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Il Tribunale di Napoli, con sentenza dell’11 marzo 2024 n. 2833  ha affrontato in modo approfondito la questione della pignorabilità o meno, presso la banca collocataria, quale terza pignorata, dei titoli in suo possesso (nella specie quote di fondi comuni di investimento), nonché l’esatta individuazione del terzo intermediario al quale notificare l’atto di pignoramento.

La questione – unitamente ad altri temi di rilievo per i terzi pignorati, anche alla luce delle modifiche alla procedura di pignoramento presso terzi introdotte dal D.L. 19/2024 – sarà oggetto di approfondimento nel corso del webinar organizzato dalla nostra Rivista il 21 giugno 2024Il pignoramento presso terzi alla luce del decreto n. 19/2024 – Novità per le banche e problematiche operative

La pignorabilità delle quote di fondi comuni di investimento

Il Tribunale ricorda che la possibilità di pignorare le quote di fondi comuni di investimento si evince già dall’art. 36, comma 4 del TUF, per cui “Le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi” .

Inoltre, la Cassazione, con sentenza n. 4653/2007, aveva già da tempo riconosciuto che il pignoramento sui titoli in custodia ed amministrazione (art. 1838 C.c.), deve essere eseguito nella forma presso terzi, e non presso il debitore.

Secondo tale pronuncia di legittimità – analiticamente ripercorsa dal Tribunale di Napoli in parte motiva – in seguito all’entrata in vigore del D. Lgs. 213/1998, che ha dato luogo al fenomeno della dematerializzazione degli strumenti finanziari (come quote di fondi), il pignoramento non può essere eseguito presso il debitore.

La S.C., confermando la correttezza della dichiarazione resa dal terzo in quel caso specifico, afferma infatti che in tale situazione il procedimento esecutivo avrebbe potuto proseguire o attraverso l’assegnazione dei titoli o attraverso la loro vendita e la successiva assegnazione del ricavato nei limiti del credito fatto valere esecutivamente e delle spese del processo (art. 552 C.p.c.).

L’art. 1997 c.c. dispone infatti che il pignoramento sul diritto menzionato in un titolo di credito non ha efficacia se non si attua sul titolo: infatti, se il pignoramento cadesse sul credito, attraverso l’ingiunzione rivolta al terzo di non pagare al proprio debitore, visto che non ne risulterebbe impedita la circolazione del titolo rappresentativo del credito emesso o girato dal terzo a favore del suo creditore, il terzo si troverebbe esposto ad un doppio pagamento, ovvero al creditore procedente assegnatario del credito pignorato, nonché al portatore del titolo, legittimato in base ad esso a pretenderne il pagamento.

Come affermato dalla S.C. nella pronuncia richiamata dal Tribunale di Napoli dunque, il titolo diviene dunque possibile oggetto di pignoramento, come ogni cosa posseduta dal terzo (art. 543 c.p.c.): anche se assoggettati alla disciplina della dematerializzazione, analogamente il pignoramento dei diritti relativi agli strumenti finanziari di pertinenza del debitore è sempre eseguibile presso il terzo, intermediario incaricato dal debitore della tenuta del conto in cui quegli strumenti sono registrati; rientra nei doveri del custode, e perciò dell’intermediario costituito tale per effetto del pignoramento, eseguire la registrazione del vincolo nel conto da lui tenuto (art. 34, comma 1, TUF).

Per il Tribunale di Napoli, alla luce della giurisprudenza di legittimità richiamata, appare quindi pacifica la possibilità da parte del creditore di vedere soddisfatte le sue ragioni attraverso il pignoramento delle quote di fondi comuni di investimento di spettanza del debitore nei confronti di un terzo intermediario.

Il soggetto a cui notificare l’atto di pignoramento

La questione che, in seguito, ha sollevato ulteriori dubbi, concerne poi l’esatta individuazione del terzo intermediario al quale notificare l’atto di pignoramento, ovvero se il pignoramento debba essere notificato:

  1. alla banca collocatrice, il cui compito è quello di far sottoscrivere le quote ai clienti per conto della SGR
  2. alla banca depositaria, che materialmente detiene le liquidità degli OICR
  3. alla SGR emittente le quote dei fondi comuni di investimento.

