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Se c’è una cosa che il Fondo monetario internazionale sa fare, è quella di dare cattivi consigli non potendo più dare il buon esempio. Benché disastroso nell’opera di risanamento di un Paese come l’Argentina, ancora oggi pencolante sull’abisso della bancarotta; seppur incapace di prevedere e prevenire le crisi finanziarie (su tutte, quella dei mutui subprime), l’Fmi continua imperterrito a impartire lezioni a desta e a manca su come aggiustare conti malmessi.

Adesso tocca all’Italia, teatro dell’ultima visita degli esperti di Washington, conclusa con un dossier che si potrebbe riassumere col titolo Una carezza in un pugno. L’economia tricolore, si legge nel rapporto, «si è ripresa bene dagli choc sequenziali della pandemia e dei prezzi dell’energia grazie alla ripresa del turismo e al sostanziale sostegno politico», con il superamento dei livelli di crescita pre-Covid. Poi lo slancio si è andato moderando, al punto che nel 2024 e nel ’25 il Pil crescerà dello 0,7%, con previsioni di ulteriori rallentamenti nel biennio successivo con la conclusione del Pnrr.

Questo restringimento dei tassi di sviluppo non sembra però la preoccupazione principale del Fondo, angustiato invece dal fatto che «la politica fiscale espansiva ha mantenuto il deficit e il debito pubblico molto elevati». Si potrebbe obiettare che, anche in economia, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca e che l’Fmi ha disimparato la lezione di Keynes (uno dei suoi fondatori) su come lo Stato può orientare la domanda (e quindi la crescita), ma ciò che più importa sono le direttive impartite su come raddrizzare la barca. Oltre alle solite ricette incardinate sull’austerity che includono anche un innalzamento dell’età effettiva di pensionamento e la cancellazione di «costosi schemi di pensionamento anticipato», l’organizzazione guidata da Kristalina Georgieva punta, per aggredire il debito, su un aggiustamento fiscale ottenibile «ritirando le misure di crisi inefficienti e temporanee». Tra queste, figurano l’eliminazione dei tagli al cuneo fiscale e dei sussidi alle assunzioni. Ovvero gli aiuti rimasti in piedi, assieme al bonus da 100 euro che sarà erogato nel gennaio ’25 ai lavoratori dipendenti con reddito complessivo non superiore a 28mila euro, tenuto conto che il Superbonus è già stato depotenziato.

Un Superbonus bocciato su tutta la linea dall’Fmi, con le stesse motivazioni espresse dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: «Lo stimolo alla crescita derivante dai crediti d’imposta sull’edilizia abitativa è stato probabilmente piuttosto limitato rispetto all’entità delle risorse fiscali spese». Per più motivi: molta spesa è stata destinata alle importazioni; troppi sconti sulle fatture; prezzi rincarati nell’edilizia; uso improprio dei fondi pubblici. Senza dimenticare – aggiunge i rapporto – che per queste misure «il contributo all’attività reale diminuisce nel tempo».

Se per rilanciare la produttività il Fondo è convinto si debba dare «piena e tempestiva esecuzione del Pnrr» e varare un piano basato sulle strutture pubbliche critiche, qualche dubbio sembra nutrirlo sulla capacità delle famiglie di far fronte ai mutui, causa tassi salati.

Così, sebbene i recenti aumenti delle riserve di liquidità a livello bancario e di rischio sistemico siano «benvenuti per rafforzare le garanzie contro i rischi futuri», scatta l’invito rivolto alle banche a usare gli extra-profitti «per rafforzare la resistenza a potenziali choc futuri» legati alle sofferenze. Di quelle degli italiani non c’è traccia.

 

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