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La più grande politica industriale del paese, il più costoso sussidio mai visto nella storia della Repubblica italiana, il più generoso credito d’imposta del mondo, viene annunciato con pochissime parole in una conferenza stampa del 13 maggio 2020 dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte: “Nel settore edilizio introdurremo un Superbonus per la casa: tutti quanti potranno ristrutturare, per dare una boccata d’ossigeno al mondo dell’edilizia, le loro abitazioni per renderle più green. Non si spenderà un soldo per queste ristrutturazioni”. Una decina di secondi in un intervento lungo e articolato per presentare il decreto Rilancio, il provvedimento che sancisce l’avvio della “fase due” della gestione della pandemia Covid-19. “Non si spenderà un soldo” dice il premier, anticipando la formula “gratuitamente” che poi ripeterà come un mantra nelle piazze italiane durante la campagna elettorale del 2022. Quel “non si spenderà un soldo” è in realtà costato in tre anni circa 160 miliardi per il solo Superbonus e circa 220 miliardi considerando anche gli altri bonus edilizi coinvolti nella nuova misura, producendo un buco di bilancio senza precedenti.
All’epoca nessuno, né tra i proponenti né all’opposizione e neppure più in generale nell’opinione pubblica, si rende realmente conto dell’impatto devastante che questa misura avrà. Eppure proprio in quel momento viene avviato un meccanismo incontrollato e inarrestabile di spesa che caratterizzerà più di ogni altro provvedimento la politica economica del paese nei tre anni successivi e condizionerà pesantemente quella dei dieci anni seguenti.
Ma perché la spesa aumenta in maniera incontrollata? Tutto ha a che vedere con le caratteristiche genetiche del Superbonus. Ormai è difficile trovare qualcuno che lo difenda, ma nel 2020 è praticamente impossibile trovarne qualcuno che lo critichi. La più grande politica industriale, nonché la più grande espansione fiscale degli ultimi decenni, non è il frutto del lavoro né del ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli (M5s), né del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri (Pd). In realtà di nessun ministro. A inventare il Superbonus è una figura apparentemente di secondo piano del governo: Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Fraccaro è un militante del M5s di Trento, ma anche un attivista che a partire dal 2015 organizzava nel capoluogo trentino seminari sulla cosiddetta Modern Monetary Theory (Mmt), impegno che lo porta a conoscere Warren Mosler, un imprenditore e finanziere americano che ne è considerato il padre. Se nel 2019 la Ragioneria dello Stato – all’epoca guidata da Daniele Franco – mostrò grande cautela lasciando le teorie della Mmt sull’output gap fuori dalla relazione tecnica per valutare le coperture del Reddito di cittadinanza, arrivando a scontrarsi duramente con Palazzo Chigi, nel 2020 – guidata da Biagio Mazzotta – ha completamente accolto i presupposti dei teorici della Mmt nella stima dei costi per il Superbonus. I due differenti approcci hanno comportato, per il bilancio pubblico, una notevole differenza. Di centinaia di miliardi.
Inizialmente, i bonus edilizi non erano considerati un pericolo neppure dal nuovo governo di Mario Draghi. Anzi, all’epoca il problema principale viene ritenuto l’eccesso di burocrazia che non consente al “bazooka” del M5s di esprimere tutto il suo potenziale. Tra decreti attuativi, regolamenti e interpretazioni varie, all’inizio del 2021 il Superbonus praticamente non era ancora partito. E così, almeno nella prima metà dell’anno, tutti gli interventi del governo sono per ampliare e agevolare l’uso dei crediti edilizi. (…) A inizio ottobre, dopo la presentazione della Nadef – il documento che anticipa il perimetro finanziario della legge di Bilancio – il ministro dell’Economia cerca di frenare le pressioni parlamentari che puntano all’estensione del credito fiscale, peraltro annunciata da Draghi ad aprile. “E’ uno strumento molto costoso – dice il ministro dell’Economia Daniele Franco in audizione al Senato –. Se lo stato paga integralmente, o anche di più, il valore della spesa e abbiamo 30 milioni di unità immobiliari, l’effetto sui conti pubblici è stratosferico. Tenendo a mente che il settore non può crescere a dismisura, perché rischiamo di creare una bolla”. Il messaggio al Parlamento è che un sussidio al 110 per cento, con cessione del credito, “non è sostenibile alla lunga”. In realtà, per come è scriteriato, neppure alla corta. Dopo un mese, il 10 novembre 2021, il governo è costretto ad approvare in tutta fretta un decreto “Antifrodi” per arrestare le truffe prodotte dal decreto Rilancio sui bonus edilizi.
Nonostante la lezione il decreto Antifrodi, anziché essere accolto con favore, viene visto dai partiti politici come una sorta di sabotaggio del Superbonus, un mezzo per evitarne il prolungamento. Anche perché già da qualche settimana, il confronto nella maggioranza si era fatto aspro. Poche settimane prima, nella legge di Bilancio presentata in Consiglio dei ministri a fine ottobre, Draghi e Franco avevano ad esempio deciso di bloccare definitivamente il Bonus facciate, la cui spesa era esplosa in maniera abnorme (26 miliardi nel biennio 2020-21, a fronte di una spesa preventivata e bollinata dalla Ragioneria dello stato di 5,9 miliardi) e che, inoltre, aveva originato la gran parte delle frodi miliardarie. Il bonus pensato dal ministro della Cultura Dario Franceschini era pessimo: generosissimo (90 per cento), senza tetti di spesa e senza controlli. Ma dopo il “matrimonio” con il Superbonus, che con il dl Rilancio estende a tutti i bonus edilizi la cessione illimitata del credito, diventa un disastro: un’emorragia di spesa e di truffe.
IL Foglio
© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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