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Intervista a Emanuele Orsini, vice presidente per Credito, Finanza e Fisco di Confindustria

 

D: Crescita prossima allo zero, aumento del costo delle materie prime, crisi energetica: le imprese affrontano gravi ostacoli nel mantenere le produzioni e fare fronte ai debiti contratti. Quali misure chiede Confindustria, a livello italiano ed europeo, per sostenere l’accesso al credito e la liquidità delle imprese in questa difficile congiuntura?

R: Le imprese italiane stanno affrontando un nuovo scenario emergenziale, con una situazione economica in rapido deterioramento, fotografata dal Centro Studi Confindustria nel rapporto di previsione presentato a ottobre, che stima una crescita nulla del Pil nel 2023, associata a una frenata di investimenti, consumi, esportazioni, occupazione.

Situazione caratterizzata dallo shock energetico, con la bolletta che per le imprese industriali sale di 110 miliardi nel 2022 e che rischia di rallentare la produzione. Dall’inflazione salita a livelli che non si registravano dagli anni ‘80, trainata soprattutto dall’impennata dei prezzi dell’energia. Da una politica monetaria tesa a frenare l’inflazione ma che, se spinta all’eccesso, rischia di generare spirali recessive.

Tale contesto determina nuove e forti tensioni di liquidità per le imprese – già appesantite dal debito contratto per il Covid – che sono spinte a contrarre nuovo debito emergenziale. È dunque essenziale, come Confindustria sta segnalando con forza alle autorità nazionali ed europee, agire tempestivamente con uno nuovo set di misure straordinarie, tese sia ad assicurare la sostenibilità del debito delle imprese in essere, sia a consentire alle stesse imprese di accedere a nuova liquidità.

Vanno in particolare favorite operazioni di moratoria e rinegoziazione dei debiti in essere, essenziali per diluire su un arco temporale più lungo il rimborso dei debiti e liberare liquidità utile sia per far fronte ai maggiori costi dell’energia, sia per pianificare nuovi investimenti.

Tali operazioni sono però scoraggiate dalle regole bancarie europee in materia di definizione di default, che vanno pertanto modificate o temporaneamente sospese, come avvenuto nel corso della pandemia. Vanno poi modificate le regole temporanee europee in materia di aiuti di Stato, in particolare per consentire un allungamento della durata dei finanziamenti garantiti dallo Stato – sia nuovi, sia in essere – dagli attuali 6 ad almeno 15 anni.

È poi necessario prorogare per tutto il 2023 e rafforzare gli interventi di garanzia del Fondo di Garanzia per le Pmi e di SACE, sfruttando al massimo gli spazi di manovra consentiti dalle regole europee sugli aiuti. Infine, occorre favorire l’accesso alle fidejussioni bancarie e alle coperture assicurative necessarie per ottenere la fornitura di energia.

 

D: Confindustria sostiene da tempo che una riforma complessiva del sistema fiscale renderebbe il nostro Paese più competitivo. Quali sono gli interventi più urgenti e le misure imprescindibili per realizzare questo obiettivo?

 

R: Il nostro sistema fiscale subisce continui ritocchi – spesso a suon di decretazione d’urgenza – che non fanno altro che renderlo più instabile, inefficiente, complesso. Sono oltre 800 le norme tributarie oggi vigenti: un dedalo che disorienta, aumenta i costi di compliance, scoraggia gli investimenti.

Per questo, il sistema va ripensato dalle sue fondamenta, incidendo su tutti i tributi nelle loro interrelazioni, adeguando il fisco ai tempi che viviamo, limando i profondi effetti distorsivi sulla capacità di crescere e di innovare delle imprese; la base imponibile dell’IR¬PEF è stata svuotata – negli anni – da un profluvio di imposte sostitutive; le modalità di fare impresa sono radicalmente mutate; la tecnologia ha un impatto decisivo su metodi di produzione, scambi, pagamenti e adempimenti.

Sul piano del metodo, occorrono criteri di delega definiti, adeguata dotazione finanziaria e un processo strutturato, che vada oltre il colore dei governi e le scadenze di legislatura. Si tratta di un piano ambizioso, ma non irrealizzabile.

Nel frattempo, ci sono urgenze a cui far fronte e primi passi da compiere. È il momento di un superamento definitivo dell’IRAP, un tributo che ha perso tutto della sua originale connotazione e che, di fatto, grava esclusivamen­te sulle società di capitali, colpendo in particolare le imprese in perdita e maggiormente indebitate.

E poi, anche per superare lo shock inflattivo, è urgente che si attui un in­tervento incisivo sul cuneo contributi­vo, che riduca il divario di competitivi­tà di costo del lavoro nei confronti dei principali Paesi europei.

Dobbiamo riportare imprese, investi­menti e giovani in Italia. Per questo certo non bastano gli strumenti fiscali: servono interventi ampi su finanza, giu­stizia, PA, infrastrutture, formazione. Ma, sul piano fiscale, l’attrattività di un Paese si dipana almeno su tre ambiti chiave: i) competitività dell’imposizione; ii) certezza normativa; iii) valorizzazio­ne degli investimenti virtuosi.

 

D: Gli investimenti giocano un ruolo cruciale per reagire alle crisi in atto e riportare l’Italia su un binario di crescita. Quali leve deve attivare il Governo per finanziare gli investimenti privati dandogli nuovo slancio?

