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In tema di bancarotta documentale, la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 34479/2018, ha ribadito che l’affidamento della contabilità a un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche (commercialista) non elide la responsabilità dell’imprenditore perché su di lui grava, comunque, l’onere del controllo.

Un imprenditore campano è stato chiamato a rispondere dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, ex art. 216 L.F.1

È stata pronunciata sentenza di condanna sia in primo che in secondo grado e ora dalla Cassazione è arrivato il verdetto definitivo di responsabilità.

In relazione al reato di bancarotta documentale, la Difesa ha dedotto che, a fronte della richiesta di esibizione della documentazione contabile avanzata dal curatore tramite la notifica della sentenza di fallimento, l’imputato aveva risposto che tale documentazione era conservata presso il commercialista e che, pertanto, non poteva ritenersi sussistente il dolo del reato contestato.

Quanto alla condotta contestata come bancarotta patrimoniale, la Difesa ha invece contestato la ritenuta esistenza della prova della denunziata sottrazione dei beni alla garanzia dei creditori, trattandosi di beni smarriti o in parte usurati.

Ebbene, ad avviso dei Giudici di legittimità, la circostanza della consegna della documentazione contabile al commercialista è rimasta mera affermazione di parte non suffragata da alcun riscontro probatorio. In ogni caso si tratta di circostanza non rilevante ai fini dell’accertamento del reato, posto che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’imprenditore e – nel caso di bancarotta cosiddetta impropria (art. 223 L.F.) – gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, non vanno esenti da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata a un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche (commercialista), dovendosi logicamente presumere che la contabilità stessa sia stata redatta secondo le indicazioni date dai predetti soggetti, che restano, perciò, sempre responsabili della tenuta di una regolare e veritiera contabilità (cfr. Cass. Pen. Sez. 5 n. 2055/1994).

Per quanto riguardo, invece, il delitto di bancarotta patrimoniale, come osservato correttamente dal Giudice del merito, l’imputato – scrivono gli Ermellini – «non ha dimostrato in alcun modo, come era suo onere, la destinazione dei beni oggetto di distrazione né l’allegato stato di obsolescenza degli stessi né tanto meno la loro vendita. Nel caso di specie, si assiste alla contestazione del delitto di bancarotta distrattiva in presenza di un inventario integralmente negativo e in presenza di beni invece dichiarati nelle scritture contabili».

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità è ferma nell’affermare che in materia di bancarotta fraudolenta la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti (Cass. Pen. Sez. 5 n. 19896/2014 e n. 3400/2005).

L’imprenditore, ricorda la Suprema Corte, è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di quest’ultima. Ne deriva la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell’integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o l’elisione della sua consistenza danneggia le aspettative della massa creditoria e integra l’evento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta.

In definitiva, i giudici di legittimità non hanno ritenuto di poter accogliere il ricorso dell’imputato che, di conseguenza, è stato condannato al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

_______________________________________
1REGIO DECRETO 16/03/1942, n. 267, e succ. mod.
Art. 216 (Bancarotta fraudolenta)
«È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1. ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2. ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa».



 

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