Il Tribunale di Napoli, sul punto, ricorda che di solito il dubbio è risolto dai creditori tramite la comune notifica del pignoramento ad almeno due dei soggetti menzionati (ovvero la banca collocatrice e la SGR); tuttavia, la doppia notifica non risolve la questione giuridica posta alla base, poiché l’art. 547 c.p.c. impone al terzo di specificare “di quali cose o quali somme è debitore o si trova in possesso”, dando inoltre atto degli ulteriori pignoramenti/sequestri eseguiti presso di lui.

L’equivalenza tra ‘essere debitore’ ed ‘essere in possessodelle quote dei fondi comuni è stata affrontata per la prima volta dall’ABF nella Decisione n. 12914 del 18.10.2017 (Coll. di Milano): l’Arbitro, richiamando l’art. 547 c.p.c., chiarisce che la banca, pur non essendo diretta debitrice della ricorrente con riguardo alle quote di fondi comuni di investimento, ne era non di meno “detentore titolato e custode in forza del contratto di deposito in essere tra le parti.

Tale qualità va senz’altro ricompresa entro la nozione allargata di “possesso di cui all’art. 547 c.p.c. la cui ratio non può essere limitata a quella dell’art. 1140 c.c.”

Il Tribunale di Napoli concorda quindi con l’interpretazione fornita dall’ABF, che aveva altresì respinto la tesi della violazione del segreto bancario lamentata dalla ricorrente, sull’assunto che il terzo pignorato, dall’altro lato, ha l’obbligo di fornire tutti gli elementi che consentano l’esatta individuazione delle cose possedute, nonché indicarne i motivi per cui queste si trovano presso di lui.

Infatti, come esplicitamente concluso dall’ABF nella decisione richiamata dal Tribunale, non vi è il dubbio che la banca collocatrice avesse “non soltanto il potere, bensì il preciso dovere di segnalare al creditore procedente la presenza di prodotti finanziari de quibus, specificando le ragioni per le quali essi non avrebbero potuto essere oggetto di ‘blocco’ in esito all’intervenuto pignoramento”.

La dichiarazione di consistenza resa dalla banca e la procedura di vendita

Secondo il Tribunale di Napoli, la dichiarazione resa dalla banca nel caso di specie, che precisava il rapporto di collocamento di quote di fondi comuni di investimento, indicandone il relativo controvalore di mercato, va necessariamente intesa come “positiva”, sebbene, nella prassi, sia frequentemente sottolineata dalle banche collocatrici la natura non debitoria del rapporto di mero collocamento dei fondi comuni nei confronti del cliente.

Conseguentemente, la banca avrà sempre l’onere di invitare il creditore procedente all’estensione (rectius, notifica) del pignoramento direttamente nei confronti della società emittente, onde evitare, medio tempore, possibili richieste di rimborso a quest’ultima da parte del debitore pignorato.

Pertanto, appurata la sostanziale equivalenza tra banca collocatrice, che possiede le quote di fondi comuni, e SGR, che invece ne è diretta debitrice nei confronti del medesimo cliente-sottoscrittore, il Tribunale ritiene che, in caso di pignoramento nei confronti della sola banca collocatrice, quest’ultima, nel rendere la dichiarazione di terzo di cui all’art. 547 c.p.c., avrà l’onere di precisare:

  • l’esistenza di un dossier titoli contenente un numero di quote di fondi comuni d’investimento sino alla concorrenza del quantum pignorato ex art. 546 c.p.c.,
  • il relativo controvalore di mercato
  • che le quote risultano collocate per conto della SGR emittente, indicandone i riferimenti (poiché solo quest’ultima è da considerarsi effettiva debitrice nei confronti del fondista sottoscrittore).

Conclusivamente, il Tribunale di Napoli concorda poi con l’orientamento giurisprudenziale dominante, il quale, salva la presenza di precedenti pignoramenti/sequestri e/o garanzie a favore di altro soggetto sulle quote di fondi comuni, propende per la vendita delle quote a mezzo commissionario e successiva assegnazione del ricavato in favore del creditore.

 

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