Guida alla campagna social (e non) degli aspiranti consiglieri alle regionali
I più spiritosi, probabilmente, sono i reggiani. Andrea Costa, ex segretario provinciale del Pd di Reggio Emilia in corsa per un bis da consigliere regionale, si è affidato a un calembour nazional-popolare per attirare l’attenzione di elettori sempre più intorpiditi e disinteressati alla politica. «C’è Costa per te» è lo slogan, immancabile, che accompagna la sua campagna social e non. Basterà a convertire al voto democratico i tanti fan emiliano-romagnoli del programma di Maria De Filippi? Probabilmente no, ma sicuramente strapperà un sorriso a qualcuno, che lo racconterà a qualcuno altro e così via. «C’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé», diceva il Dorian Gray di Oscar Wilde. E chi è in campagna elettorale, negli Usa come in Emilia-Romagna, lo ha capito da un pezzo.
In tempi in cui la ricerca del consenso ha abbandonato progressivamente la carta (stampare costa, un post — salvo sponsorizzazioni — è sempre gratis), «santini» elettorali e slogan si sono spostati sulle piattaforme social. E il gioco di parole, soprattutto tra le fila del centrosinistra, è ormai la chiave di volta per lasciare un segno. Magari una linea sottile, come il filo che avvolge nei flyer elettorali l’ex Coraggiosa e oggi democratico (stesso percorso di Elly Schlein) Federico Amico, reggiano anche lui. «Ci vorrebbe un Amico», il suo claim: la mente vola ad Antonello Venditti, gli anni ‘80, la nostalgia della generazione X come chiave di volta per strappare un sorriso (e magari un voto).
A volte il calembour si spinge oltre gli schieramenti. E lo slogan di chi rappresenta un’altra visione politica del mondo finisce rimasticato dalla parte opposta. Straniante e ironico. È il caso di Matteo Rancan, ricandidato nel collegio piacentino e capogruppo uscente della Lega, il partito più vicino ai Repubblicani statunitensi. L’arancione al posto del verde Carroccio, sorrisone e dito che indica l’elettore (richiamo, anche questo molto statunitense, allo Zio Sam dello storico manifesto «I want YOU for U.S. Army») e uno slogan ironico mutuato dalla campagna di Obama del 2008. «Yes, we RanCan»: difficile trattenere un sorriso, impossibile sapere se funzionerà nelle urne.
Nel M5S c’è chi scommette invece sul fattore T, come tenerezza. È il caso di Paolo Bernini, ex parlamentare pentastellato negli anni ruggenti del movimento, antispecista convinto e vegano, oggi candidato nel collegio di Bologna. Nelle foto elettorali stringe sorridente un tenero cagnolino, sguardo in camera entrambi. Il suo soprannome? «Vegan», basta scrivere quello — dopo aver barrato il simbolo del M5S — e si vota per Bernini. Espediente antico, quello dei soprannomi elettorali, utilizzato soprattutto da chi teme errori di ortografia in cabina elettorale. Un problema ben noto a Elly Schlein «detta Elly», ancora oggi tra la cucine della Festa dell’Unità c’è chi ha difficoltà a piazzare quella h.
Un problema condiviso da Matteo Hallissey, giovanissimo segretario dei Radicali, capolista dei Riformisti per de Pascale. «Per darmi il tuo voto ti basterà fare una croce sul simbolo della lista e scrivere MATTEO (il cognome potete anche non metterlo, sarei capace di sbagliarlo anche io)», ironizza sul suo sito, dove — con buona pace di de Pascale — dà consigli di voto disgiunto: «È possibile supportarmi anche se si vuole votare per un diverso candidato presidente». Camicia rosa, attivo su ogni piattaforma social, nel manifesto che accompagna la sua campagna sfonda una parete di carta lasciando un buco a forma di Emilia-Romagna: effetto un po’ alla Shining, chissà se era voluto anche quello.
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