Dalla Vecchia, presidente degli industriali di Vicenza: «Ordini in calo, investimenti fermi e non è vero che cresce l’occupazione»
Laura Dalla Vecchia, presidente di Confindustria Vicenza, voi l’avevate predetto un anno fa e…
«… e non ci ha ascoltati nessuno».
Che cosa avevate previsto già nell’autunno del 2023?
«Che si stava presentando una stagione di grandi difficoltà e di declino della produzione industriale, come puntualmente si è verificato. Vede, la maggior parte delle statistiche economiche, per loro natura, riflettono ciò che è accaduto nel passato, per quanto vicino. Noi industriali, invece, ci basiamo sugli ordini ricevuti e questo è un indicatore che guarda avanti: mentre tutti gli altri maneggiavano dati che, almeno in parte, risentivano dei risultati stellari toccati nel 2022, anno record per molti nella manifattura, noi già nel corso del 2023 avvertivamo un forte rallentamento. E oggi, purtroppo, constatiamo che molte aziende sono entrate in recessione. Non è ancora una crisi strutturale, probabilmente, ma recessione di sicuro».
Quali sono le misure di questo rallentamento?
«Se parliamo di una media tra tutti i vari comparti della manifattura, il calo oscilla tra il 10 e il 15%. Ma ci sono aziende, prese singolarmente, che quest’anno stanno registrando anche un meno 50%. Il dato sulla Cassa integrazione è rivelatore: a ottobre l’ammontare era già pari all’intera Cig erogata nel 2023. Se sommiamo i primi accessi alle richieste di proroga, siamo a un incremento nell’ordine del 40%».
Cosa sta accadendo nelle aziende in questa ultima parte dell’anno?
«Molti stanno ricorrendo a provvedimenti cosiddetti soft: si pone fine ai contratti a termine, che comunque sono posti di lavoro persi, quando è possibile si fanno prepensionamenti e, se un dipendente si licenzia, non viene sostituito. Ma è chiaro a tutti che, dopo questo e dopo le proroghe della Cassa integrazione, arriveranno le ristrutturazioni aziendali: se il trend non cambia, da qui in avanti vedremo sempre più licenziamenti veri e propri».
Eppure, non più di 20 giorni fa, la presidente Giorgia Meloni, rivendicando i risultati raggiunti nei due anni di governo, ha dichiarato testualmente: «Mai così tanti posti di lavoro, abbiamo protetto il nostro tessuto produttivo industriale dagli effetti della crisi». Dov’è l’inganno?
«Vorrei proprio vedere i dati reali sull’occupazione, cioè quelli depurati dai molti stagionali del turismo e dai cassintegrati da meno di 3 mesi, che per la statistica risultano occupati a tutti gli effetti. Di sicuro, posso dirvi che qui a Nordest gli addetti della manifattura e dei servizi sono in calo, soprattutto se parliamo di contratti a tempo indeterminato. Credo che sarebbe il caso di prenderne atto e di smetterla di raccontarci la favola buona secondo cui i posti di lavoro sarebbero aumentati».
Da un paio d’anni, però, sentiamo imprenditori di ogni settore e dimensione lamentarsi pubblicamente di faticare moltissimo a reclutare nuovi collaboratori.
«Veniamo effettivamente da alcuni anni grassi contrassegnati da una carenza di manodopera ma ormai stiamo saturando i posti rimasti liberi. Le imprese non investono, gli stessi privati cittadini non lo stanno facendo. E non dimentichiamoci del fatto che, proprio qui a Nordest, siamo tipicamente subfornitori dell’industria tedesca, che è entrata a sua volta pesantemente in recessione».
Quanto hanno inciso le politiche europee su questo scenario di declino? Nella sua relazione all’assemblea di Confindustria Vicenza del 4 ottobre lei ha definito alcune regole imposte dall’Unione come «un virus dentro il corpo sano delle imprese».
«Pensate soltanto al cosiddetto Green Deal e ai tempi ravvicinatissimi entro cui è stato richiesto a interi settori produttivi – automotive, packaging, pompe di calore – di riconvertire drasticamente il proprio business. Risultato: moltissime aziende hanno investito tutti i guadagni degli anni buoni, il ’21 e il ’22, per realizzare impianti di nuova tecnologia e oggi si ritrovano con gli stabilimenti fermi».
Qual è l’antidoto al virus?
«Rimodulare gli obiettivi del Green Deal in termini di tempo e, come dimostra in modo lampante l’esempio dell’auto elettrica, immaginare prodotti che poi la gente sia effettivamente in grado di comprare».
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