebbero comunque essere ammessi e il referendum tenersi così nel giugno del 2025. C’è tuttavia una terza via, ed è quella al momento considerata la più probabile: la Consulta potrebbe giudicare illegittime solo alcune parti della legge Calderoli (ad esempio riguardo all’estensione delle competenze sulle materie da trasferire) con sentenza correttiva additiva. Una soluzione che svuoterebbe di fatto l’impatto della legge. In questo caso – come stabilito dalla stessa Consulta con sentenza 68/78 – sarebbe compito della Cassazione valutare se una modifica legislativa (per opera del Parlamento ma anche in conseguenza, appunto, di una sentenza della Consulta) supera o no il referendum. La parola passerebbe insomma direttamente alla Cassazione, con questi possibili esiti: i quesiti potrebbero comunque restare in piedi, oppure la Cassazione stessa potrebbe riformularli, oppure potrebbe anche dichiararli superati annullando il referendum.
Uno snodo cruciale anche per il destino del premierato
Un passaggio cruciale, dunque, che potrebbe portare allo stop del voto popolare di giugno. E che spiega anche il tentato e fallito blitz della maggioranza, un mese fa, per eleggere il consigliere di Palazzo Chigi Francesco Saverio Marini come quindicesimo giudice della Consulta, che manca da un anno. L’attesa per la sentenza delle prossime ore ha poi di fatto imposto uno stand by sul premierato caro alla premier Giorgia Meloni, che vuole evitare il possibile incrocio con il referendum sull’autonomia differenziata: riaprire contemporaneamente il file del premierato in Parlamento finirebbe per saldare ancora di più il fronte contrario ad entrambe le riforme. A sentenza depositata si vedrà.
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