R: Il sistema produttivo italiano è impe­gnato, sullo sfondo dell’attuare con­giuntura, con la sfida delle profonde trasformazioni in atto a livello a globa­le. In particolare, la transizione soste­nibile e quella digitale, il cui comple­tamento è essenziale per rafforzare la competitività sui mercati, che richie­dono alle imprese di investire e inno­vare i propri modelli di business.

Il Pnrr rappresenta un volano essen­ziale per vincere tali sfide, oltre che un’opportunità imperdibile di riforma e crescita per il nostro Paese. Va at­tuato senza indugi, rispettando gli im­pegni assunti. Sarà tuttavia necessa­rio valutare, con le autorità europee, una sua rimodulazione sulla base di circostanze oggettive legate all’attua­le contesto. Ma le risorse del Piano da sole non bastano. Per crescere le imprese dovranno attivare ingenti ca­pitali, che non possono venire solo dal sistema bancario e senza i quali non ci si ristruttura, non si aggiornano le produzioni, non si cambiano i modelli organizzativi e distributivi, e non si in­veste in ciò che il Pnrr e le transizioni in atto richiedono. Occorre pertanto favorire l’accesso delle imprese, in particolare le Pmi, a canali finanziari alternativi al credito bancario. Confin­dustria ha proposto diverse misure, in grado di raggiungere le diverse tipo­logie e classi dimensionali di impre­se, tese a favorire – anche attraverso semplificazioni regolamentari e leva fiscale – l’emissione di obbligazioni, l’apertura a fondi di investimento, la quotazione in borsa; vanno poi pro­mosse la managerializzazione e lo sviluppo della cultura finanziaria del­le imprese, che sono fattori abilitanti per l’accesso ai mercati, e occorre at­tivare un flusso stabile di risorse da famiglie e investitori istituzionali.

In uno scenario economico comples­so, transizione digitale e sostenibile restano obiettivi da perseguire con determinazione e, sul piano della po­litica industriale, è cruciale prosegui­re in continuità con il sostegno agli investimenti innovativi del Piano 4.0, adeguando gli strumenti anche alle nuove esigenze di tutela ambientale e risparmio energetico.

Infine, è fondamentale adottare scelte forti sulle politiche industriali del Pae­se, orientando e stimolando gli investi­menti delle imprese. A tal fine, credo il ruolo di Invitalia, in particolare attra­verso i Contratti di Sviluppo, sarà deter­minante per dare impulso alla crescita.

D: La certezza degli strumenti fiscali può orientare le scelte di investimento delle aziende, così come l’incertezza può frenarli. Lo abbiamo visto per esempio nella gestione del credito R&S, del patent box, degli incentivi all’edilizia. Cosa chiede Confindustria, nel metodo e nel merito, per migliorare l’utilizzo degli strumenti fiscali nel sostegno a ricerca, innovazione e sostenibilità nel nostro Paese?

R: In materia tributaria, la certezza del diritto è costantemente a rischio. Ciò dipende da una molteplicità di fattori: ipertrofia e complessità delle norme; elevato tecnicismo; carente coordina­mento tra più livelli normativi. La cer­tezza ha un valore per i contribuenti e per il Paese, si traduce in semplicità e minor costo degli adempimenti, coesio­ne sociale, tutela dell’affidamento; di contro, l’assenza di certezza determina un incremento dei costi di transazione (procedure, adempimenti, controlli, contenzioso) e, soprattutto, rischia di ridurre l’efficacia di alcune misure.

Lo abbiamo visto, di recente, sul piano degli incentivi R&S, a causa di un qua­dro interpretativo in continua “evo­luzione”. Stiamo ricevendo segnali di attenzione dal Governo sulle tante cri­ticità emerse e – dopo l’ampliamento dei termini di adesione alla procedura di riversamento – ora ci auguriamo che si possa chiarire in via definitiva l’ambito applicativo, al fine di orien­tare al meglio le imprese e tutelare i comportamenti adottati in buona fede.

In termini generali, negli ultimi anni, abbiamo assi­stito ad un ampio ricorso allo strumento fiscale per finalità agevolative o sovvenzionali. Un feno­meno che richiede una adeguata convergenza di competenze fiscali ed extrafiscali.

Sin dal drafting di una norma, è im­prescindibile un approccio multidi­sciplinare che coinvolga diversi attori della PA; le “regole del gioco” devono essere dettate sin dalla pubblicazio­ne di una norma in Gazzetta Ufficiale, definendo la cornice applicativa delle agevolazioni, con regole già istruite, attuate e monitorate.

Una best practice dalla quale sia­mo ben lontani. Faccio due esempi: a un anno dall’adozione del cosid­detto nuovo patent box, manca an­cora una circolare di chiarimenti; la norma sul cosiddetto Superbonus è stata modificata 15 volte e sul piano interpretativo contiamo oltre 200 atti dell’Agenzia delle Entrate, una guida, innumerevoli FAQ di altre ammini­strazioni.

Da valorizzare anche le sinergie tra amministrazione e cittadini/imprese, soprattutto a fronte degli elevati tec­nicismi che connotano questi incenti­vi: di qui l’importanza di associazioni di categoria, accademici, operatori del settore. Questa proficua dialettica orienta e supporta le scelte di tutti i protagonisti della vita economica del Paese e può esplicarsi anche in nuove forme di confronto tra il contribuente e l’amministrazione, richieste di pa­reri con tempi certi di risposta, circo­lari quadro, consultazioni pubbliche o certificazioni preventive.

 

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