Colognola ai Colli, le proteste dei lavoratori in sciopero per lo stabilimento che verrà chiuso a gennaio 2025: «Tante promesse per niente»
«Non siamo lavoratori spazzatura, non siamo usa e getta, abbiamo dei diritti» sono le parole urlate dai megafoni e scritte sugli striscioni bianchi appesi alle ringhiere della Sunlight European Battery Assembly (Seba) di Colognola ai Colli durante lo sciopero di martedì mattina.
I 74 lavoratori a rischio
L’azienda produttrice di batterie giovedì, senza alcun preavviso, ha inviato una pec ai sindacati Fim-Cisl e Fiom-Cgil spiegando che a fine gennaio chiuderà la sede veronese. Subito dopo è stata indetta un’assemblea d’urgenza per i dipendenti (in totale sono 74), che sono stati convocati in sala riunioni e si sono trovati di fronte due componenti greci del consiglio d’amministrazione, dei volti a loro sconosciuti, e il loro avvocato del foro di Milano. «Di punto in bianco ci hanno detto che chiudeva l’azienda. Ho due figlie a carico, un mutuo da pagare e sono una ragazza madre. Devo cavarmela da sola» ha raccontato Giovanna De Micco, operaia che dopo quasi 2 anni di assunzione si è trovata all’improvviso senza la certezza di un posto di lavoro. «Non so neanche se riuscirò a mandare in gita mia figlia – ha continuato la lavoratrice -. Ho tante spese a cui fare fronte. L’agenzia di cui sono dipendente mi ha già detto che non ci sono aziende che assumono al momento e che al massimo per la disoccupazione può darmi 800 euro al mese, ma io non ci vivo. Ogni mattina mi sveglio e mi chiedo se sto sognando o se è davvero questa la realtà che mi aspetta». A lasciare senza parole il fatto che l’azienda stesse andando bene, tanto da investire nei dipendenti con premi produzione e viaggi di formazione. «A scaglioni hanno accompagnato alcuni operai e impiegati in Grecia e in Germania per mostrare loro come si lavora negli altri stabilimenti della multinazionale – ha concluso l’operaia -. Poi nelle assemblee dello scorso anno ci hanno promesso mari e monti, a molti di noi hanno assicurato un contratto a tempo indeterminato. Ci hanno illuso».
Diritti e lavoro
Tra i dipendenti a cui era stata fatta la stessa promessa c’è anche Nicole Sabaini. «Me lo hanno assicurato al mio rientro a giugno, dopo che mi avevano licenziata ad aprile perché mi sono sposata con la mia compagna – ha raccontato la donna -. Pur di non pagarmi il congedo matrimoniale a maggio, che poi di fatto una settimana la paga lo Stato e una settimana la paga l’azienda, mi hanno lasciata a casa per un mese. Mi hanno richiamata subito dopo il mio viaggio di nozze, chiedendomi di tornare a lavorare per loro, perché magari avevano capito che valevo qualcosa». C’è chi invece, per un infortunio, avrebbe subìto addirittura una ritorsione nei propri confronti. «Sono stata operata al ginocchio e al mio ritorno faticavo a stare in piedi per 8 ore di fila. Quando ho chiesto qualche riposo di troppo la mia manager per ripicca mi ha spostato dal reparto di controllo qualità a quello della produzione» ha spiegato Giulia Nardi, che da ormai da 3 anni fa parte dell’azienda. L’operaia ha poi preso tra le mani il megafono: «Noi siamo qui oggi, al freddo, a combattere per i nostri diritti e per il nostro lavoro. Dove sono i nostri manager? Dove sono i nostri direttori?».
«Non è rabbia, è delusione»
Nel frattempo c’è chi ha la testa da un’altra parte, pensa soltanto al contratto di acquisto della casa appena firmato, comprata dopo 35 anni di lavoro. «La notizia per me è stata una botta forte, ho appena aperto un mutuo – sono le parole di Simone Ghin, magazziniere che lavora nell’azienda da ormai 3 anni –. Non provo rabbia, piuttosto mi sento molto deluso, ci hanno scartato senza nemmeno un po’ di preavviso. Spero ancora che la situazione si possa risolvere. Ho dato tanto per questa azienda, è questa la risposta?». Sorpresi a dir poco anche i sindacati, che non avevano messo minimamente in conto il fatto che la Seba, società solida del territorio, potesse chiudere i battenti e che lo facesse seguendo queste modalità. «Siamo fortemente amareggiati per come l’azienda ha organizzato il tutto – ha detto Girolamo Bracco, funzionario Fiom Cgil della Verona Est -. La proprietà non ha pensato di contattare le parti sindacali e anticipare quali fossero le loro intenzioni, ossia lasciare in ginocchio più di 70 famiglie».
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