Fissate due assemblee sindacali e un incontro con l’assessore regionale allo Sviluppo Economico. La speranza di un nuovo soggetto pronto al subentro. Il Comune contatta la proprietà
Due assemblee con i lavoratori, un summit con il Comune e, 24 ore dopo, l’incontro con la Regione. Alla scoperta che Dfs Italia chiuderà T Fondaco lasciando tutti i 226 dipendenti (si arriva a 500 con l’indotto) senza occupazione politica e sindacati avevano annunciato: «Prendiamo immediatamente in mano la situazione». Detto, fatto. Si parte lunedì 18 novembre con le prime assemblee sindacali (ore 9 e 11.30 all’hotel Bologna di Mestre), quindi alle 15 in villa Querini i rappresentanti dei lavoratori incontreranno l’assessore allo Sviluppo economico e al Lavoro Simone Venturini. Martedì, l’appuntamento si sposta in Regione con il vertice convocato dall’assessora al Lavoro Valeria Mantovan con cui si entrerà nel merito dei provvedimenti che possono essere messi in campo a tutela dei dipendenti. La speranza è che non ci sia soluzione di continuità, ossia che quando Dfs Italia (con sede centrale a Hong Kong fa parte del gruppo Louis Vuitton) avrà smantellato gli allestimenti dell’imponente immobile a due passi dal ponte di Rialto ci sia già qualcuno pronto a subentrare. Ma si tratta di un’ipotesi che, alla luce della crisi generale del commercio e nello specifico del settore della moda, ancor più dell’haute couture, che — molti temono — potrebbe restare un sogno nel cassetto.
Le mosse del Comune
In ogni caso, l’obiettivo è di affrontare la crisi del Fondaco su tutti i fronti possibili e in tal senso Ca’ Farsetti starebbe già tastando il terreno con la proprietà dell’edificio, uno dei più imponenti per cubature di Venezia. In settimana, dovrebbe esserci una prima interlocuzione. Acquistato dal Demanio dall’allora Edizione Property, il ramo immobiliare della famiglia Benetton, ora fa capo al fondo Dekus (la gestione è dell’ex manager Mauro Montagner) e appartiene a Sabrina Benetton. All’epoca — era il 2008 — furono spesi 53 milioni per l’acquisizione. Quindi, il restauro che ha trasformato l’ex ufficio centrale delle Poste nel grande magazzino inaugurato nel 2016. Al lavoro, l’archistar Rem Koolhas e ai 53 milioni se ne sono aggiunti quasi altrettanti per la riqualificazione. Di cui la proprietà sarebbe dovuta rientrare con l’affitto a Dfs: tra i 6 e i 7 milioni di euro l’anno per una locazione, che si concluderà prima del termine contrattuale.
Marchi, imprese e lavoratori
Dei 300 brand in vendita nelle 65 boutique, solo uno non è di Dfs: Gucci. C’è poi il ristorante-bistrot Amo dei fratelli Alajmo, nel chiostro, che fa capitolo a sé e i cui dipendenti verranno ricollocati negli altri ristoranti della famiglia (uno è il Quadri di San Marco). Sul futuro dei dipendenti diretti del gruppo del retail, nato nel settore del duty free aeroportuale, la partita è tutta da giocare. Su cosa accadrà al Fondaco, nessuno osa sbilanciarsi. Anche perché l’affitto è molto alto, tra i 6 e i 7 milioni l’anno, cui vanno aggiunte spese di gestione altrettanto esose per un edificio fatto di punti vendita rigorosamente open space e soffitti altissimi.
Il caso a Roma
La chiusura di T Fondaco è arrivata anche a Roma con le interrogazioni parlamentari di Luana Zanella (Verdi), Rachele Scarpa e Andrea Martella (Pd). Intanto gli albergatori di Ava tendono una mano ai dipendenti: «Siamo disponibili a dialogare per ricollocarli, la proposta sarà presentata ai sindacati». Chi lavora al grande magazzino Dfs ha stipendi sopra la media (in linea con il settore del lusso) del contratto del commercio, tra i 1.800 e i 1.900 euro al mese, sono quasi tutti laureati e parlano più lingue. «Più che altro andrebbero adeguati gli stipendi del ricettivo», dicono i sindacati.
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