Si è sempre creduto (e si crede ancora) che l’autoscarica di una batteria completamente carica sia dovuta alla diffusione degli atomi di litio dall’elettrolita al catodo della batteria. Ora c’è chi ha fatto una scoperta molto interessante.
Artıras Vailionis, uno dei responsabili principali del gruppo di analisi dei raggi X e delle superfici presso la Stanford University e professore ospite presso la Kaunas University of Technology (KTU) in Lituania, ha dato l’annuncio:
Abbiamo “dimostrato che è la diffusione di protoni (ioni di idrogeno) a causare l’autoscarica di una batteria. Sulla base dei risultati di questo studio, è possibile proporre modi per estendere la durata della batteria riducendo l’autoscarica”.
Tecnologie più ecologiche e convenienti
La scoperta di questo team internazionale di scienziati fornisce una nuova comprensione della durata della batteria e a livello pratico suggerisce nuove strategie per combattere l’autoscarica, non solo nelle auto ma in qualsiasi dispositivo, anche negli smartphone.
Tra i nuovi metodi proposti ci sono: l’aggiunta di additivi all’elettrolita che non contengano molecole di idrogeno, come CH2, o l’utilizzo di uno speciale rivestimento per ridurre la reazione della superficie del catodo con l’elettrolita.
Vailionis ha spiegato che l’autoscarica accorcia sia la durata di vita della batteria e, nel tempo, ne causa una diminuzione della tensione e della capacità. “La maggiore durata delle batterie agli ioni di litio significa che i consumatori devono cambiare le batterie o i dispositivi elettronici meno spesso. Inoltre, una maggiore durata delle batterie aiuta a ridurre la quantità di rifiuti elettronici e previene l’esaurimento delle risorse (litio, cobalto e nichel sono risorse finite), contribuendo così a pratiche più sostenibili“, ha aggiunto Vailionis.
Un risultato di gruppo
Il Prof. Vailionis sottolinea che i risultati dello studio sono il frutto del lavoro di un ampio gruppo internazionale di scienziati provenienti da diversi campi.
Il team di Vailionis alla Stanford University ha utilizzato la diffrazione dei raggi X per identificare due diverse strutture nel catodo: una in superficie (quella interessata dagli ioni idrogeno) e una più in profondità all’interno del catodo. La riflettometria a raggi X ha anche confermato l’esistenza di uno strato superficiale con atomi di idrogeno.
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